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Visualizzazione dei post da aprile, 2020

B.B. King, il ragazzo del blues di Beale Street

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di Silvia Diventi re solo se sei stato principe. Oppure se credi a quanto dichiaravano i latini: nomen omen, come dire, Il tuo destino sta nel tuo nome. E uno il cui nome fa Riley B. King il destino lo ha già segnato, sempre a dar credito ai latini. E se non è già segnato fai di tutto per determinarlo. Riley nasce a Itta Bena il 16 settembre 1925 e passa molta della sua infanzia vivendo con la madre e la nonna, lavorando come contadino, veniva pagato 35 centesimi per ogni 100 libbre (45 kg) di cotone che raccoglieva, ma un giorno scopre il suo talento e, contestualmente, si appassiona ai cantanti neri come T-Bone Walker e Lonnie Johnson e artisti jazz come Charlie Christian e Django Reinhardt. Presto comincia ad esercitarsi cantando musica gospel in chiesa. Nel 1943 si trasferisce a Indianola e tre anni dopo a Memphis, dove affina la sua tecnica di chitarrista con l’aiuto del cugino, il chitarrista country blues Bukka White. Poco tempo dopo King comincia a trasmettere la sua

Mahavishnu Orchestra – The Inner Mounting Flame (1972)

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di Silvano Bottaro In un periodo adolescenziale della mia vita fui folgorato sulla via del jazz rock (e non solo), termine non certamente ortodosso per la critica jazzistica (non me ne voglia l’amico Jazzer). Fra i tanti musicisti e gruppi in auge in quegli anni, la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin nutriva la mia più sentita ammirazione.  Se Miles Davis inventò il jazz rock sulle onde di “Bitches Brew”, furono i suoi discepoli a dargli ordine e regola, a cominciare da John McLaughlin, che con Hammer e Cobham fondò nel 1971 la Mahavishnu Orchestra. The Inner Mounting Flame è uno dei capolavori insieme a Birds of Fire (1973) di questo genere sonoro: il jazz rock. Questo primo disco è completamente composto dal giovane trentenne chitarrista, dotato di una tecnica straordinaria affinata nei lunghi anni di apprendistato nella scena jazz blues britannica. McLaughlin è ispirato dalla filosofia induista di Sri Chinmoy e in “The Inner Mounting Flame” né dà evidente prova, infa

Lost in Transmission No. 55

Laura Marling – Song For Our Daughter (2020)

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di Roberto Remondino Laura Marling che pubblica sul suo Instagram i tutorial di chitarra, ne spiega le diverse accordature e descrive le tablature delle sue canzoni. E’ arrivata a otto. Siete chitarristi? Vi consiglio di guardarli. Non lo siete? Vogliatevi bene e guardateli lo stesso. Laura Marling che registra tre canzoni in versione stripped un Tiny Desk (House) Concerts per NPR. Guardatelo, è talmente emozionante nella sua semplicità che alla fine, forse, ringrazierete il fatto che duri solo 11 minuti. Non mi nascondo, a stento ho trattenuto le lacrime per quanta grazia risplende in quel salotto, e sono certo mi sarei lasciato andare completamente fosse durato di più. Laura Marling che compila una playlist su Spotify dove mette in fila 25 brani per i 25 chitarristi che l’hanno maggiormente influenzata. Provate ad ascoltarla e scoprirete quanto per lei contino molto la sostanza, le cose eseguite bene e la pulizia del suono, quanto siano più importanti il tocco, l’espressività

Willie Nelson

Il texano Willie Hugh Nelson (1933) da ragazzo suona e canta musica country che ascolta alla radio e presto comincia anche a comporla. A d dieci anni fa il suo debutto suonando la polka in un'orchestrina boema, ma la passione per la composizione resta in secondo piano per lungo tempo. Discografia e Wikipedia

Neil Young - After The Gold Rush (1970)

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L’album “After The Gold Rush” del cantautore canadese Neil Young pubblicato il 31 agosto 1970 presenta in copertina un’immagine “solarizzata” di uno scatto del fotografo Joel Bernstein. L’effetto non è stato voluto per una decisione artistica come inizialmente disse lo stesso fotografo, ma in realtà si è trattato di un tentativo di nascondere un “difetto” di fuori fuoco. Lo scatto fu effettuato a New York all’angolo di Sullivan Street e West 3rd Street… Bernstein notò una signora anziana che camminava su un marciapiede in direzione opposta a Neil e istintivamente decise che quella doveva essere l’immagine da inserire sulla copertina del nuovo album del cantautore e nella fretta di posizionarsi per inquadrare il tutto, ottenne una messa a fuoco sbagliata. La direzione artistica ed il design dell’album furono affidati al famoso art director Gary Burden.

