Elton John - Goodbye Yellow Brick Road (1973)

Reginald Dwight forse non vi dirà nulla, ma è il vero nome di uno dei più grandi artisti della musica di sempre. Lo cambierà quando, giovanissimo, si unì ad un gruppo, i Bluesology, che accompagnavano in Inghilterra i grandi artisti del blues e del jazz americani. Reginald cambia il suo nome di in Elton John in omaggio a Elton Dean, grande sassofonista britannico, e Long John Baldry, uno dei padri del british blues. Inizia così una carriera cinquantennale, che sta per concludersi con un farewell tour in corso. Eppure gli inizi sono tutt'altro che folgoranti, dato che viene ingaggiato per la Dick James Music, notissima casa editrice musicale londinese, a dieci sterline a settimana, scrivendo piccole hit, jingle, anche successi di classifica. Lì incontra Bernie Taupin, paroliere raffinato, delicato e sensibile. Inizia così un duo tra i più grandi e prolifici di sempre. C’è voglia di provarci, ma Empy Sky (1969), prodotto dalla DJM (che manterrà parte dei diritti fino al 1975, facendo dei due una gallina dalle uova d’oro, con annesse cause e dispetti). Elton John esordisce focalizzando tutto il disco sulla sua bravura pianistica, dove ci sono accenni di Beatles, progressive (partecipò senza gloria alle selezioni per i cantanti dei King Crimson e dei Gentle Giant), epica e passione, ma il disco è un fiasco, e il singolo, Lady Samantha, non va nemmeno in classifica. L’anno successivo, ci riprova con Elton John, e già la consistenza è diversa: innanzitutto si forma la squadra che lo accompagnerà per tutta la prima metà degli anni ‘70: Taupin ai testi, Paul Buckmaster agli arrangiamenti, Gus Dudgeon alla produzione e una band che vede alla batteria Nigel Olsson e Dee Murray, con un passato nella Spencer Davis Group. Nel disco la prima grande canzone, Your Song. Inizia a scrivere con un ritmo assurdo, anche 3 dischi all’anno, e ad ognuno aggiunge particolari: il western di Tumbleweed Connection, il live 17-11-70, che già dà dimostrazione di che animale da palcoscenico è, Madman Across The Water (1971, con la famosa Tiny Dancer). Si ritira in un meraviglioso castello francese, lo Chateau D'Hérouville, che diviene il suo studio per il primo, grande album storico, Honky Chateau (1972), che ha come pezzi di novanta la storica e stupenda Rocket Man, Honky Cat e Amy (con al violino nientemeno che Jean Luc Ponty): il disco arriva al primo posto negli USA. Con Don’t Shoot Me, I’m Only The Piano Player (1973) aumenta ancora la sua popolarità, per via di uno singolo eccezionale come Crocodile Rock e i primi look che definire stravaganti è riduttivo: zatteroni glitter, abiti sgargianti, migliaia di occhiali pacchiani e parrucche inverosimili, mischiando glam e rock in maniera selvaggia ed irresistibile. Decide di andare in Giamaica per registrare nuovi pezzi, seguendo l’esempio che i suoi amici Rolling Stones fecero con Goats Head Soup, ma la situazione politica e il clima di occupazione militare, aumentato dalle ingenti misure di sicurezza per il grande incontro di boxe Frazier-Foreman spinsero Elton John e la produzione a tornare in Francia. Goodbye Yellow Brick Road però fu completato in soli 15 giorni, ed è un doppio album da 17 canzoni! È una sorta di enciclopedia della musica rock, per stili, perfomance, canzoni. La copertina e il titolo sono un omaggio con citazione a Il Mago di Oz, con la strada lastricata d’oro a simboleggiare il passaggio dall’innocenza all’esperienza. Il disco si apre con lo strumentale progressive Funeral For a Friend\Love Lies Bleeding, 11 minuti pirotecnici e fantastici, che sfumano nella delicata Candle In The Wind, dedicata a Marylin Monroe (Goodbye Norma Jean, il primo verso) ma tristemente divenuta famosissima dopo che Elton John e Taupin riscrissero il testo per i funerali di Lady Diana Spencer, grandissima amica dei due, e che nella funebre rilettura divenne il singolo più venduto della storia della musica. Il disco è superlativo, da manuale della musica: il falsetto di Bennie And The Jets, uno dei suoi massimi capolavori, la favolosa Goodbye Yellow Brick Road, la travolgente Saturday Night’s Alright (For Fighting), scritta proprio il giorno dell’arrivo a Kingston con ancora l’eco dell’incontro di boxe Joe Frazier- George Foreman (e sulla Giamaica scrisse pure Jamaica Jerk-Off, dal simpatico motivo reggae). Tra le sferzate rock anni ‘50 di Your Sister Can’t Twist (But She Can Rock ‘n Roll) e l’honky tonk di Social Disease, l’album si chiude con la corale e delicata Harmony. Il disco venderà milioni di copie, consacrando alla storia il periodo d’oro di questo geniale artista, capace di essere in questo periodo prolifico e di mantenere così alta la qualità delle sue composizioni. Non ci riuscirà per molto, sfiaccato da dipendenze e problemi vari. Che supererà, divenendo uno dei giganti della musica, con gli occhiali più strambi di sempre (per non dire dei parrucchini…)

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