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Storia della musica #42

 L’hip hop  Tutti sanno che il primo singolo rap della storia è “Rapper’s Delight” della Sugarhill Gang, del 1979: la base sonora è “Good Times” degli Chic , la voce è di Henry "Big Bank Hank" Jackson, scelto personalmente dopo un audizione fuori dalla pizzeria in cui lavorava da Sylvia Robinson, cantante soul e proprietaria del negozio Sugar Hill Records, nonché deus ex machina del pezzo. La Robinson non inventa nulla, sia ben chiaro, semplicemente ha la folgorante idea di immortalare su vinile quello che nella seconda metà degli anni ’70 era un fenomeno musicale piuttosto diffuso per le vie di New York, il rap, parte fondante della cultura hip hop assieme alla breakdance e all’arte dei graffiti. Il suono di “Rapper’s Delight” e dei singoli di Kurtis Blow “Christmas Rapping” e “Breaks” è quello che, col senno di poi, sarà definito old school rap: musica tendenzialmente disimpegnata e destinata al ballo, campioni disco e funky e sopra rapping semplice e sulla battuta. Emergon

Waco Brothers - The Men That God Forgot (2023)

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 di Fabio Cerbone  Ribelli della prima ora dell’alternative country, agitatori socialisti che dall’Inghilterra thatcheriana sono giunti nella terra delle opportunità americane per scardinarne le certezze, ambasciatori di un country punk d’assalto che metteva insieme i Clash di Joe Strummer con Johnny Cash e le pedal steel di Nashville, i Waco Brothers rappresentano un percorso musicale fatto di innegabile coerenza e attaccamento alla propria missione. Al decimo album di studio e dopo quasi tre decenni di storia è logico non attendersi “rivoluzioni”, anche se lo spirito di Jon Langford (voce e chitarre, deus ex machina della formazione e storico membro dei Mekons), Alan Doughty (bassista ricordato per la militanza nei Jesus Jones) e Dean Schlabowske (chitarre e aggressività elettrica annessa), i tre membri superstiti della prima incarnazione dei Waco Brothers, non sembra curarsi del tempo che passa e di un mondo sempre corrotto, ingaggiando la sua eterna lotta contro le storture della s

Truth Bitter Truth - Marianne Faithfull (1981)

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Roca, sensuale, carta vetrata con molti grammi di dolore, un'oncia di abbandono e due sorsi di disperazione, la voce di Marianne riassume una parabola lucente per i primi anni e limpida come l'acqua di lago, nera come la tempesta nel tempo di mezzo e poi da tiepido sole primaverile nel terzo tempo. Marianne è la musa che ha oltrepassato le porte della notte ed è tornata a fare da sentinella, per tenere lontani i tempi del delirio e dell'oblio. (M. Cotto - da Rock Therapy) 

Van Morrison - Common One (1980)

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di Silvano Bottaro Ci vuole davvero coraggio per fare uscire, dopo il successo di "Into the Music", un disco tanto anti-commerciale. Siamo di nuovo fuori dal rock, per approdare ad un improbabile tipo di sperimentazione, prossima alla musica leggera in quanto a strumentazione ed arrangiamenti, eppure opposta nello spirito. Al posto dell'unico violino del disco precedente, qui c'è una orchestra intera, condotta dal vecchio compare Jeff Labes. La registrazione fu eseguita in pochi giorni, con largo spazio per l'improvvisazione. Il pezzo forte, "Summertime in England", durava mezz'ora, ma la Polygram pensò bene di rieditarlo in metà tempo. Le liriche sembrano l'indice di un testo di letteratura inglese, in quanto citano a raffica nomi di poeti e di luoghi. E' un lungo momento di meditazione filosofica, come tutto il disco, d'altronde. Il verso finale "Can you feel the Silence?" sarà ripreso, undici anni dopo, nel momento culminante