The Dream Syndicate - The Universe Inside (2020)

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di Stefano Solventi Da quando la macchina Dream Syndicate si è rimessa in moto, è stato come se quanto rimasto in sospeso nella lunga parentesi di silenzio discografico – quasi trent’anni, da Ghost Stories del 1988 a How Did I Find Myself Here? del 2017 – intendesse testimoniare assieme al bisogno di accadere anche l’evoluzione perduta. Se l’album del rientro in pista riprendeva sostanzialmente il discorso interrotto, tenuto conto di tutto l’ingolfamento provocato dagli anni ma anche della padronanza (musicale e, come dire, esistenziale), già These Times dello scorso anno lasciava affiorare derive e disarticolazioni strutturali che nel repertorio “classico” giocavano un ruolo importante ma non primario. Certo, nei Dream Syndicate la componente psichedelica c’è sempre stata, però la loro calligrafia era al contempo asciutta, incline a una spigolosità urbana sbrigliata ma ombrosa, come una scossa punk che si propagava tra i sentieri sabbiosi dell’Arizona e i marciapiedi cocainici del

John Zorn. Ogni promessa è un debito

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di Vittorio John Zorn, grande musicista che ha sfornato capolavori indiscutibili. Vediamo un breve ritratto e una parte della sua discografia: da The Big Gundown: John Zorn Plays the Music of Ennio Morricone a The Circle Maker e molto altro… Finendo l’articolo dedicato ai Naked City vi ho inevitabilmente rimandato ad un futuro in cui si parla di John Zorn. Quel futuro è qui, in queste righe che rispondono anche ad una domanda impertinente di un lettore: “ma cosa ascolti prima di addormentarti? I Napalm Death? I Naked City?” la risposta è: “Spesso ascolto John Zorn, quel Zorn che ora vi vado a svelare”. Quello che incide dischi che lo hanno reso noto al di fuori dell’ambito della musica d’avanguardia come The Big Gundown: John Zorn Plays the Music of Ennio Morricone, pubblicato nel 1985 dalla Nonesuch Records, in cui Zorn propone arrangiamenti radicali di alcuni temi celebri delle colonne sonore cinematografiche di Morricone, arricchendoli di elementi provenienti dalla musica

Bob Dylan – Highway 61 Revisited (1965)

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di Silvano Bottaro Scegliere nella lunga discografia di Dylan gli album che bisognerebbe assolutamente avere a casa è molto difficile. Di sicuro tutti quelli che ha inciso negli anni Sessanta, che ovviamente sono pietre miliari, fondamentali e irrinunciabili. Senza per questo trascurare alcuni dischi incisi negli anni “minori”, che contengono comunque brani straordinari. Non potendo averli tutti, alcuni sono veramente essenziali: “The freewheelin’ Bob Dylan” e “The Times they are a-changin”, per quanto riguarda la fase acustica. Imperdibili anche i successivi “Another side of Bob Dylan”, “Bringing it all back home”, e poi ovviamente il qui recensito “Highway 61 Revisited “. Aggiungendo almeno “Blonde on blonde”e “Nashville skyline”, abbiamo un quadro più completo. Non è tutto, certo, ma è una buona base, per avere l’essenziale di Bob Dylan. Highway 61 Revisited - E’ difficile dire se si tratti del più bel disco di Dylan. Di sicuro è quello più importante, più completo, un manife

Lost in Transmission No. 54

Phish – Sigma Oasis (2020)

