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Visualizzazione dei post da ottobre, 2024

Yellow Submarine - The Beatles (1966)

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Niente a che vedere con l'Lsd, come molti ipotizzarono. Una semplice (ma bellissima) canzone per bambini, una filastrocca che Paul McCartney scrisse a letto, una sera, dopo essere stato influenzato dalla dylaniana Rainy Day Woman #12 & 35 , che due settimane prima era entrata in classifica. Dylan aveva utilizzato una band di ottoni per ottenere un suono stile Esercito della salvezza a lasciato spazio al divertimento. McCartney pensò a un procedimento simile, che prevedesse molti effetti sonori. Con gli altri Beatles entrò nei magazzini degli studi di Abbey Road e fece razzia di trombette, fischietti, tubi di gomma, catene, campanelli. Si divertirono molto. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Gillian Welch and David Rawling - Woodland (2024)

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 di Fabio Cerbone  Il tempo dell’attesa è ormai una rarità nel mondo contemporaneo, a maggior ragione nella musica, schiacciata dal qui e subito dell’era dello streaming. Nel caso di Gillian Welch e David Rawlings, coppia delle meraviglie del folk americano, è invece un prezioso alleato per aumentare l’aura di sacralità intorno alle loro uscite discografiche, uno dei pochissimi esempi di forza artistica che corre di pari passo con il gesto della stessa composizione musicale, centellinata con la pazienza di un artigiano che scolpisce e incava il legno, materiale del cui profumo terrigno e antico sembrano fatte le ballate del duo. A tredici anni da The Harrow and The Harvest, l’ultimo album di materiale originale della coppia, e accreditandosi per la prima volta in carriera con entrambi i nomi (era avvenuto soltanto con l’album di cover e tradizionali del 2020, All the Good Times Are Past & Gone) Welch e Rawlings condividono più che mai in profondità gli alti e bassi vissuti in tempi

The Antlers - Familiars (2014)

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Quarto album per i The Antlers. “Familiars” dimostra quanto la formazione newyorkese sia cresciuta nel corso degli anni. Un percorso artistico che li ha visti plasmare un sound elegante, al limite tra dream pop e folk, e dare alle stampe album come “Hospice” e “Burst Apart”, che si collocano di diritto tra i dischi più interessanti degli ultimi anni. Oggi il progetto di Peter Silberman pubblica il suo disco più bello, in cui le ambizioni pop presenti nei due lavori precedenti, vengono filtrate da un suono ancor più sofisticato e godibile. È un barlume malinconico di note al velluto capaci di colpirti nel profondo; canzoni incantevoli che sembrano immerse nell’azzurro del cielo. Tutto fragile come il cristallo. Tutto pronto a sgretolarsi da un momento all’altro. Le composizioni di Familiars sono dipinti sonori di nostalgia sognante: Palace, Director, Revisited, Refuge, sprofondano in abissi di malinconia. Doppelganger, Hotel, Parade, restano sospese come nuvole. Una lentezza solenne

Nick Cave & The Bad Seeds - Dig, Lazarus, Dig! (2008)

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di Silvano Bottaro Non vive certamente sugli allori il nostro Nick Cave se nel giro di dodici mesi riesce a pubblicare tre album. Dopo il progetto “Grinderman”, la colonna sonora di “The Assassination Of Jesse James”, è uscito poche settimane fa “Dig, Lazarus, Dig!” assieme ai suoi fedeli "Semi Cattivi". Tre dischi diversi uno dall’altro. Se l’estemporaneo “Grinderman” sembrava uscito dall’atmosfera che si crea in una serata tra amici in cui l’alcol fa da padrone, nella colonna sonora di “The assassination…”, Cave sembra smaltire i postumi della sbornia riposandosi e rinunciando alle parole, ai suoi testi che invece in questo “Dig, Lazarus, Dig!” sono molto presenti, forse troppo. “Volevo fare un disco acustico però grezzo, dove tutti picchiassero sui loro strumenti anziché suonarli semplicemente. Tanti anni fa avevo già cercato una via del genere, ai tempi di Henry's Dream; ma il progetto mi era scappato di mano, era venuto un album troppo elettrico, troppo ro

