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Visualizzazione dei post da novembre, 2022

Devendra Banhart - Mala (2013)

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di Silvano Bottaro Anche col titolo del disco, Devandra, non smentisce il suo stile; il saper "giocare" con i doppi sensi. Mala infatti, soprannome della sua fidanzata serba Ana Kras, significa "tenera" in serbo e "cattiva" in spagnolo, lingua usata spesso dal cantautore. L'atmosfera di questo suo nono disco, non si discosta di molto da quella a cui ci ha abituato in questo decennio; una base folk con varie escursioni psichedeliche, latinoamericane e soprattutto in quest'ultimo, un abbondante uso del suono elettronico. Considerato il cantautore più freak ed hippie in circolazione, Mala è stato registrato a Los Angeles e, come nei precedenti lavori, ha usato uno studio familiare, con attrezzature che di fedeltà ne hanno ben poca. Basti ricordare che in passato usò (anche) la segreteria telefonica come registratore... sigh! Disco fedele al suo "essere", Mala è prodotto da lui stesso insieme al suo chitarrista Noah Georgeson.  &q

I Don’t Know For Sure - Hüsker Dü

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 di Andrea Pomini Ne abbiamo fatte di cose insieme, io e mio padre. L’ultima forse in cui è stato davvero evidente il mio essere figlio e il suo essere padre l’abbiamo fatta il 16 giugno del 1987. (Non è vero, giusto qualche giorno prima del lockdown è venuto qui con stucco e vernice a tappare dei buchi fatti da me col trapano nel posto sbagliato. Cioè io che tentavo di fare il padre, perché nel frattempo ho anche avuto due figli, e invece restavo tragicamente figlio). Il 16 giugno del 1987, qualcuno se lo ricorderà, è la data di uno degli unici due concerti fatti in Italia dagli Hüsker Dü, trio punk statunitense in quel momento all’apice della sua carriera, in procinto di diventare un caposaldo della musica alternativa tout court. Io adoro gli Hüsker Dü, ho tutti i loro dischi e li conosco praticamente a memoria. All’epoca i soldi sono pochi e di album se ne compra uno al mese, insieme alle cassette vergini per registrare quello che si sono comprati i due o tre outsider che condividon

Robyn Hitchcock - Shufflemania! (2022)

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 di Stefano Solventi I numeri dicono che questo Shufflemania! è l’album da solista numero ventidue per Robyn Hitchcock, un bottino a cui vanno aggiunti i tre con i Soft Boys e almeno un EP, quel Planet England apparecchiato tre anni fa assieme al compagno di genialoidi bizzarrie psych Andy Partridge. Altro numero è quello che riguarda l’età: fra pochi mesi – marzo 2023 – saranno ben 70 anni dacché il menestrello di Paddington è piovuto su questa terra.  Le righe precedenti possono sembrare un incipit arido, persino iniquo per una recensione del nuovo lavoro di un musicista che da sempre si è mosso sopra, sotto e tra le righe, sostanzialmente imprendibile, obliquo alle traiettorie alternative standard e refrattario alle (f)regole del successo, lui che quanto a verve melodica ne avrebbe per sfamare airplay e playlist con regolarità. Già, perché una camicia sgargiante dopo l’altra Hitchcock ha coltivato imperterrito visioni e stravisioni nella sua bolla di vetro pressurizzata, tenendo sul

Peter Tosh

Soprannominato "Ministro dell'erba", per le continue e clamorose prese di posizione a favore della marijuana, Peter Tosh (1944 - 1987), vero nome Winston Hubert McIntosh) durante i '60 si fa notare con numerosi singoli editi da piccole etichette giamaicane, pubblicate sotto vari pseudonimi. Tra questi I'm The Tooughest e 400 Years, portati al successo anni dopo come solista. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #15

I cantautori di fine anni ’60 Tra le tante rivoluzioni musicali messe in atto da Bob Dylan ( e più in generale dal movimento del Greenwich Village) durante gli anni ’60 c’è la creazione di uno di stile cantautoriale in cui musica e testi acquistano pari dignità: non-genere che si diffonde a macchia d’olio, rendendo necessaria una rapida escursione in giro per la mappa Americana ( e Inglese) di fine decennio alla ricerca dei suoi eredi. Punto di partenza non può che essere proprio il Greenwich Village: lì si esibiva Laura Nyro, personificazione del melting-pot cittadino con un incredibile ibrido tra soul, jazz e folk cui fanno eco liriche evocative ed intense: grazie a dischi impeccabili come “ New York Tendaberry”(1969) e “Gonna Take a Miracle”(1971) sarà influenza imprescindibile per cantautrici di fine anni ’70 come Joan Armatrading e Rickie Lee Jones. Sempre nel Greenwich si muove l’Arlo Guthrie di “Alice’s Restaurant” (1967), con uno storytelling surreale che brilla sia nella chilo