The Replacements – Androgynous

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di Carlo Bordone Ogni volta che riascolto i Replacements mi meraviglio di quanto suonino contemporanei i testi di Paul Westerberg. Da questo punto di vista, i Mats sono invecchiati infinitamente meglio di tanti loro contemporanei. Soprattutto nelle canzoni che parlavano di adolescenza. Pezzi come Androgynous e Sixteen Blue, per citare i più ovvi, possono parlare a un sedicenne di oggi forse addirittura di più di quanto parlassero a me sedicenne del 1984. “Your age is the hardest age”, certo, e anche noi eravamo confusi, incasinati, arrabbiati e pensavamo che quella fosse l’età più dura di tutte. Ma parliamoci chiaro, per chi ha sedici anni oggi è molto, molto più dura. Non solo per quello che stiamo vivendo in questo momento, non solo per la mancanza di prospettive e per il futuro di merda che gli è stato apparecchiato, ma anche perché i ruoli e le identità (a cominciare da quelli sessuali) sono in un processo di trasformazione e di ridefinizione che comunque è ancora troppo lento per

Chickasaw Mudd Puppies - Fall Line (2023)

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 di Marco Denti  Quando i Chickasaw Mudd Puppies incisero White Dirt nel 1990 e 8 Track Stomp l’anno dopo, erano tempi in cui anche dei bizzarri outsider potevano trovarsi come produttori Willie Dixon e Michael Stipe, e un mondo gli si apriva davanti. Loro, invece, si presero una lunghissima vacanza fino a oggi, che auguriamo a tutti, finché alcune canzoni non sono finite in altrettanti film e, riscoperti, sono ripartiti dalla preistoria, nel senso che un paio di brani risalgono ai loro esordi e che la Fall Line del titolo è la linea di faglia che dall’Atlantico divide la Georgia tra il Piedmont e la costa. È un’area dove, proprio per la formazione geologica, la corrente dei fiumi tende a essere meno impetuosa e più vivibile, cosa che rende le rive e gli argini ricchi di storie. Da lì attingono i Chickasaw Mudd Puppies che, fin dal nome (che fa riferimento a una tribù nativa poi dislocata in Oklahoma) hanno sempre avuto un saldo legame con le proprie radici, che è rimasto tale anche in

Lucinda Williams

Cresciuta in Luisiana, Lucinda Williams (1953) si segnala per una serie di album che la impongono come fedele interprete di country blues. Dopo un paio di dischi a cavallo tra i '70 e gli '80, Ramblin' on my mind e Happy woman blues , impiega ben otto anni prima di tornare a incidere, periodo in cui tra l'altro si sposa e divorzia da Greg Sowders dei Long Ryders. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #41

 Il metal degli anni ‘80  I tardi anni ’70 avevano visto un’esplosione di gruppi inglesi, legati al principio ad un seguito di culto, come Iron Maiden, Motorhead e Judas Priest che, fondendo le sonorità dell’hard rock di Deep Purple, Black Sabbath e Led Zeppelin e velocizzando ed inasprendone i suoni mettono le basi per il trash metal: non solo forgiarono il suono dell’heavy metal alternativo degli anni ’80 ma ne definirono anche l’iconografia, decadente e orrorifica già dalle copertine dei dischi. Dalla loro lezione partono gruppi come Metallica, Slayer, Anthrax e Megadeath, vale a dire i principali esponenti del thrash  metal americano, fusione di metal inglese e primo hardcore californiano, che rappresenta la risposta a stelle e strisce a quella prima ondata di gruppi inglesi di fine ’70. Un ruolo fondamentale nella definizione del genere è rivestito dalla sequenza dei Metallica “Kill’Em All” (1983) – “Ride The Lightning”(1984) – “Master Of Puppets” (1986), ma anche da dischi come “

The Wood Brothers - Heart Is The Hero (2023)