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di Marco Verdi Lo scorso 2 aprile i Phish, band del Vermont che ormai possiamo definire storica esistendo dal 1983, ha deciso di fare una sorpresa ai suoi fans pubblicando senza alcun battage pubblicitario un nuovo album, intitolato Sigma Oasis. Probabilmente la cosa era già nei piani del quartetto (Trey Anastasio, Mike Gordon, Page McConnell e Jon Fishman), ma l’emergenza coronavirus li ha spinti a bruciare le tappe in modo da dare al loro pubblico della nuova musica per questo lungo periodo di quarantena: purtroppo al momento l’album è disponibile soltanto come download (a pagamento) sulle principali piattaforme, e non è ancora stata resa nota una data di pubblicazione di un eventuale supporto fisico. Sarebbe un vero peccato se non potessimo avere a breve anche il CD tra le mani (parlo ovviamente di chi come il sottoscritto predilige ancora la fruizione vecchio stile, “da divano”), perché già dal primo ascolto Sigma Oasis si rivela non solo superiore al precedente e già ottimo Bi

Les Négresses Vertes

Costituitisi a Parigi nel 1987, Les Négresses Vertes sono uno dei pochi gruppi francesi a godere di notorietà internazionale. Provenienti da diversi contesti sociali e razziali (perlopiù da zone a elevato tasso di immigrazione delle grandi metropoli e dal Sud della Francia, la Camargue). Discografia e Wikipedia

Editors - The Weight Of Your Love (2013)

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La copertina dell'album "The Weight Of Your Love" della rock band britannica degli Editors uscito sul mercato il 28 giugno 2013, è di grande impatto visivo. A prima vista l'immagine potrebbe sembrare un dipinto, in realtà è una fotografia subacquea di un fiore realizzata dal fotografo britannico Charles Emerson ottenuta utilizzando acqua e inchiostro. Questa immagine fa parte di una serie di foto scattate dallo stesso fotografo nel 2011. Charles con questa tecnica è riuscito a realizzare opere che sperimentano i confini tra pittura e fotografia.

Brian Fallon – Local Honey (2020)

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di Gianfranco Marmoro Non è stato facile per Brian Fallon recidere il cordone ombelicale con i Gaslight Anthem. Dopo aver messo in stand-by la formazione nel lontano 2015 - unica eccezione una reunion celebrativa del decennale di “The '59 Sound”, nel 2018 - il chitarrista e leader della band del New Jersey ha inciso due album fin troppo stilisticamente conformi, sacrificando giusto qualche residuo punk-rock degli esordi. “Local Honey” riparte dalle più tenui inflessioni sonore alla Tom Petty e sorride alla poetica di Bruce Springsteen, lasciando nelle mani di sonorità più acustiche e confidenziali un album che appare come una rinascita spirituale, nonché un segno tangibile di maturità e consapevolezza. Con le dovute differenze, questo è per Fallon il suo “Nebraska” o il suo “Time Out Of Mind”, nonostante manchi in parte la potenza della scrittura del primo e l'aliena magia produttiva del secondo. Nessun problema, “Local Honey” ha motivazioni sufficienti per essere

Ramones: vera scintilla per tutti i punk

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di Vittorio I Ramones. Canzoni, sparate e distorte, testi ripetuti più volte perché troppo corti, ma veri punk nell’essenza. Ecco la storia di Joey Ramone e della sua passione per i Beatles… Quando ero piccolo tutti mi scherzavano perché ascoltavo, e mi piacevano, i RAMONES. Quelli più anziani di me si vantavano di essere un corpo e un’anima con la psichedelia stantia dei PINK FLOYD e il classicismo tronfio dei QUEEN. Quelli più giovani ballavano al ritmo delle canzoni di MICHEAL JACKSON e degli IMAGINATION. I miei coetanei facevano i duri con l’heavy metal degli IRON MAIDEN e con l’hardcore punk, che fra l’altro piaceva anche a me. Ma io mi emozionavo pure con quelle canzoncine, sparate e distorte, dei RAMONES. I cui testi venivano ripetuti almeno un paio di volte in quanto troppo brevi. Che dal vivo erano introdotte da quell’ONETWOTHREEFOUR e che in poco meno di un’ora ne venivano macinate oltre una ventina. Stilosissimi, i RAMONES. Jeans sdruciti, t-shirt e chiodo nero. Ne

Joy Division – Unknown pleasures (1979)