Bill Callahan - Ytilaer (2022)

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 di Alberto Campo A 56 anni compiuti e avendo alle spalle oltre tre decenni di attività, nell’ottavo album a suo nome, dopo l’abbondante decina realizzata sotto la dicitura Smog, Bill Callahan raffigura – suggerisce il titolo – la realtà al contrario. Probabile sia una rifrazione del trauma causato dalla pandemia, tanto più considerando il movente da lui premesso: “Mi sembrava fosse necessario risvegliare le persone, volevo suoni e parole empatici”. Affermazione sorprendente in bocca a chi era considerato misantropo, benché poi ravveduto sull’onda della paternità, come avevano dimostrato i due dischi precedenti, Shepherd in a Sheepskin Vest (2019) e Gold Record (2020), insieme ai quali YTILAER compone una sorta di trilogia. Con voce baritonale, versi immaginifici e guizzi di humour (folgorante quello in “Everyway”: “Sento che sta arrivando qualcosa, una malattia o una canzone”) offre uno sguardo sull’esistenza in cui al disincanto subentra la compassione. Esordisce, in “First Bird”, pa

Papillon - Editors (2009)

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Prima chitarre e malinconie assortite, richiami ai Joy Division e a Echo and the Bunnymen, ma anche un Cure e agli Arcade Fire, ovvero il campionario giusto per le anime dark alla ricerca di qualcosa di diverso dall'ordinario pop britannico. Questi erano gli Editors dei primi due dischi, meravigliosi e struggenti anche se a tratti troppo U2. Poi, la voglia di nuove strade e di luci diverse, senza rinnegare i vecchi passi. Papillon è il punto di contatto tra le antiche sperimentazioni e la spina al ballabile. La voce è sempre tesa e potente, magnetica come quella di Stan Ridgway. Le chitarre cedono il passo ai sintetizzatori e a un suoni industriale, alienante ma non disperato.   (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Atoms For Peace - Amok (2013)

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di Silvano Bottaro "In tutte le cose c'è un ritmo che è parte del nostro universo. Ha simmetria, eleganza e grazia: le qualità in cui si coglie il vero artista. E' il ritmo delle stagioni, il modo in cui la sabbia modella una cresta, sono i rovi e il profilo delle foglie. Noi crediamo di copiare questi disegni, di trasferirli nelle nostre vite e nella nostra società, di farne rivivere il ritmo, la danza che ci riconfortano. E tuttavia, un pericolo si nasconde nella perfezione finale. E' chiaro che lo schema ultimo contiene la sua fissità. In questa perfezione ogni cosa procede verso la morte". (da "Dune" di Frank Herbert) Il nome del gruppo "Atoms For Peace" è preso da uno dei brani presenti in "The Eraser", primo disco solista di Thom Yorke pubblicato nel 2006. "Amok" prima incisione degli Atoms è per meglio dire, il secondo disco solista del leader dei Radiohead. Va detto innanzitutto che questo gruppo è format

Willie The Pimp - Frank Zappa

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di Salvatore D’Amato Quando ascoltai quel riff eseguito da un violino svettante all’ inizio del pezzo mi trovavo nei corridoi del liceo, alcuni decenni fa. Con la scusa di andare in bagno, mi sedevo sulla base delle colonne che reggevano l’istituto e me ne stavo ad ascoltare musica da un mini registratore a cassette; quel giorno era il momento di una compilation realizzata da un cugino di mia madre che è stato indiscutibilmente uno dei miei mentori, l’indimenticabile Tullio Della Croce. Le orecchie si drizzarono immediatamente e mentre lo spazio sonoro era occupato da una voce cavernosa e rugginosa che cantava alcune strofe la mia attenzione era già ai massimi livelli: il successivo assolo di chitarra (lunghissimo e meraviglioso, oggi lo affermo; quello che preferisco nell’intera storia del rock)mi mise davvero ko. Non ne avevo mai sentito uno del genere prima: era coinvolgente, intenso e profondo, una vera e propria colata lavica che si abbatteva sul mio udito e apriva letteralmente u

Bruce Springsteen – Only the Strong Survive (2022)

