Jimi Hendrix - Jimi Plays Monterey (1986)

Da pochi giorni a Genova si è aperta una mostra evento su Niccolò Paganini, dal titolo Paganini Rockstar. Il mago del violino infatti, cito dalla locandina della mostra “è stato una vera e propria rockstar, in tempi in cui il rock neppure esisteva. È il musicista del passato che più di tutti si può accostare, senza esitazioni, alle stelle del rock della nostra epoca: Jimi Hendrix, fra tutte.
C’è un prima e dopo Hendrix nella storia della chitarra, e c’è stato un prima e un dopo Paganini nella storia del violino: il rapporto con lo strumento, il virtuosismo, le spettacolari performances in pubblico, i concerti affollati, sono solo alcune delle affinità tra i due, che in tempi diversi e con la stessa straordinaria potenza hanno rivoluzionato la musica”. Il paragone non è affatto ardito, perchè se c’è una costante nelle opinabili classifiche sul Rock è che Jimi Hendrix è stato il più grande chitarrista di tutti i tempi. 
Jimi Hendrix arriva al successo non più giovanissimo, dopo una gavetta infinita. Si accorge di lui Chas Chandler, bassista degli Animals, che lo porta a Londra a metà degli anni ‘60 affiancandogli un batterista, Mitch Mitchell, e un mediocre chitarrista, Noel Redding, che passerà al basso. Il trio che si forma si chiamerà Experience e ci si accorge subito che Jimi non ha bisogno della chitarra ritmica, coprendo tutte le parti di chitarra, facendo dello strumento il nuovo fulcro della sua musica, facendola cantare, ululare, strillare, vaneggiare, in una sorta di simbiosi mistica tra uomo e strumento. Fondamentale nella costruzione di questo suono unico, definito da un grande critico “una versione moderna del Delta Blues, di Un Mississipi che però sta su Marte”, il tecnico del suono Ed Kramer. L’esordio avviene nel maggio del 1967: Are You Experienced? è uno dei più grandi dischi della storia del Rock, manifesto della psichedelia, del rock blues trascinato da capolavori come Hey Joe, Purple Haze, The Wind Cries Mary e l’iconica Are You Experienced? con la parte ritmica ottenuta registrando al contrario una parte di chitarra e di batteria. Un mese dopo, nel giugno del 1967, l’esibizione al Monterey Pop Festival è la scintilla che innesca la denotazione. Durante la storica manifestazione, che sancì l’inizio dell’Estate dell’Amore, organizzata dai fratelli Phillips dei Mamas & Papas, dal discografico Lou Adler e dall’addetto stampa dei Beatles Derek Taylor, con contributo fondamentale di Paul McCartney, che spinse per far esibire la Jimi Hendrix Experience. 
Dopo una line-up leggendaria con esibizione storiche degli Who, dei Grateful Dead, dei Jefferson Aiplane, la prima esibizione con la Big Brother & The Holding Company di Janis Joplin, come penultimo show venne il turno di un allora poco conosciuto Hendrix: nove brani, poco più di mezz’ora, al tramonto di una giornata di giugno californiana. Inizia con un sentito omaggio al maestro Howlin’ Wolf con Killing Floor, poi la sua ammiccante Foxy Lady. Ma è dal sentito omaggio al sommo Dylan, grande passione e mito hendrixiano, con Like A Rolling Stone (come non ricordare la sua rilettura di All Along The Watchtower da Electric Ladyland, considerata dallo stesso Dylan la versione definitiva) che il concerto esplode nella potenza e nella tecnica di Jimi, che omaggia B.B. King in Rock Me Baby, davvero spaziale, e poi il fragore di Hey Joe, Purple Haze con il finale straordinario di Wild Thing: andando oltre la chitarra sfasciata di Pete Townsend il giorno prima, Jimi la brucia sul palco in una sorta di rituale magico, e il suono rantolante dello strumento è l’avvento di una nuova era rock. Tra l’altro quella chitarra fu restaurata e usata da Frank Zappa e la leggendaria Stratocaster del 1965 bruciacchiata è ancora in uso a suo figlio Dweezil Zappa durante i concerti. Il leggendario concerto fu filmato da D. A. Pennebaker e pubblicato come l’album solo nel 1986, dato che forse non c’è puzzle più complicato dell’eredità musicale di Hendrix, come ben noto morto nel 1970 a 27 anni, che nella sua breve carriera pubblicò solo 4 album, ma che postumo ne ha pubblicati decine, spesso con operazioni dal dubbio gusto e dalla qualità orribile, azione impensabile da associare ad una delle più grandi icone del rock, un mito immortale, a cui penso tra 200 anni possano organizzare una mostra come il suo storico amico violinista.

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