Post

Visualizzazione dei post da febbraio, 2019

Jessica Pratt – Quiet Signs (2019)

Immagine
di Vassilios Karagiannis Per ventisette minuti, la quiete vi reclamerà a sé. Non lo farà attraverso blande moine o incantevoli scenari da sogno, si paleserà invece in tutta la sua forza, arrivando addirittura a silenziarvi se lo riterrà necessario. Il tramite scelto per l'occasione è il terzo album di una delle sue più fidate interpreti, una musicista che alla tranquillità ha eretto un autentico monumento: esplicativo già dal titolo delle intenzioni della sua firmataria, “Quiet Signs” è opera che amplifica e perfeziona l'acuto minimalismo espressivo di Jessica Pratt, in un esemplare esercizio di (auto)controllo e pacatezza compositiva, tanto intima amica che aspirazione finale. Se è una ricetta che molti non riuscirebbero a condurre oltre il semplice compitino, nelle mani e nella mente della cantautrice californiana diventa materiale plastico, stracolmo di nuance e variabili, un breve ma eccellente compendio di essenzialità che è solo il lasciapassare per un intero univers

Fela Kuti

Proveniente da Abeokuta, nella Nigeria sud-occidentale, Fela Anikulapo Ransome-Kuti (1938 - 1997) cresce in una famiglia dalla tradizione nazionalista e anticolonialista, nella quale il nonno è un celebre compositore e la madre è pianista. Tramite lei nel 1957 Kuti conosce il leader rivoluzionario del Ghana, Kwame Nkrumah, da questo incontro nasce la sua coscienza politica. Discografia e wikipedia

Kel Assouf – Black Tenere (2019)

Immagine
di Riccardo Gorone La musica non ha mai avuto confini, poiché è lo stesso uomo che la produce a non averli. Se abbiamo dei confini, generalmente, dobbiamo dare la colpa a noi stessi che non ci spingiamo più in là del nostro naso. Può accadere che quei confini, quei limiti ci vengano imposti, e a quel punto è difficile contrastarli, ma vale la pena tentare. Ci sono culture e civiltà che i confini li vivono per poi viverli nel loro continuo oltrepassamento. In questo caso parliamo dei Tamashek, più comunemente conosciuti (e battezzati da noi bravi coloni europei), Tuareg, nello specifico, parliamo di Kel Assouf. Nato e cresciuto in Nigeria e trapiantato a Bruxelles in cui vive da undici anni con la sua famiglia. Verso orizzonti acustici che includono il rock della “tradizione” (Led Zeppelin, Black Sabbath, QOTSA, e così via) e la musica nelle sue attuali tendenze europea. Proprio queste differenti anime vengono tenute insieme dal disco “Black Tenere“. “I miei gusti musicali non

Lost in Transmission No. 4

Lost in Transmission No. 3

Ivan Graziani - Pigro (1978)

Immagine
Fare rock in Italia verso la fine degli anni ‘70 non era cosa facile. Dopo la fine del periodo progressive, memorabile, venne in seguito la stagione dei cantautori, con strascichi polemici e politici che visti oggi sono stucchevoli più che mai. Eppure qualche figura piano piano iniziò ad emergere. Due in particolare mi piace ricordare: Edoardo Bennato e Ivan Graziani. Graziani è stato il magnifico perdente della musica italiana. Talento notevole, guizzi musicali niente male, una tecnica chitarristica eccelsa ma un successo tutto sommato mediocre. Nasce, secondo la diceria, sul traghetto che da Olbia porta a Civitavecchia e cresce a Teramo. Giovanissimo, fonda nel 1966 il primo gruppo Anonima Sound, con cui partecipa al Cantagiro dell’anno successivo, incidendo qualche 45 giro di scarso successo. Scrive un album totalmente strumentale, con il nome Tato Tomaso’s Guitar, per un periodo si presenta come Rockelberry Roll, e con questo nome scrive un album di rock anni ‘50, Desperation. L