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di Alberto Calandriello C’è un motivo principale per cui alle soglie dei 50 anni ho deciso di iscrivermi in palestra, 25 anni abbondanti dopo l’ultima volta in cui ci misi piede; un motivo che conta più del necessario dimagrimento e della volontà di rimettermi in forma. Il motivo è la doccia calda dopo l’allenamento. Non per motivi igienici eh, ho il vizio di lavarmi spesso, anche a casa, per carità. Il motivo è che quando entro in doccia dopo aver sudato l’impossibile, la sensazione che l’acqua mi lavi via sudore e soprattutto malumori assortiti è assolutamente impagabile; sto lì qualche minuto, che mi basta per spazzare via le tensioni e le preoccupazioni della giornata lavorativa ed esco dalla palestra stanco morto, ma sereno. La musica soul mi fa lo stesso effetto. Ogni volta che ascolto uno qualunque dei tanti capolavori di questo genere musicale, arrivo al termine del disco che mi sento meglio, rilassato, a volte addirittura felice. Una sorta di allenamento dell’anima, che poi si

George Thorogood

Originario di Wilmington, Delaware George Thorogood (1950) si affaccia alla ribalta del rock-blues americano nel 1977, con uno stile aggressivo ed esuberante. Eccellente chitarrista slide, George Thorogood si rifà esplicitamente al blues elettrico e al r'n'r dei '50, riproponendo brani dei suoi maggiori ispiratori: Elmore James, John Lee Hooker, Chuck Berry e tanti altri. Discografia e Wikipedia

Secret Oyster - Sea Son (1974)

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Il viaggio di Ottobre tra il progressive europeo arriva in Danimarca, ultima tappa di questo piccolo ma significativo tour alla ricerca del prog “degli altri”. La piccola penisola, insieme con le altre grandi repubbliche scandinave, è stata un fervente laboratorio di idee e gruppi del genere sin dalla prima ora e, a dispetto di altri paesi, ha sempre mantenuto viva la fiamma del prog negli anni più difficili del punk fino ai giorni nostri (a quelle latitudini si scrive con due “g”, progg e ancora oggi è fenomenale serbatoio di band che rielaborano quei canoni, fan club, collezionisti). Tra i meravigliosi gruppi prog di quelle terre, ho scelto la band della storia musicale odierna per un semplice motivo personale: il disco di oggi è il regalo di un funzionario dell’ambasciata danese in Italia, che ho conosciuto per motivi di lavoro, appassionato di rock come me, con cui feci uno scambio: un disco dei Perigeo (La Valle Dei Templi,1975) per uno, a suo giudizio, della più sorprendente band

Circle Game - Joni Mitchell (1970)

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Padre pilota, madre insegnante, nonno trombettista, middle class piena. Il suo primo strumento fu l'ukulele, che imparò a suonare da un disco dimostrativo di Pete Seeger. All'età di nove anni, lei e Neil Young furono colpiti da poliomelite nella stessa epidemia canadese e fu proprio all'ospedale in cui trascorse il Natale che Joni cominciò a cantare, principalmente brani natalizi, più per scacciare i demoni della malattia che per vivere il proprio interesse artistico. Le sue vere passioni erano dipingere e scrivere poesie, e soltanto con l' avvento di Dylan si rese conto di poter unire tutte e tre le cose, perché una canzone era come una poesia dipinta e musicata.  (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Nick Cave & The Bad Seeds - Push The Sky Away (2013)

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di Silvano Bottaro Nick cave è un Grande musicista, questo va detto subito, ad onor del vero. Va detto soprattutto come riparo da pareri contrastanti e come salvaguardia di un "patrimonio" musicale tra i più interessanti degli ultimi trent'anni. Bisogna ricordare infatti che il nostro Nick, tra "Boys Next Door", "Bad Seeds", "Grinderman", "Warren Ellis" e alcune colonne sonore, ha inciso ventisei dischi, quasi uno all'anno, mica bazzecole. Quindicesimo con i Bad Seeds, a cinque anni dall'ottimo Dig!!! Lazarus, Dig!!! (2008), Push the Sky Away è un disco tranquillo e riflessivo con una manciata di brani di ottimo livello. Se per certi aspetti (personalmente) mi ricorda quel capolavoro mai superato di The Good Son (1990), l'album vive di propria luce, di personale autonomia. Nelle nove canzoni che compongono il disco, Cave, indossando i panni del songwriter, riesce a trasmettere sensazioni intense, cariche di atmo

Lost in Transmission No. 86

Bill Frisell – Four (2022)