Swans - To Be Kind (2014)

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di Michele Saran Altro doppio disco altra corsa. A Michael Gira, patron assoluto e onorario degli Swans, non bastava “The Seer”, il colosso fatto di colossi che tanto fece parlare di sé due anni or sono. E’ ora la volta di “To Be Kind”, nuovo disco-mostro che prosegue la saga del progetto con i medesimi ingredienti del predecessore. Stavolta la voglia di stupire il ritrovato pubblico di vecchi e nuovi fan sembra però prevalere sull’ispirazione. L’iniziale “Screen Shot” è anche il brano programmatico: andatura boogie-blues, litania scandita, fiacco saltarello gotico, crescendo verso un “tutti” chitarristico. Queste caratteristiche si ritrovano più o meno modulate nelle restanti parti. Il talking-blues sonnolento e letargico di “Just A Little Boy”, con tanto di voce invecchiata ad arte, di quando in quando prende slancio e forza, ma anche in questi brevi momenti è una pallida copia delle sfuriate di trent’anni fa. “A Little God In My Hands”, funk surreale Nick Cave-iano, di nuovo

Snow Patrol - The Forest Is the Path (2024)

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 di  Angela Denise Laudato Avevamo lasciato gli Snow Patrol sei anni fa, con l’album “Wildness” per ritrovarli oggi con un ottavo lavoro, “The Forest is the Path”, prodotto da Fraser T Smith (Adele/Dave/Stormzy): “Un album che affonda le sue radici nella riflessione, nell’introspezione e nell’interrogazione” – dichiara Gary Lightbody, frontman della band – e che sviscera “l’idea dell’amore a distanza di tempo”. In tutta la loro carriera gli Snow Patrol (oggi il trio è composto da Gary Lightbody, Johnny McDaid e Nathan Connolly) hanno intrecciato in musica canzoni d’amore e perdita. Ma il nuovo album “The Forest is the Path” passerà sicuramente alla storia come il più onestamente vulnerabile e il più infelice. Difficile scrivere di una band che ritrova da circa trent’anni il favore del pubblico. Anche in questo nuovo lavoro risultano prosaici, seguono le stesse progressioni di accordi lenti e mutevoli, creando quella maestosa andatura da stadio arricchita da chitarre sbuffanti, tastiere

Formula 3

Celebre soprattutto per essere stata l'unica band ad avere accompagnato Lucio Battisti, la Formula 3 rimane negli annali del pop italiano anche per una manciata di buoni dischi pubblicati in proprio all'inizio deli anni '70, ancora oggi molto considerati dagli amanti del progressive in salsa mediterranea. Il gruppo si forma nel 1969 dall'unione del chitarrista Alberto Radius, proveniente dai Quelli. Discografia e Wikipedia

Time - Pink Floyd (1973)

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In genere si magnifica il genio di Syd barrett o le visioni di Roger Waters. Vorrei qui, per una volta, cantare, e a lungo, di David Gilmour, inglese di Cambridge, figlio di un professore di zoologia e di una montatrice cinematografica che poteva passare alla storia come l'uomo nomale che ha perso il posto della leggenda, l'ordinarietà nei panni del mito, ereditando dunque il testimone più scomodo. Invece no. E' andato oltre. E' diventato mito lui stesso, scrivendo pagine importanti, canzoni potenti come tuoni e assoli resistenti come il ferro. Solo che, per carattere, è rimasto sempre nell'ombra, dietro al suo strumento e a una band che non aveva bisogno di volti da incorniciare, perché la musica era già un quadro troppo grande. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Captain Beyond - Captain Beyond (1972)