Neil Young - Needle and the Damage Done

Immagine

Sharon Van Etten – Remind Me Tomorrow (2019)

Immagine
di Stefano Quattri Dai primi sorprendenti ascolti, la sensazione che già a metà gennaio ci troviamo di fronte ad uno degli album destinato a rientrare in tutte le top ten di fine anno sembrerebbe decisamente fondata. Con il suo precedente album, datato 2014, “Are We There”, Sharon Van Etten si era definitivamente e aggiungiamo meritatamente guadagnata l’attenzione della stampa di settore, grazie ad una riuscita combinazione tra epica, eleganza e minimalismo. A distanza quasi esatta di un quinquennio, la cantautrice di Clinton, New Jersey, torna ora con un nuovo lavoro pubblicato nuovamente dall’etichetta discografica Jagjaguwar e prodotto da John Congleton già al lavoro per gli ultimi successi di Lana del Rey e St. Vincent. Nel mezzo collaborazioni e attività di ogni tipo, oltre ad una gravidanza, tra cui il corso di psicologia al college, la partecipazione alle serie tv “The OA” e “Twin Peaks 3” e la composizione della colonna sonora per il film “Strange Weather” di Kather

Michel Petrucciani

Immagine
Così adesso sono morto, cavoli, e nella tomba vicino alla mia c'è nientemeno che Chopin. Se me l'avessero detto quand'ero piccolo non ci avrei mai creduto. A parte che grande non sono diventato mai, ché anche a trentasei anni ero alto un metro e due centimetri. Certo che morire a trentasei anni non è mica uno scherzo, è come un racconto breve che finisce subito, è un po’ presto, cavoli, morire a trentasei anni. Ma d'altra parte lo sapevo già, lo sapevo già che finiva male, la mia vita. La mia vita è cominciata male dall’inizio, sì, perché già quando sono nato mi sono rotto in mille pezzi, mi sono sbriciolato come un biscotto. Eh sì, perché le mie ossa avevano poco calcio dentro, e così sono sempre stato come una meringa, che appena la tocchi va in frantumi. Osteogenesi imperfetta,la chiamarono, che poi vuol dire che c'hai le ossa che sembrano grissini. Ero brutto già da piccolo, io, perciò ero goloso di bellezze. Guardavo sempre la televisione, ché lì dentro

Bassekou Kouyate & Ngoni Ba – Miri (2019)

Immagine
Bassekou Kouyaté torna, dopo tre anni dal suo ultimo album “Ba Power”, con il suo quinto disco dal titolo “Miri”, uscito lo scorso 25 gennaio per Outhere Records. Il disco è composto da undici tracce ed è stato anticipato dal singolo “Deli”. Kouyaté, di origine malese, è noto nel panorama musicale per la sua abilità nel suonare lo Ngoni, uno strumento folkloristico a corda tipico dell’Africa occidentale, tanto da essere stato definito il “Maestro dello Ngoni”. A seguito del suo debutto internazionale nel 2007, ha conosciuto una discreta diffusione, tanto da ottenere svariati riconoscimenti come “Album dell’anno” e la possibilità di esibirsi sui palchi dei festival musicali più noti, come il Glastonbury, che sono serviti all’artista come punto di partenza per far conoscere e far interessare il grande pubblico alla musica popolare e autoctona, radicata nelle tradizioni del paese, il cui esempio principali è sicuramente esemplificato dai Griot (tipici cantastorie). Il disco d

Kris Kristofferson

Songwriter e attore, il texano Kris Kristofferson (1936) dopo la laurea conseguita al Pomona College (California), nel 1958 rinuncia alla carriera accademica, a cui sembra destinato, per studiare letteratura inglese a Oxford. Coltiva infatti ambizioni di scrittore, am quando i suoi manoscritti vengono respinti si trasforma in cantautore. Discografia e wikipedia

