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U2 - The Joshua Tree (1987)

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di Silvano Bottaro La consacrazione di una band divenuta un vero fenomeno sociale. Con la supervisione di Daniel Lanois e il solito Eno, gli U2 vengono ripuliti da una vitalità artistica troppo grezza. In The Joshua Tree risiede tutto lo scibile del rock e del pop. Bono e compagnia sono meno inquietanti e più scaltri nelle scelte tra energia e lirismo melodico. Un'opera cruciale che si distingue immediatamente in mezzo a venti di novità e cambiamenti, per la smania creativa che pervade questi brani esaltandone il lato più melodico. E' un fluire inarrestabile di sensazioni tra suoni energici, schemi corposi, riff sinuosi. The Joshua Tree invade il mondo, fa rivivere antiche gesta e soprattutto la magia del grande rock torna ad esaltare gli amplificatori. Un evento magico, maturato proprio lì, a Joshua Tree, dove in mezzo a una delle zone più desertiche un arbusto è diventato un albero secolare. Dopo questo album la musica della band irlandese assumerà un carattere di uni...

Phish - Fuego (2014)

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di Giacomo Baroni Dai campus delle università ai palchi di tutto il Nord America sull’onda del passaparola di milioni di fedeli seguaci, i Phish sono diventati a metà degli anni ’90 una delle jam band più note e amate degli Stati Uniti. Sostanze nel calderone: improvvisazioni pantagrueliche, straordinaria complicità con il pubblico e la garanzia di offrire sempre un evento unico. I loro concerti di Halloween sono una tradizione attesissima dai fan. I Phish indossano un “costume musicale”, calandosi nei panni di un gruppo storico e interpretandone un album per intero. Nel 2013 ad Atlantic City, i quattro hanno invece deciso di fare uno scherzetto da vigilia di Ognissanti, impersonando se stessi nel futuro e presentando in anteprima il dodicesimo album della band, pubblicato poi il 24 giugno per la loro etichetta, la Jemp. Accantonate le ore passate a tentare di estrarre idee da smisurate jam in studio, Fuego (Jemp, 2014) è un album che parla un linguaggio diverso. Prodotto da ...

Lucio Battisti - Don Giovanni (1986)

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Questo disco ha "provenienza" certa: lo ha comprato all'epoca mio papà, che ha sempre avuto una grande passione per il ragazzo di Poggio Bustone. E spesso, negli ultimi anni, qualche volta abbiamo discusso di come, nella lunghissima carriera di Lucio Battisti, la parentesi del decennio '80, per certi versi davvero sorprendente, sia molto meno famosa, al limite dell'inesistenza, del periodo precedente. Un po' perché dopo il 1980 decise di concentrarsi solo sull'aspetto musicale abbandonando le apparizioni televisive, le interviste radiofoniche e dei giornali (ultima rilasciata alla Tv Svizzera Italiana nel 1979), e un po' perché decise di fare tutto da solo, abbandonando il sodalizio con il paroliere Mogol. I primi indizi si hanno nel 1978, quando va in Inghilterra per registrare Una Donna Per Amico: tentativi precedenti di sfondare nel mercato internazionale fallirono, ma Battisti cercava un bisogno di internazionalizzare la proprio musica. Il disco fu...

I Gufi

Calzamaglia e tutine nere da mimi, bombetta in testa, uno a fianco all'altro con il chitarrista a strimpellare on fondo a destra: così si presentavano i Gufi sui palchi dei teatri e nelle trasmissioni della RAI, e con questa iconografia sono rimasti nella memoria del pubblico, a quasi cinquantacinque anni dal loro scioglimento. Discografia e Wikipedia

Raining in Baltimore - Counting Crows (1993)

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Raining in Baltimore è lo scalpello più emotivo e malinconico, con un pianoforte da brividi e un'armonica struggente, che lavora sul monumento dei Counting Crows, band di San Francisco guidata dal grande Adam Duritz. Centrifugano il rock che fu, ma non solo, perché anche soul, blues e folk vengono riveduti e neanche troppo corretti in una miscela accattivante e suggestiva come una luna che spunta dalla collina. Ci sono riferimenti alla Band (soprattutto nell'uso dell'organo) e a Van Morrison (anche nella voce), ai magici Little Feat di Lowell George e ai Byrds (nell'abitudine di sfruttare le chitarre con discrezione, ma senza rischiare colpi a vuoto), nonché, inevitabile per un gruppo di quel settore, ai Creedence Clearwater Revival. Raining in Baltimore è quasi un'elegia, un canto di solitudine e di amore smarrito. Mentre piove su Baltimora e lei è lontana, quando i discorsi sul treno non significano nulla e c'è solo voglia di scomparire, le cose che mancano s...