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 di Alberto Campo Sei mesi fa il “New Yorker” gli dedicò un esteso servizio sotto l’intestazione: “Nessuno suona la chitarra come Bill Frisell”. Prendeva spunto dalla recente biografia firmata da Philip Watson, Beautiful Dreamer, sottotitolata “il chitarrista che ha cambiato il suono della Musica Americana”. Così stanno le cose, in effetti: ancorché poco appariscente, l’artista statunitense – innovativo negli anni Ottanta, manipolando lo strumento per mezzo di distorsori, delay, compressori e via dicendo, dai Novanta alle prese con i canoni della tradizione e nel XXI secolo dedito alla creazione di paesaggi sonori in apparenza rassicuranti – ha compiuto nell’arco di quattro decenni un percorso di straordinaria ampiezza panoramica, alle estremità del quale potremmo collocare da un lato il sodalizio con il sovversivo John Zorn e dall’altro la frequentazione dell’aristocrazia pop, da Elvis Costello a Marianne Faithfull. Ora settantunenne, al terzo album su Blue Note, affronta una prova im

Richard & Linda Thompson

Fondatore nel 1967 dei Fairport Convention, Richard Thompson (1949) ne è l'anima ispiratrice e il principale compositore dagli inizi sino al 1971. I suoi primi progetti autonomi lo vedono al fianco di Sandy Denny sotto la sigla The Bunch, per Rock On. Seguono una collaborazione con la Albion Country Band e un contributo al progetto Morris On, quindi session per Ian Matthews, Nick Drake, John Cale e tanti altri ancora. Discografia e Wikipedia

Jeff Buckley - Grace (1994)

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Per la leggenda basta a volte un unico, grande, disco. Questo sarà il filo rosso delle storie di musica del mese di Giugno. In inglese vengono chiamati “one wonder” e sono legati a momenti creativi particolari, ad esordi clamorosi, a dischi di fuoriusciti da band che non hanno più avuto seguito, per i motivi più vari. Quello che impedì a Jeff Buckley di continuare la sua carriera dopo la folgorazione dell’esordio fu un beffardo e tragico destino di morte: infatti stava lavorando al suo secondo quando, in circostanze romanzesche, annega durante una nuotata in un fiume, un affluente del fiume Mississippi, nel maggio del 1997. Aveva solo 31 anni, e il destino ha legato la sua morte giovane e tragica a quella del padre, Tim, morto a 28 anni. Buckley aveva un grande dono: era davvero innamorato della musica, in senso generale. Quando giovanissimo si trasferì a Los Angeles, affiancò al suo impiego come cameriere quello di chitarrista in un piccolo circuito di locali, dove alternava tutti i g

Anarchy in the U.K. - Sex Pistols (1977)

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A volte bisognerebbe andare a illuminare con i riflettori quelli che non sono ma stati celebrati. Perché nell'anarchico mondo del punk che faceva brillare Londra nella seconda metà degli anni settanta, attorno a Sex Pistols e Clash, si muovevano altre figure meno note ma non di secondo piano. Una si chiamava - e ancora si chiama perché vive a Londra con i suoi due figli, anche se non è più un'icona del punk londinese - Soo Lucas, ma per tutti era Soo Catwoman, la "Donna Gatto". Merito di quel taglio di capelli che lei stessa aveva inventato e chiesto di realizzare a un parrucchiere di Ealing, nel 1976: attorno ai lati e dietro alla testa i capelli erano molto corti.  (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Steve Earle - I'll Never Get Out of This World Alive (2011)

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di Silvano Bottaro Ognuno ha il suo ‘metro’ per valutare un disco, ognuno lo può ‘criticare’ attraverso le sue priorità. Personalmente uso sempre questo mio teorema: “La somma di quante volte un cd suona nel tuo lettore musicale è uguale alla somma di quanto il disco ti piace”. Al di là quindi di ogni razionale ricerca sonora, quello che conta, alla fine, riguarda una più semplice questione di ‘pelle’ o meglio di ‘udito’. In base al suddetto teorema, ‘I'll Never Get Out of This World Alive’ è l’album più ascoltato in questo primo quadrimestre del 2011 e per un semplice motivo: è bello! Non ci si aspetti niente di straordinario, sia chiaro, nessuna rivoluzione sonora, anzi, il contrario. Folk, Country e simili, sono i generi suonati, e, sarà la produzione di T-Bone Burnette, sarà il momento felice di Steve, il disco suona bene, ha grande carisma, ed è un piacere ascoltarlo. Non si può certamente dire che Earle abbia avuto una vita monotona: sposato sette volte e c

Lost in Transmission No. 85

Sun Ra Arkestra – Living Sky (2022)