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Il mio impegno di scoprire più gruppi e artisti sconosciuti ma autori di dischi eccezionali inizia oggi. E inizia con quello che una volta si chiamava un supergruppo: musicisti provenienti da altre band che, a volte non lasciando definitivamente i loro gruppi di appartenenza, si riunivano per suonare in divertimento ciò che gli interessava di più. La storia di oggi ci porta a Los Angeles ad inizio degli anni '70. La grande stagione della musica californiana è al termine della sua spinta propulsiva, ma ha lasciato sul campo semi che germoglieranno per tanni. I musicisti del gruppo di oggi hanno storie particolari. Rod Evans è britannico, è stato il primo cantante dei Deep Purple, per i primi 3 dischi (quelli dell'avvio psichedelico, Shades Of Deep Purple e lo splendido The Book Of Taliesyn del 1968, e poi Deep Purple del 1969), ruolo che perde per Ian Gillian. Evans abbandona l'Inghilterra e va prima in Florida, dove prova la carriera solista, e poi vira in California, dove

Clap Your Hands Say Yeah - Only Run (2014)

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di Lorenzo Righetto Non è stata una reunion estemporanea, si vede, se i Clap Your Hands Say Yeah tornano con un nuovo disco dopo l’abbandono di due dei suoi membri, spingendosi inoltre fino a distribuirlo autonomamente, perlomeno nel Nord America. Il lieve cambio di sound, qui più aereo e sintetico e meno chitarristico che in passato, diventa così inevitabile, facendo assomigliare questo “Only Run” a un misto tra degli Antlers meno a fuoco e dei National senza i fratelli Dessner. È invece il cameo di Matt Berninger in “Coming Down” a rappresentare il fiore all’occhiello dell’album, per il resto testimonianza di un cantautore, Alec Ounsworth, alla ricerca ormai da tempo infruttuosa di un’impossibile maturità, laddove il fascino maggiore dell’esordio della sua band stava nella carica esistenziale della sua imperfezione, soprattutto nelle interpretazioni del suo frontman. In “Only Run” fanno da padroni, invece, una scrittura e un tono decisamente appesantiti (“As Always”, “Co

The Neville Brother's - Brother's Keeper (1990)

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di Silvano Bottaro Ci sono musicisti che a vent'anni hanno già detto tutto quello che potevano dire. Ce ne sono altri, invece, che a cinquanta suonati incominciano a dire le cose più importanti della loro vita. Il caso dei fratelli Neville di New Orleans è quanto mai sintomatico di quanto detto sopra. I Brother's, hanno percorso in silenzio e dignità la china di una fama ardentemente e meritatamente ricercata. Il successo del loro penultimo album, "Yellow Moon", è la testimonianza di una fede nella musica che va al di là delle mode o dei generi. Tra le altre cose, hanno il pregio di non poter essere facilmente catalogabili per genere. La loro musica non è mai stata inserita perfettamente in alcuno dei tanti compartimenti in cui è divisa la musica americana. Sembra infatti che, i negozianti non sappiano mai esattamente dove mettere i loro dischi. E' capitato di trovarli nei posti più impensabili: nella sezione country, in quella gospel... Questa confusio

The Knife - Shaking The Habitual (2013)

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di Andrea Hawkes Un capolavoro, ma non uno di quelli facili. Sono passati sette anni da Silent Shout e la fama di The Knife è andata via via aumentando, ma i due fratelli svedesi invece di capitalizzare il successo con un disco almeno in parte accessibile al grande pubblico scelgono la via più impervia, pubblicando quasi cento minuti di pura musica d’arte che offre pochi appigli immediati e ancor meno punti di riferimento. Quasi la versione europea ed elettronica di The Seer degli Swans. Un disco che è diffi cile da comprendere subito anche per gli appassionati di musica elettronica: quasi un terzo dell’album è costituito da drone dissonanti, i suoni sono diffi cilmente identifi cabili, i ritmi sono sempre spiazzanti, non esistono vere melodie e la voce è frammentata in ritagli che spesso s’interrompono nel momento risolutivo con urla ed effetti teatrali, ma una volta superato lo shock e il disagio iniziale Shaking the habitual si rivela in tutta la sua indiscutibile bellezza. I

E T I C H E T T E

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