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di Silvano Bottaro La leggenda narra che due rockettari, Bernard Sumner (chitarra) e Peter Hook (basso) si incontrino a Manchester, la loro città, il 4 giugno del 1976. Spinti da una performance (che è anche il loro primo concerto) dei Sex Pistols, decidono di formare loro stessi una band. Sull’onda di una totale e radicale rifondazione musicale, cercano e incontrano l’aspirante poeta Ian Curtis. Partono facendosi chiamare Warsaw in onore della canzone “Warszawa” di David Bowie, per poi cambiarlo in Joy Division nome usato nei campi di concentramento nazisti dove venivano internate le donne destinate a soddisfare il sinistro piacere degli ufficiali con la croce uncinata. Nell’Inghilterra dei fine anni ’70 travolta dal punk la provocazione era diventata norma, persino abitudine. Circolavano voci strane su di loro e sul loro cantante, Ian Curtis, quello che nelle foto guardava da un’altra parte. Si muoveva in modo stranissimo e si diceva che sul palco simulasse crisi epilett

Frankie Newton immortala il Brittwood Bar

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di Gianni Lucini  Il 15 aprile 1937 il trombettista Frankie Newton con i suoi Uptown Serenaders incide il brano The Brittwood stomp, destinato a scolpire per sempre nella storia del jazz il nome del locale cui è dedicato: il Brittwood Bar and Grill. Situato al 594 di Lenox Avenue a New York, tra il 1932 e il 1942 è uno dei ritrovi più frequentati dagli amanti del jazz che vivono nella “grande mela”. Non è, a quel che si racconta, il massimo dell’eleganza e della discrezione. Tra musica e fumo Il fumo aleggia nell’aria come una nebbiolina sottile che in alcuni punti assume una consistenza tale da impedire la visibilità. Non è solo il prodotto del tabacco degli avventori ma una strana mescola alla quale le piastre di cottura della carne danno il loro contributo visivo e odoroso. Nonostante tutto, però, il Brittwood ospita musicisti di primo piano come la band di Willie Gant e l’ensemble di Newton. In più per molti anni il compito di intrattenere gli avventori nelle pause delle esibizioni

Lost in Transmission No. 53

Waxahatchee – Saint Cloud (2020)

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di Matteo Maioli Katie Crutchfield ha varcato da poco la soglia dei trent’anni, ma è da quindici che si esibisce davanti ad un pubblico con la chitarra a tracolla. Nata in un sobborgo di Birmingham (Alabama) dove non sono arrivati nè il punk nè internet, condivide con la gemella Allison (batterista poi reinventatasi chitarrista nei Swearin’) tutti i propri segreti, l’amore per i musical teatrali e la militanza in tre band di ispirazione grunge e orgogliosamente femministe. Ma dall’esordio con il nuovo progetto Waxahatchee nel 2012 arriva la fama, e con essa una vita in giro per l’America, condita di rapporti autodistruttivi con gli uomini e di dipendenza dall’alcool. Il quinto album “Saint Cloud” uscito per Merge è un ritorno alla purezza delle sue origini, a quando a casa i genitori le facevano ascoltare i dischi country e il pop dei Beatles e dei Kinks, dopo la lotta ai demoni interiori ed esteriori narrati nei capitoli precedenti – brani quali “Recite Remorse”, “Misery Over

Youssou N'Dour

Nato nel 1959 a Medina, distretto di Dakar, il senegalese Youssou N'Dour è uno dei più celebrati maestri di musica africana moderna, capace di fondere nel suo caratteristico stile contemporaneo con le tradizioni sonore dell'Africa Occidentale. La sua carriera inizia presto, a soli dodici anni. Discografia e Wikipedia

Herbie Hancock, un talento irrequieto

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di Gianni Lucini  Il 12 aprile 1940 nasce a Chicago, nell’Illinois, il pianista e compositore Herbie Hancock. Registrato all’anagrafe con il nome di Herbie Jeffrey Hancock a sette anni incontra per la prima volta un pianoforte. Scocca un amore a prima vista ma la sua relazione con quello strumento non è facilissima. Se da una parte frequenta assiduamente le lezioni e si applica con buoni risultati allo studio della tecnica classica, dall’altra non perde occasione di picchiare con foga sui tasti bianchi e neri seguendo i dischi di George Shearing e Oscar Peterson. Nel 1956, quando ha soltanto sedici anni, dà vita a una big band di diciassette elementi che dirige e della quale cura personalmente gli arrangiamenti. L’esperimento gli procura una certa notorietà ma non gli impedisce di continuare gli studi. Terminato il corso di base decide di specializzarsi in composizione e per mantenersi suona nei piccoli club di Chicago. La neve, un colpo di fortuna Come nelle favole il suo debutto sull