Lost in Transmission No. 2

Angelo De Augustine – Tomb (2019)

Immagine
di Antonio Paolo Zucchelli A distanza di meno di un anno e mezzo dal suo sophomore, “Swim Inside The Moon”, Angelo De Augustine è tornato con questo suo nuovo LP, pubblicato digitalmente la scorsa settimana dalla Asthmatic Kitty Records di Sufjan Stevens (la release fisica, invece, avverrà venerdì prossimo, 25 gennaio). Scritto in meno di una settimana poco prima del Natale del 2017, il disco (il primo studio album per il musicista losangelino) è stato poi registrato due mesi dopo ai Reservoir Studios di New York City insieme a Thomas Bartlett (Sufjan Stevens, St. Vincent, Glen Hansard, Rhye) in appena cinque giorni. Le forti emozioni caratterizzano questo terzo album del californiano: molto intenso e personale, racconta in maniera assolutamente delicata e raffinata le pesanti esperienze di Angelo, conseguenze della fine di una relazione sentimentale, con tanti ricordi che dipingono la tristezza e la malinconia delle dodici canzoni presenti su “Tomb”. Il titolo dell’alb

Lost in Transmission No. 1

Astronauts – In My Direction Junip – Oba, Lá Vem Ela’ Hot Feet – Three Black Crosses Nuba Nour – Dessy Lemon False Lights – Polly On The Shore Kings Of The South Seas – Eight Bells Stick in the Wheel – Common Ground Bonnie ‘prince’ Billy – So Far And Here We Are Silver Servants – Jerusalem Broadcast – Echo’s Answer Conor Oberst – Artifact #1 Sarah Jaffe – Alone with the Owl Songs: Ohia – The Long Dark Blues Luluc – Small Window

Beirut – Gallipoli (2019)

Immagine
di Danilo Nitride Il viaggio è un tema caro a Zachary Francis Condon. Durante l’adolescenza un viaggio in Europa gli ha cambiato la vita, avvicinandolo allo spirito di certe culture che, sebbene distanti – ma non troppo – da quelle sue native, hanno influenzato il suo percorso creativo e la genesi – due lustri e mezzo fa, ormai – della sua creatura Beirut. Non ha mai smesso di spostarsi e viaggiare, Condon, e l’itinerante Gallipoli ne è un chiaro esempio. Il quinto full lenght dei Beirut, infatti, è stato scritto, arrangiato e prodotto tra New York, Berlino e la provincia di Lecce. Sì, proprio quella provincia di Lecce, per la precisione Guagnano, dove è ubicato il Sudestudio di Stefano Manca, che si è rivelata una grande fonte di ispirazione per la scrittura del disco. L’influenza del Bel Paese si avverte pienamente nelle atmosfere di questo lavoro, tra l’incedere solenne tipico dei rituali religiosi del Sud e i passaggi strumentali dal carattere cinematico. Condon ritorn

Hollow Bones by - Casey Neill & The Norway Rats

Immagine

Walter Trout – Survivor Blues (2019)

Immagine
di Paolo Baiotti Il 2019 inizia nel migliore dei modi per gli appassionati di blues-rock con il nuovo album del chitarrista di Ocean City, New Jersey, Walter Trout, un vero sopravvissuto come recita il titolo, avendo superato indenne o quasi un trapianto di fegato nel 2014, anche grazie al concreto aiuto dei fans. Superata la lunga fase di convalescenza, Walter è tornato alla grande con il sofferto Battle Scars, una specie di diario della drammatica esperienza, seguito dall’energico Alive in Amsterdam e dal brillante We’re All In This Together nel 2017. Survivor Blues nasce dal fastidio di ascoltare alla radio le covers di brani blues scontati, i soliti celebrati standards di Muddy Waters o Willie Dixon. Trout è andato alla ricerca di tracce minori di artisti più o meno conosciuti, ne ha estratte una cinquantina e da qui ha scelto le dodici incise a Los Angeles nello studio di Robbie Krieger, con un ristretto team comprendente Johnny Griparic (basso), Michael Leisure (batteria)

