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Visualizzazione dei post da gennaio, 2021

Primal Scream

Già batterista dei Jesus And Mary Chain, nel 1985 Bobbie Gillespie, decide di abbandonare i fratelli Reid e dedicarsi a un progetto tutto suo, i Primal Scream. Il gruppo firma per la Creation ed esordisce con due singoli All Fall Down (1985) e Crystal Crescent (1986). Con Gillespie ci sono il chitarrista Andrew Innes, il bassista Robert Young e il chitarrista Jim Navajo. Discografia e Wikipedia

La Mahavishnu | “The Inner Mounting Flame”, il frenetico album fusion che ha occupato tutti gli spazi/tempo

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Per comprendere l’impatto che ha avuto ’The Inner Mounting Flame” alla sua uscita dovete, ancora una volta, immaginare il contesto nel quale arriva sulla scena. È un album alchemico, come in quegli anni avviene in tanta musica prodotta da menti aperte alle contaminazioni, pronte a sfidare convenzioni, vogliose di tentare strade nuove. Fusioni fra generi diversi, per esempio (anche se fusion diventerà un parola-tormentone che ben presto perderà di significato). Una di queste è fra jazz e rock, matrimonio non facile che naturalmente può prendere molti significati diversi, a seconda se si parta dal rock oppure dal jazz, e con quali dosi si miscelino gli ingredienti. Da una parte il jazz, una lunghissima storia alle spalle, tendenzialmente purista, che guarda ai musicisti e fan del rock come degli incompetenti che «non sanno». Dall’altra il rock: duro, elettrico, psichedelico, il purismo qui non esiste perché la storia alle spalle è troppo recente. C’è meno competenza armonica e strumental

Derek Bailey, innovatore e rivoluzionario

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 di Gianni Lucini Il nonno al banjo e lo zio alla chitarra Il nonno di Derek nonno suona il banjo mentre suo zio, George Wing, ha avuto una lunga carriera di chitarrista professionista. Influenzato dalla lezione di un musicista come Ornette Coleman nel 1965 inizia a sviluppare un suo personalissimo stile improntato all’improvvisazione totale attraverso una quasi completa rielaborazione dell’intero lessico del proprio strumento. Cambia il concetto di improvvisazione Suona in un modo originalissimo che dà l’impressione di non attingere ad alcun materiale prefissato. In questo modo cambia anche il concetto di “improvvisazione” che con lui acquista un significato radicale e totalmente innovativo. Colpito da Sclerosi Laterale Amiotrofica muore a Londra il 25 dicembre 2005. Fonte originale dell'articolo

Quicksilver Messenger Service - Happy Trails (1969)

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Mentre in Europa stava nascendo il progressive, nel 1969 nella zona della Baia di San Francisco l’era del rock psichedelico gode del suo momento più alto e creativo. Tra i leggendari gruppi del periodo, quello di oggi è meno famoso rispetto a mostri sacri come i Grateful Dead e i Jefferson Airplane, per una serie di motivi che vi racconterò. I Quicksilver Messenger Service nascono nel 1964: ne fanno parte Dino Valenti (vero nome Chester William Powers) che canta e scrive i testi, John Cipollina, chitarrista che poi diventerà di culto, David Freiberg al basso e Jim Murray (chitarra e voci) con cui per un periodo di tempo suonano Casey Sonobam alla batteria e Alexander Skip Spence come terza chitarra, il quale diventerà poi famoso con i Jefferson Airplane ma soprattutto con i Moby Grape. Vanno avanti così fino al 1965, quando succedono due cose: Valenti è incarcerato per possesso di droga e Spence e Sonobam se ne vanno. Arrivano in gruppo Gary Duncan (chitarra e voce) e Greg Elmore (b

Van Morrison: da Belfast allo Spazio Astrale

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I primi strilli beat blues con i Them e la magica rivelazione di «Astral Weeks» a cura di Riccardo Bertoncelli  Alla veneranda età di settant’anni, Van Morrison mette mano al suo storico catalogo e preferisce riordinare le vecchie carte anziché tentare azzardose avventure di musica nuova. Ha appena traslocato di casa discografica, con la Sony, portandosi dietro non solo i leggendari nastri Polydor e Mercury ma anche quelli giovanili con i Them, che la Legacy ha raccolto in una doppia antologia definitiva: «The Complete Them, 1964-1967». D’altro canto la Rhino restaura per la prima volta «Astral Weeks», il capolavoro giovanile, e «His Band And His Street Choir», un lp del 1970 che invece l’autore non ha mai troppo amato. Questi più quello fanno un ritratto splendido del Morrison da cucciolo, innamorato di jazz e blues con tanta voglia e personalità da inventarsi in breve uno stile originale, via da ogni emulazione.Le note all’antologia Them le ha scritte Morrison di persona, ed è una pi

Warpaint - Warpaint (2014)