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 di Umberto Poli Giunti alla boa dell’ottavo disco in studio, Chris e Oliver Wood – in arte The Wood Brothers – sfornano quello che suona sia come l’ennesima sfida vinta, sia come il loro capolavoro. "Heart Is The Hero" contiene dieci tracce mature, compiute ed in presa diretta, di un ormai consolidato interplay e di un mélange sonoro che, volontariamente, rifugge ogni tentativo di catalogazione. L’album è stato registrato a Nashville (Tennessee) da Brook Sutton presso The Studio con un registratore analogico a 16 tracce. Mixato da Trina Shoemaker (moglie, per gli appassionati della canzone d’autore a stelle e strisce, del songwriter Grayson Capps). Oliver Wood si conferma chitarrista eccellente e versatile, le cui ritmiche, ancora più che in passato, sono il perfetto mix di cesello e devozione alla forma-canzone: mai una nota di troppo, incastri serrati con le linee di basso del fratello ed un groove che, assieme anche al contributo ritmico del talentuoso Jano Rix, non lasci

Hotel California - Eagles (1976)

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Va bene, l'abbiamo ascoltata milioni di volte, nella versione originale degli Eagles e in centinaia di altre riletture, più o meno fedeli o completamente diverse e magari ci sono stati momenti in cui vi è anche venuta a noia, però come si può fare a meno di Hotel California se siete in macchina, avete l'età meravigliosa dei "diversamente giovani" e la voglia di non pensare a niente, lasciando magari che nello specchietto retrovisore si profili l'immagine riflessa dell'adolescenza, quando, per dirla alla Jackson Browne (che degli Ealgles fu primo amico al punto da cedere loto Take It Easy ), si "correva a secco", anche senza benzina, ma con l'illusione che non ci saremmo fermati mai? (M. Cotto - da Rock Therapy)   

Mike Miz - Only Human (2023)

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 di Paolo Baiotti  Conosciuto da anni sulla scena jam del Nord Est degli Stati Uniti, Mike Miz ha esordito nel 2019 con A Year Ago Today, un disco scomparso in fretta dai radar anche per colpa della pandemia che ne ha impedito la promozione. Originario della Pennsylvania, Mike ha suonato in numerosi festival e come supporto di nomi molto più blasonati in ambito Americana/jam come Jason Isbell, Jakob Dylan, Lukas Nelson, Blues Traveler e Southside Johnny. Tre anni fa si è trasferito a Nashville per cercare un approccio diverso e collaboratori di livello, che ha trovato nel bassista Ted Pecchio (Col. Bruce Hampton, Susan Tedeschi), nel chitarrista Laur Joamets (Sturgill Simpson), nel batterista Jon Radford (Drew Holcomb, Lily Hiatt) e nell’ingegnere del suono e produttore Brook Sutton, con i quali ha realizzato in tre giorni di intense registrazioni le tracce che compongono Only Human, un album che racconta le debolezze dell’autore, la sua lunga battaglia contro la dipendenza da eroina,

Kings Of Convenience - I Don’t Know What I Can Save From You

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di Alessia Belluomini Settembre 2005, un amico mi chiama. “Stasera vengo al mare”, anche se domattina c’è da essere a scuola imbocca l’A11 solo per scappare qualche ora, raggiungere la spiaggia. Acquazzone estivo, rimaniamo bloccati in macchina con i nostri pensieri e un chioppetto. “Che palle quest’anno c’è la maturità”. Poi scatta questo pezzo. Rimaniamo in silenzio per quasi tutti i 5 minuti di traccia. “Questa canzone mi fa pensare all’Australia” “A me invece evoca alla mente qualche posto costiero del sud del Mediterraneo”. Mi chiedo ancora se è lì che in realtà volevamo scappare. Dopo quella sera mi ascoltai tutto questo album e pure il successivo dei Kings of Convenience. ‘Riot on an empty street’ diventò il mio stress release per gli anni seguenti, riuscendo a calmare quel senso di irrequietezza giovanile che ti scaturisce la provincia, anche quando sa di California e con le sue chicche ti ammalia. E ti frega. Ti seduce a restare quando dentro te hai una voglia matta di andarte