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  di Silvano Bottaro Sun Ra salì a bordo dell'Arkestra per la prima volta negli anni Cinquanta, e rimase nella nave per i suoi viaggi spaziali esplorativi e pionieristici nella musica jazz fino alla sua morte avvenuta nel 1993.  Da lì in poi, il collettivo Arkestra continuò con i vecchi membri. Sono stati in grado di farlo perché per decenni l'Arkestra si è evoluta in una nave spaziale in continua evoluzione, viva e respirante di forte unità, come poche nella storia della musica.  Tutto questo è nato dall'approccio Jazz dello stesso Sun Ra, che poteva plasmare un suono che aveva echi di jazz tradizionale, New Orleans, progressioni classiche, fusione elettronica e sperimentazione varia, lontano e oltre il regno dell'immaginazione, raggiungendo un'altra dimensione, presentandosi spesso vestito con abiti futuristici.  Che i Sun Ra Arkestra siano stati un progetto impenetrabile, radicale, impossibile da definire è un eufemismo e di conseguenza, per l'ascoltatore di

3th Floor Elevatores

I 3th Floor Elevatores si formano nel 1965 dall'unione di due altri gruppi texani, i Lingsmen e gli Spades di Roky Erickson (1947). Entrambi i gruppi sono già discretamente famosi nella zona di Austin: i primi per il video elettrico di Thurman, strumento insolito per quegli anni, i secondi per una canzone scritta da Erickson; "You're Gonna Miss me", pubblicata originariamente su un 45 giri dalla Zero Records (1965). Discografia e Wikipedia

Mike Patton - Mondo Cane (2010)

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Il mese di storie musicali sulle cover e i dischi tributi ho deciso di concluderlo con uno dei dischi del genere più interessanti, inaspettati e deliziosi degli ultimi decenni. È un atto di amore e di ricerca di un’artista che definire poliedrico è dire poco, che come ha sempre detto in molte occasioni si è ritrovato ad avere metà cuore diventato italiano. Mike Patton a San Francisco, città dove è nato, verso la fine degli anni ‘80 sostituisce Chuck Mosely come cantante dei Faith No More, band fondamentale di quei primi avvisagli di mescolanze di genere e stili che verrà chiamato crossover: con 10 anni di vantaggio su quello che la critica definirà nu-metal, cuociono insieme, con la “delicatezza” di una pentola a pressione, metal, rock, rap, soul in un pietanza musicale che verrà poi provata da centinaia di band (penso a Epic, da The Real Thing, 1989, capolavoro del gruppo). Patton mostra subito delle doti canore straordinarie: capacità di cambiare registro come pochi altri, estensione

Laila - Eric Clapton (1970)

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La prima domanda fu: "Quanto ti senti cambiato da quando sui muri londinesi scrivevano "Clapton is God?", e la risposta mi fece ridere: "Intanto la prima volta che vidi la scritta "Clapton is God" era in una fotografia sul giornale, e c'era un cane che pisciava contro il muro. Pensai che la fama porta con sé sempre un prezzo da pagare". Eravamo a Londra, in un hotel cinque stelle dove a un certo punto uscì dalle cucine un ratto gigantesco. Raccontò di Robert Johnson e del blues, ma soprattutto dei suoi demoni, alcool e droga. Alla fine, quando già avevo il giubbotto addosso, me ne uscii con: "Senza le droghe, pensi che avresti mai scritto Layla?. Clapton rimase in silenzio per un tempo che a me parve interminabile. (M. Cotto - da Rock Therapy)

Arbouretum - Coming Out Of The Fog (2013)

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di Silvano Bottaro "Il classico non tramonta mai", questo è il sottotito che più calza a questo "Coming Out Of The Fog", quinto lavoro dei Arbouretum, band di quattro elementi provenienti da Baltimora. La struttura del disco infatti, è di un classico "suono" rock degli anni '70, nulla di avanguardistico, rivoluzionario quindi, ma solo blues, folk, rock e psichedelia, niente di più, semplicemente. Un "semplicemente" però di classe, suonato con stile e coraggio, con un occhio rivolto al passato e uno al futuro. Un perfetto equilibrio che genera un "gioco" sonoro particolarmente autentico. Gli otto brani che si succedono nel disco creano una atmosera intensa e, a parte qualche momento di noia, nel complesso l'album risulta piacevole. Se il suono delle ballate portano inevitabilmente a un "parallelo" con Neil Young e i suoi Crazy Horse, ascolto dopo ascolto gli Arbouretum riescono a convincere, ritagliandosi un

Lost in Transmission No. 84

E T I C H E T T E

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