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di Silvano Bottaro Ci sono voluti ben tre anni per pubblicare questo secondo lavoro dal titolo omonimo, il loro debutto "The Fool" infatti, risale alla fine del 2010. Le Warpaint sono quattro ragazze che si sono formate a Los Angeles nel 2004. Fin dai primi ascolti il sound trasmesso, per usare degli aggettivi poco efficaci, è un mix psichedelico e ipnotico. Le voci sono sicuramente il loro punto di forza ma anche la vivace base ritmica e le esplosioni di chitarre non sono da meno. Per certi aspetti il suono che ne deriva è più adatto ad atmosfere notturne che alla luce del sole. Il non essere facile a paragonare le Warpaint ad altri predecessori sta a significare che il loro stile è abbastanza unico e originale. Le atmosfere a volte serene e volte inebrianti riescono a far breccia ascolto dopo ascolto. Se i testi si focalizzano su tribolazioni amorose e relazioni complicate, la peculiarità sonora è proprio quella di adattarsi a questi contesti, e quindi il cre

Joe Benjamin, un contrabbassista dalla grande tecnica

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  di Gianni Lucini Il 26 gennaio 1974 muore a Livingstone, nello Zimbabwe, il contrabbassista Joe Beniamin. La causa della morte è attribuita a una crisi cardiaca, probabile conseguenza di un incidente automobilistico nel quale era rimasto coinvolto qualche settimana prima. I primi studi al violino Registrato all’anagrafe con il nome di Joseph Rupert nasce ad Atlantic City, nel New Jersey, il 4 novembre 1919. Inizia giovanissimo gli studi musicali dedicandosi inizialmente al violino sotto la guida di Hal Johnson e passando poi al contrabbasso, strumento al quale rimane fedele per il resto della vita. Protagonista degli anni Cinquanta Strumentista di grandi possibilità tecniche e accompagnatore di notevole sensibilità, conosce il momento di maggior gloria nel gennaio del 1951 quando ha l’occasione di partecipare come secondo bassista dell’orchestra di Duke Ellington a un memorabile concerto alla Metropolitan Opera House. Componente della band di Jimmy Lunceford, Billy Moore jr., Mercer

Folk Show: Episode 41

Shame – Drunk Tank Pink (2021)

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 di Claudia Viggiano Ci sono band nate fra quattro mura e che successivamente hanno imparato a calcare un palco e chi, invece, sul palco sembra esserci nato, temprato dall’immediatezza della perfomance live. Gli Shame rientrano molto bene nella seconda categoria: cresciuti nell’underground londinese, circondati da molti altri artisti, per loro quello di scrivere un album è stato quasi un processo organico, naturale conseguenza degli anni passati a suonare senza tregua e a imparare tutto ciò che c’è da imparare da quella esperienza; questo fa degli Shame una di quelle band le cui esibizioni dal vivo ‘completano’ l’album. È questo il caso di Songs of Praise, il primo album della band uscito quasi esattamente tre anni fa, che su disco si concedeva spesso momenti britpop ma dal vivo tirava fuori tutta la carica cattiva del post-punk di cui i cinque sono figli. Drunk Tank Pink riprende decisamente il tema post-punk, ma nasce al contrario. Esausti dopo un tour interminabile, Charlie Steen e

Elvis Presley

Il Rock and Roll non nasce con Elvis Presley: sia nel campo dell'r'n'b nero che in quello del country boogie bianco vi sono artisti che già dagli anni '40 presentano, senza saperlo, elementi che saranno poi tipici del r'n'b. Nei primi '50, per merito del dj Alan Freed, si diffonde l'etichetta "rock and roll" ma si tratta sempre r'n'b. Discografia e Wikipedia

L’irripetibile 1969 | Il funk di “Streetnoise” cattura la sua epoca, ma è ancora pieno di energia e visione

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L’accoppiata fra Julie Driscoll, “The Face” (a cui aggiungerei “The Voice”) degli anni 60 inglesi, e i Trinity, il trio di Brian Auger, organista extra-ordinario, è per quanto di breve durata fra i momenti più alti della musica inglese dei tardi 60, epoca in cui la concorrenza era tutto men che scarsa. È un incontro perfetto, che ha radici nella comune militanza negli Steampacket di Long John Baldry, che fra il 1965 e il 1967 forma un gruppo di giovani destinati alla gloria: Mickey Waller alla batteria (Jeff Beck Group e Rod Stewart), Vic Briggs alla chitarra (Animals), Auger all’Hammond, Baldry, Driscoll e Rod Stewart per le parti vocali. Un supergruppo che per problemi contrattuali non inciderà mai nulla, se non dal vivo. Il manager è Giorgio Gomelsky, proprietario di club e primo manager degli Stones e Yardbirds, che fonda una piccola etichetta di qualità, la Marmalade.  A poco a poco se ne vanno tutti, loro due in coppia, aggiungendo Clive Thacker alla batteria e Dave Ambrose al ba