Baaba Maal – Being (2023)

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di Silvano Bottaro A sette anni dall'ultima sua pubblicazione "The Traveller", Baaba Maal ritorna con "Being", un disco ritmicamente potente e liricamente premuroso, una delle uscite più emozionanti della sua lunga discografia. A 70 anni Maal sembra un uomo sulla quarantina. È invecchiato incredibilmente bene. Così come la sua musica. Dal 1989, album dopo album, ne ha pubblicato una ventina, una quindicina come solista e una manciata in collaborazione. Quasi tutti i suoi dischi non solo si basano sulle sue radici senegalesi, ma aggiungono suoni e vibrazioni occidentali, creando così un sound totalmente personale. In questo "Being", Maal ci offre un qualcosa in più, che supera le sue uscite precedenti. La voce di Maal è sublime e le melodie sono ipnotiche. Si alzano e cadono con grazia, ma sono anche in grado di ruggire quando necessario. Le armonie sono squisite e, abbinate alla voce di Maal, diventano un bene prezioso che fanno il suo marchio di fabbr

Wilco

I Wilco, il cui nome deriva da un termine tecnico delle stazioni radio AM americane, sono una creazione del cantante e chitarrista Jeff Tweedy (1947), già co-leader degli Uncle Tupelo. Dopo la fine di quell'avventura, Tweedy è il primo a tentare una nuova via musicale, radunando intorno a sé parte della vecchia band: nascono così i Wilco, che dopo una serie di tournée negli Stati Uniti, pubblicano A.M. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #40

 Scorie noise di fine anni ottanta  Se dalla metà degli anni ottanta in Inghilterra il rumorismo noise viene piegato alle inflessibili leggi del pop da Jesus & Mary Chain e soci, oltreoceano le intuizioni e gli esperimenti dei Sonic Youth vengono incanalate in direzioni completamente nuove: dal guitar-noise di Dinosaur Jr e Pixies, al rumore dilatato e spaziale degli Yo La Tengo, passando per il garage-noise dei Pussy Galore e della “stirpe” da essi generata. I Dinosaur Jr di J. Mascis e Lou Barlow, esordiscono a nome Dinosaur nel 1985 con disco omonimo, giocando con i feedback chitarristici e unendo il Neil Young più abrasivo con le scorribande dissonanti dei Sonic Youth: la miscela è ancora acerba, ma lascia intravedere quel suono che viene portato a maturazione già nel successivo “You’re Living All Over Me” (1987), uscito per la storica SST: è un susseguirsi di dischi che segnano la storia dell’indie rock americano, da “Bug” (1988), passando per “Where You Been” (1993) (che data

Ellen River - Life (2023)

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Una nitida fotografia dell’Ellen di oggi, una raccolta di tutte le esperienze musicali, nella quale racconta storie, un libro colmo di vita, un viaggio dal sound tipicamente americano e non solo, che rivivono in queste 27 inedite canzoni già anticipate con grande successo dall’uscita dell’omonimo singolo da giorni in rotazione su centinaia di radio di tutta Italia. “Life” racchiude tutto l’universo sonoro di Ellen River, in gran parte legato alle sonorità americane, dal rock, al blues, al country, bluegrass e soul ma è anche un messaggio a chi vuole resistere, perché lo si può fare. Un messaggio per chi ancora affronta con ironia la vita nonostante i bocconi amari, a chi sogna anche quando è sveglio, a chi prova a seguire la luce nonostante abbia tenebre e fantasmi che vagano dentro, a chi affronta con coraggio la malattia delle persone care e a chi la vive sulla propria pelle, a chi si guarda allo specchio e si vuole bene nonostante gli errori commessi perché il giorno dopo si cercher

Jersey Girl - Tom Waits (1980)