U2 - The Unforgettable Fire (1984)

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L'ultimo edificio di questa piccola carrellata di dischi che ne hanno uno in copertina ci porta nella Contea di Westmeath, nel cuore d'Irlanda, con le rovine di un castello, quello di Moydrum, situato nei pressi della cittadina di Athlone. Lì quattro ragazzi irlandesi, insieme a quello che diventerà il loro amico e fotografo per i successivi quattro decenni, Anton Corbijn, posano per la copertina di un disco che nelle loro intenzioni doveva rappresentare una svolta concettuale e musicale. È facile d'altronde mettere a confronto le prime copertine degli U2 con questa, e rilevarne la differenza concettuale: lo sguardo dolce di Peter Rowen, il fratellino di Guggi, amico di Bono, che capeggia in Boy (1980), la band ripresa in October (1981) sullo sfondo il porto di Dublino, e lo sguardo, rabbioso e drammatico, dello stesso Peter Rowen in War (1983, una delle copertine più iconiche del decennio).  Dopo il tour di War, Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. cercano una s...

Glass Animals – Zaba (2014)

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di Mauro Carosio I Glass Animals sono l’ennesimo prodotto di un filone britannico che strizza l’occhio a un genere spesso definito art pop, che ha avuto un grande successo all’inizio degli anni zero. La band di Oxford ha debuttato nel 2012 con un decoroso EP, Leaflings, e con tutta calma ha atteso due anni per presentarsi alla grande con il primo album. Zaba è un disco corposo e di buon livello nonostante gli eccessivi richiami ai promotori del genere, primi fra tutti gli Alt-J. Undici brani ben costruiti in uno stile senz’altro compiuto e coerente col rischio di risultare ripetitivo. Alcuni momenti particolarmente riusciti si trovano in due tracce dalla linea melodica indubbiamente azzeccata: Flip e Pools. Il resto è un agglomerato compatto, di facile ascolto, talvolta interessante per la complessità ritmica e i delicati passaggi di atmosfera. Salutati dalla stampa britannica con grande favore e coccolati da nomi celebri, hanno aperto i concerti dell’ultimo tour di St. Vincent; ...

Jimi Hendrix - Electric Ladyland (1968)

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di Silvano Bottaro Il 1968 è un anno cruciale per Jimi Hendrix. Il mancino di Seattle sembra poter raccogliere, in termini di gloria e quattrini, i frutti d'una attività estenuante che lo ha condotto finalmente - meglio tardi che mai - nell'impero del divismo rock. L'anno precedente ha mandato in orbita il pubblico di Monterey con un set destinato alla leggenda: l'uso di distorsori, pedali wah wah e feedback esaltano l'anima sfuggente e psichedelica del suo "sentimento blues"; il simbolismo visivo, culminante con lo stupro e l'incendio della Fender, sublima la potenza della messinscena.  I due primi capitoli discografici, "Are You Experienced?" e il successivo "Axis: Bold As Love", pur accolti con favore, risentono giocoforza dei vorticosi ritmi di lavoro cui l'Experience è sottoposta e, pur contenendo alcune canzoni-manifesto dell'arte hendrixiana, non trovano il passo sciolto della coesione. Adesso Jimi sente il ...

Old Crow Medicine Show - Remedy (2014)

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di Davide Albini Non sono forse stati i primi ad accendere la miccia, parlo della rivisitazione di certe sonorità old time, ma certamente hanno assunto un ruolo guida in poco tempo, tanto da diventare uno dei pochi significativi fenomeni offerti della musica tradizionale americana degli ultimi dieci anni. Tanto è passato dall'esordio omonimo degli Old Crow Medicine Show nel 2004, che li svelò con il successo travolgente del brano Wagon Wheel, e cinque dischi dopo il quintetto (di base, oggi allargati in tutto a sette membri) guidato dai fondatori Critter Fuqua e Ketch Secor ha trovato la forza di non sedersi sugli allori, anzi di rinnovarsi pur restando dentro la loro collaudata formula acustica, di fare insomma un ulteriore passo avanti. Remedy, diciamolo subito, è uno dei loro dischi più brillanti e ispirati, un album che conferma la produzione lungimirante di Ted Hutt (alla guida anche nell'ottimo capitolo precedente, Carry Me Back) trovando nuova linfa in quell'imm...

AA.VV. - Easy Rider (O.s.t.) (1969)

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Le storie di musica di Maggio le ho scelte pescando da un oceano immenso: le colonne sonore. Sono comparse già in passato in questa rubrica, ma non in senso organico. Nemmeno stavolta sarà possibile essere esaustivi, occorrerebbero centinaia di domeniche, ma ne ho scelte 4, particolari, dove il rapporto con la canzone rock è decisivo, anche e soprattutto come genesi dell’intero accompagnamento musicale al film. Easy Rider era uno slang un po’ sboccato per definire un playboy, ma dopo che Dennis Hopper decise di usarlo per il titolo del suo primo film, è divenuto sinonimo di motociclista, che vive la vita in libertà da antieroe. Hopper insieme a Peter Fonda firma la sceneggiatura di uno dei più grandi film degli anni ‘60, manifesto della stagione hippie americana, e nel 1969 esce nelle sale Easy Rider (che in italiano ha un sottotitolo Libertà E Paura): Wyatt e Bill, dopo avere trasportato un carico di cocaina dal Messico agli Stati Uniti, investono parte del guadagno in due motociclett...

E T I C H E T T E

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