Jerry Lee Lewis

Immagine

Lenny Kravitz

Lenny Kravitz (1964) cresce a New York, dove ben presto inizia a frequentare il mondo artistico grazie al padre, dirigente della rete televisiva CBS e alla madre, coprotagonista della sit-com "The Jefferson". Per motivi di studio, poco dopo la metà degli anni '80, si trasferisce a Los Angeles, dove matura un sempre maggior interesse per la musica. Discografia e wikipedia

The Delines – The Imperial (2019)

Immagine
di Blackswan Archiviata nel 2016 l’avventura con i Richmond Fontaine a favore di una sempre più assorbente attività di romanziere, Willy Vlautin torna sulle scene musicali con il suo side project, The Delines, e un disco, The Imperial, seguito dell’ottimo Colfax, risalente ormai a cinque anni fa. Una pubblicazione, questa, che se da un lato consolerà i tanti fan afflitti dalla chiusura della “casa madre”, grazie a standard qualitativi come sempre elevati, dall’altro, conferma che, nonostante le tempistiche dilatate, i Delines sono qualcosa in più di un semplice esperimento o l’estemporaneo divertissement di un gruppo di musicisti provenienti da diverse estrazioni. Una sorta di “super gruppo”, composto da nomi noti a chi conosce almeno un po’ la scena alternativa a stelle e strisce: Jenny Conlee, tastierista dei The Decemberists, Tucker Jackson proveniente dai Minus 5, Sean Oldham, anch’egli dei RF, Amy Boone che presta le propria voce al progetto Damnation TX. E poi, come detto,

Addio allo “stonato” di Sanremo

Immagine
Alessandro Bono partecipò a tre edizioni del Festival di Sanremo. Nell’ultima, quella del 1994, presentò “Oppure no”. La sua esibizione fu criticata, “stonato”, dissero. Pochi sapevano che Alessandro Bono era gravemente malato. Morì poche settimane dopo a soli 30 anni, stroncato dall'AIDS. «Verrà il giorno in cui sarai col sedere grosso come una balena io come adesso ti amerò che hai un fisico da sirena. / Oppure no io questo non lo so. / La risposta amore mio è nascosta nel tempo e ogni giorno che va via è un quadro che appendo / Mi piace vivere […]» Alessandro Bono, al secolo Alessandro Pizzamiglio, nasce a Milano il 21 Luglio 1964 da Luisa Bono e Riccardo Pizzamiglio, il padre è un tecnico del suono. Fin da piccolo Alessandro ha così modo di frequentare l’ambiente musicale e inizia a coltivare la sua grande passione, imparando a suonare la chitarra e il pianoforte da autodidatta.Incide i primi provini nel 1983 per la produzione di Alberto Salerno e

Steve Gunn – The Unseen In Between (2019)

Immagine
di Alessandro Piccin Inizi come fan di Black Flag, Smiths e The Fall. Poi un giorno come un altro al negozio di dischi all’angolo passano “Dark Star” ed eccoti lì con le mani nella marmellata ad abbuffarti di psichedelia sixties: non solo Grateful Dead e Jimi Hendrix, ma soprattutto Pretty Things, Jefferson Airplane, Moby Grape e Quicksilver Messenger Service. Da lì a scoprire Fairport Convention e Pentangle il passo è breve. Richard Thompson e Bert Jansch accendono in te la fiamma della curiosità, della quieta, composta e rispettosa esplorazione dell’Universo musicale. Inizi così ad ampliare i tuoi orizzonti: dal folk-blues inglese di Wizz Jones e Michael Chapman al bossa nova di Bola Sete, dall’afrofuturismo di Sun Ra al free-jazz di John Coltrane. La prossima tappa? Beh, in fondo sei un giovanotto di Philadelphia ed è la fine degli anni Novanta: probabilmente una gig dei Bardo Pond. Costantemente menzionato come “il chitarrista dei The Violators, la band di Kurt Vile” (quan

