di Massimo Perolini L’uomo dalle mille contraddizioni, dalle mille collaborazioni (con Stills, Nash, Young, in duo, trio e quartetto, con Pevar e Raymond, che era poi suo figlio naturale ritrovato), uno degli uomini dietro all’epopea Byrds. L’artista che nel 1971, immerso nei fumi e nei suoni lisergici, scaturiti da un’estate magnifica ma già dimenticata, ne chiamava a raccolta i protagonisti per cercare di capire come si chiamasse, torna con un lavoro ancora una volta intitolato come se fosse la parte di un discorso a tu per tu con l’ascoltatore: “Here If You Listen”, “sono qui, se mi ascolti”. Un discorso iniziato, appunto, quarantasette anni prima con “If I Could Only Remember My Name…”, recuperato a distanza di diciotto anni, dopo essersi ritrovato (“Oh Yes I Can”, 1989), ripreso dopo aver percorso mille strade (“Thousand Roads”, 1993) e recuperato in tempi recenti, dopo aver riaffermato la propria identità (“Croz”, 2014), la propria centralità nel panorama westcoastiano (“Lig