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Nessuno avrebbe potuto prevederlo. Tom Waits, il folle cantore della notte e degli eccessi, lascia (o, secondo la versione di lei, si fa lasciare perché colpevole di averle chiesto di sposarlo) Rickie Lee Jones e si mette con Kathleen Brennan. Non è solo un cambio di donna, è un cambio di stile, un passaggio epocale. Rickie Lee è hipster, sfrontata e ribelle (a un party si infila un mango tra le gambe davanti a tutti gli invitati), assomiglia vagamente a Jane Mansfiled, attrice bionda e maggiorata che è stata prima icona erotica di Waits; è fuggita di casa a tredici anno, beve come una spugna e spesso si perde in un  bicchiere vuoto. (M. Cotto - da Rock Therapy)

The National - First Two Pages of Frankenstein (2023)

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 di Haron Dini  Quando si tratta di leggerezza, raffinatezza e narrativa vengono in mente poche band. Tra queste ci sono sicuramente The National, che con il precedente album “I Am Easy To Find” avevano ribadito ancora una volta il loro modo unico di raccontare certe storie e certi eventi della vita e del mondo. In venticinque anni di onorata carriera questa peculiarità del tutto personale si è rafforzata e sedimentata nelle produzioni della band statunitense in modo tale da renderle perfette per far sì che l’ascoltatore possa focalizzarsi non solo sulle atmosfere, ma anche sulla sensibilità artistica e sull’innato talento che traspare in ogni brano. Matt Berninger, il frontman della band, ha dato un valore aggiunto al sound, ovvero, il suo “cantato non cantato” o meglio dire, il suo parlato, il suo sussurrare le parole, che come una persona saggia dalla barba bianca, ci espone filosofie, drammi, controversie, ostacoli, ma ci prospetta anche un po’ di luce in fondo al tunnel. A quattro

Giorgio Gaber – Gildo

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di  Carmine Falco Queste poche righe sono state scritte in due tempi diversi. La seconda parte è stata scritta in una sera da quarantena, dove i morti e gli ammalati sono diventati numeri in crescendo, dove la distanza è diventata sicurezza e l’incertezza ha cominciato a danzare nelle case come la fiamma nel caminetto. In quei momenti ho ripensato alla mia ambulance song, “Gildo” di Giorgio Gaber. Le parole seguenti sono il tentativo di collocare il brano nella società e di risaltarne la necessità. Si può parlare di ciò che si sa, si può parlare soprattutto di ciò che si racconta ma non si può parlare di ciò che si cancella. Cancellare è uno strumento del potere, è ridimensionare un mondo omettendo le parole per descriverlo. Il sociologo Jean Bradillard ci ha spiegato che le società occidentali hanno cancellato la morte. La morte nella società contadina era familiare, quotidiana, era la mano del fattore che sacrificava il vitello o il maiale, era il prete che transustanziava il pane e

Ali Farka Touré – Voyageur (2023)

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 di Matteo Bossi Dopo la lettura che gli aveva riservato Marco Denti sul n. 157 di Il Blues, torniamo ad occuparci di Ali Farka Touré per l’arrivo, inatteso e forse per questo ancor più gradito, di “Voyageur” (World Circuit), primo album postumo, a ben diciassette anni dalla sua scomparsa, e a tredici dalla pubblicazione di “Ali And Toumani”, cointestato con Toumani Diabate. Un lavoro, malgrado sia ricavato da registrazioni recuperate in periodi e luoghi disparati, estemporaneamente, suona unitario come un album, consentendoci di apprezzare, una volta di più, un enorme artista. “Ali era un baobab”,  scrive il suo amico e allievo Afel Bocoum nelle note (è presente anche in alcune tracce), “un albero longevo, tenace e paziente, dai molteplici usi anche quando il suo ciclo vitale si è completato.” Ascoltando queste nove canzoni, alcune delle quali incompiute e rifinite ex post, in maniera molto rispettosa, sotto la guida del figlio Vieux Farka e di Nick Gold, si staglia ancora più nettame

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