Il giorno che morì la musica

Immagine
Il 3 febbraio 1959 un piccolo aereo si schiantò in un innevato campo dell'Iowa: a bordo c'erano tre dei musicisti che inventarono il rock and roll, tra cui Buddy Holly L'aereo su cui viaggiavano Holly, Valens e Richardson subito dopo l'incidente. (Hulton Archive/Getty Images) Il 3 febbraio 1959, sessant’anni fa, verso l’una del pomeriggio, due dei più promettenti musicisti rock americani dell’epoca salirono su un piccolo aereo per raggiungere in fretta una località in Minnesota dove avrebbero dovuto suonare quella sera. Erano Ritchie Valens e J. P. “The Big Bopper” Richardson, di 18 e 29 anni, ma non erano loro le star su quell’aereo. Entrambi viaggiavano infatti al seguito di Buddy Holly, che era uno dei più amati e brillanti chitarristi rock and roll dell’epoca e che stava girando il Midwest con la sua band. L’aereo di Holly, Valens e Richardson decollò da Mason City, in Iowa, sotto una leggera pioggia. Non arrivò mai in Minnesota, perché si schiantò d

Bob Mould – Sunshine Rock (2019)

Immagine
di Diego Curcio Ogni volta che esce un nuovo disco di Bob Mould vado in brodo di giuggiole. D'altra parte, nel corso degli ultimi vent'anni (da quando ne ho 16-17, quindi), ho letteralmente consumato gli album degli Husker Du e degli Sugar (ma anche quelli solisti del compianto Hart e dei suoi Nova Mob), quindi tutto ciò che gira intorno all'ex power trio di Minneapolis mi crea, puntualmente, un misto di agitazione e turbamento. Il fatto è che continuo a ostinarmi - sbagliando (ma è più forte di me) - a cercare in ogni canzone solista di Mould tracce de vecchi Huskers e non sempre questi miei bassi istinti vengono soddisfatti. Dopo 30 anni di carriera solista (e con in mezzo la breve ma folgorante parentesi degli Sugar) noi irriducibili fan di "Zen Arcade" e "Warehosue" forse - e dico forse - dovremmo arrenderci all'evidenza e giudicare i nuovi lavori di Bob con un metro diverso dal solito paragone con il passato. Anche perché in questi tre decen

Stevie Wonder - Part Time Lover

Immagine

Odetta, 1958

Immagine
Otto Hagel (1909 - 1973)

The Beatles - Abbey Road (1969)

Immagine
La fortuna di avere talento non è sufficiente; bisogna avere anche il talento di avere fortuna (Hector Berlioz). I 4 ragazzi di Liverpool di talento ne avevano da vendere, ma nel loro ultimo atto insieme hanno anche avuto fortuna. Si perchè i Beatles che dall’aprile all’agosto del 1969 erano insieme negli studi EMI di Abbey Road, a Londra, non erano già più una band. Poco prima avevano abbandonato la pubblicazione di Get Back, che poi uscirà nel 1970 dopo la cura Phil Spector a band già sciolta come Let It Be, e l’unico motivo che li spinse a registrare nuovo materiale fu una concomitanza di eventi: il primo la fallimentare esperienza della Apple, loro casa discografica, ma anche casa editrice e primo esempio di marchio globale legato ad un gruppo musicale, con interessi nell'abbigliamento giovanile. E poi un sontuoso nuovo contratto per la EMI, che il nuovo manager Allan Klein, imposto da John Lennon, aveva strappato per la band. McCartney e Lennon si sopportavano appena, nonos

E T I C H E T T E

Mostra di più