Vinicio Capossela - Rebetiko Gymnastas (2012)

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Il 12 luglio 2012 uscì sul mercato "Rebetiko Gymnastas", il nuovo album del cantautore italiano Vinicio Capossela. Questo suo nuovo lavoro fu ispirato al Rebetiko, un particolare genere della musica greca suonato da persone emarginate in cui cercavano di raccontare i propri disagi. Per questo motivo per la copertina del disco scelse di rivolgersi al grande disegnatore francese David Prudhomme autore di "Rebetiko - l'erba cattiva", una grafhic novel in cui l'autore offre una suggestiva ed emozionante descrizione di questo genere musicale greco e che ha affascinato anche lo stesso Capossela. Il libro risale al 2009 e racconta il finire degli anni '30, periodo in cui ad Atene prende piede la dittatura militare e il Rebetiko venne vietato perché considerato, dal dittatore Metaxas, una musica troppo orientalista. Fonte

Nadia Reid – Out Of My Province (2020)

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di Beatrice Pagni Contraddizioni, tenere, vulnerabili, intime, sicure, delicate, ossessionanti: è quello che porta con sè il terzo album di Nadia Reid assieme a melodie e testi evocativi. La scelta di allontanarsi da casa, dall’amata Nuova Zelanda, per approdare in America, negli studi della Spacebomb, si è rivelata un colpo da maestro per la cantautrice e per tutti i musicisti che si sono radunati intorno a lei. Dieci brani che dimostrano una nuova maturità e un uso intelligente di archi e corni per migliorare la produzione. Il terzo lavoro della cantautrice neozelandese è un disco che leviga la sottigliezza dello spazio sonoro con la grazia folk delle grandi voci del passato: Out Of My Province inizia lentamente, con una canzone d’amore al tempo di valzer, come se una band country si librasse in aria in preda a qualche stupefacente psichedelico. Cinque anni dopo l’uscita del suo disco d’esordio Listen to Formation, Look for the Signs – e tre anni dopo l’acclamato follow Pres

Little Eva, sfruttata e dimenticata

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di Gianni Lucini Il 10 aprile 2003 dopo una lunga malattia muore a Kinston, nel North Carolina, Little Eva. La notizia viene data distrattamente dai media di tutto il mondo. La sua morte non fa notizia perché ormai in pochi ricordano chi fosse quella donna che all’anagrafe è registrata con il nome di Eva Narcissus Boyd. Alle nuove generazioni non dice nulla e alle precedenti poco. Eppure per un brevissimo tempo è stata una stella luminosissima della scena pop internazionale. Nata a Belhaven, nel North Carolina, il 29 giugno 1945. La sua è una famiglia numerosa, costretta a muoversi continuamente inseguendo il lavoro. Anche la piccola Eva non può permettersi di vivere tranquillamente la sua infanzia. Tutti devono dare il loro contributo per tirare avanti e la ragazzina si adatta alle necessità. La bambinaia canterina Il lungo peregrinare li porta nel 1960 a New York, dove Eva, ormai quindicenne, riesce a farsi assumere dalle famiglie dei quartieri ricchi come bambinaia. Tra i suoi affez

The Stranglers: Always the sun

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di Vittorio Always The Sun dei The Stranglers, per voi la storia il testo e la traduzione di questo brano del 1986 contenuto nel disco Dreamtime e tante altre curiosità… Always the sun, come cantavano THE STRANGLERS nel 1986: giorni di sole. Troppo. Troppo sole. Un delizioso pezzo contenuto nel loro Dreamtime, nono album della loro prestigiosa carriera partita nel settembre del 1974 in Inghilterra, precisamente nel Surrey. Scopriamo insieme la storia di questo brano: I primi album dei The Stranglers La separazione dal punk Dreamtime e Always the Sun: inizia il declino dei The Stranglers The Stranglers: Always the sun – testo e traduzione Il ritorno di fiamma Conclusioni I componenti originari del gruppo sono il chitarrista e cantante Hugh Cornwell, il cui timbro cavernoso e insieme beffardo sarà un punto di riferimento per tante future gothic band, il batterista Jet Black (Brian Duffy), il bassista (e voce) Jean Jacques Burnel e il tastierista e chitarrista Hans W

E T I C H E T T E

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