Alfredo Jandoli, il meccanico con la passione per il canto

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di Gianni Lucini  Il 22 gennaio 1908 nasce a Napoli il cantante Alfredo Jandoli. Il suo vero nome è Alfredo De Nicola e fin da ragazzo coltiva la musica come una passione cui dedicarsi nel tempo libero. L’audizione Siccome la passione non basta per vivere di mestiere fa il meccanico ma appena può corre a cantare ovunque lo chiamino. Proprio in una di queste esibizioni viene notato nel 1935 in un locale di Posillipo dal maestro Riccardo Conforti che lo invita a partecipare a un’audizione alla radio. Superato con successo l’esame, dopo un periodo di corsi destinato ad affinare le sue qualità nel 1938 entra a far parte dell’orchestra di Saverio Seracini. Il teatro di rivista Nel 1939 canta con l’orchestra di Arturo Strappini. Dopo aver formato, nel 1941, il Sestetto Jandoli, ottiene un buon successo anche nel teatro di rivista in compagnie prestigiose come quelle di Totò, Nino Taranto, Aldo Fabrizi e Renato Rascel. Alla fine degli anni Quaranta è uno dei cantanti di punta della formazione

Another Sky – Music For Winter Vol. I (2021)

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di Valentina Natale Ci sono stati moltissimi esempi di “lockdown music” nei mesi scorsi, album nati durante i lunghi giorni d’isolamento forzato e venuti alla luce improvvisamente. I londinesi Another Sky, dopo aver regalato ad agosto il convincente “I Slept On The Floor”, inaugurano con questo EP il periodo post – lockdown. Sei brani registrati lo scorso autunno in presa diretta al The Lighthouse Studio, che mettono in luce il lato più vulnerabile, intimo e melodico del quartetto. Ventidue minuti dolorosi in continuo crescendo fin dalle prime note di “Pieces”, scritta dalla bassista Naomi Le Dune presente anche ai backing vocals di un pezzo dove tastiere, batteria e chitarra si rincorrono in un lungo abbraccio. “Sun Seeker”, scelta non a caso come singolo, mostra ancora una volta l’intensità che la voce della frontwoman Catrin Vincent è in grado di esprimere variando spesso tono e timbro per aggiungere sfumature sempre nuove e diverse a una storia di ordinaria disperazione urbana. Il

Richie Havens, il folk singer dalla pelle nera

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 di  Gianni Lucini Il 21 gennaio 1941 nasce a Brooklyn Richie Havens, considerato uno dei migliori folk singers del periodo a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta. A quattordici anni il primo gruppo Figlio di un pianista del ghetto nero di New York, ultimo di nove fratelli impara ben presto le regole della sopravvivenza e per aiutare la famiglia inizia a cantare in pubblico quando ha da poco compiuto i sei anni. A quattordici forma un gruppo gospel, i McCrea Gospel Singers, insieme ai quali comincia ad allargare i suoi orizzonti al di fuori dei vicoli e dei locali della zona in cui è vissuto fino in quel momento. Chiusa la parentesi gospel, non ancora diciassettenne, saluta famiglia e amici e se ne va. Non lascia la musica, ma si adatta a qualunque lavoro pur di sopravvivere: il ritrattista per turisti nel Greenwich Village, il fattorino della Western Union e l’operaio. Nei primi anni Sessanta inizia a frequentare i circoli folk del Greenwich Village e r

John Peel: l’ultimo Deejay

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Un libro ricorda la figura di uno dei grandi protagonisti della musica in radio e racconta come le sue profetiche trasmissioni abbiano contribuito a cambiare al Gran Bretagna a cura di Riccardo Bertoncelli  Senza la sveglia di un anniversario, senza fanfare mediatiche e bolli critici è uscito un bel volume che racconta la figura di John Peel, uno dei più grandi disc jockey di tutti i tempi. L’ha pubblicato Faber & Faber e porta la firma di un innamorato giornalista, David Cavanagh, che a nome di tanti ragazzi della sua generazione si è sdebitato andando a studiarsi migliaia di scalette nel profondo degli archivi BBC, l’azienda (statale!, ma quanto diversa dalla RAI) per cui Peel lavorò dal 1967 al 2004, anno della sua morte. Quelle scalette Cavanagh le ha esaminate, interpretate, selezionate, per capire non solo quanto la musica e la fruizione della musica siano cambiate in Gran Bretagna nella seconda parte del Novecento ma quanto Peel sia stato influente in un tale processo di cam

La tromba nomade di Gus Deloof

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 di Gianni Lucini  Il 20 gennaio 1976 muore a Schaarbeek, Bruxelles, il trombettista Guf Deloof considerato uno dei migliori solisti di tromba dell’Europa continentale degli anni Trenta insieme a Robert De Kers, anche se a differenza di quest’ultimo è sempre stato più un solista nomade che un leader. L’abbandono e il ritorno Nato il 26 settembre 1909 sempre a Schaarbeek, all’età di dieci anni inizia a studiare il violino e a venticinque anni molla l’ambiente deciso a mettere la testa a posto e a impiegarsi in una società di assicurazioni. Non ha fatto i conti con la passione. Dopo aver ascoltato un assolo di Beiderbecke con i Wolverines, decide di imparare a suonare la tromba e nel 1925 lascia uffici e scartoffie per suonare nei locali da ballo. Nel 1927 entra a far parte dei Michigans e da quel momento la sua vita sarà un continuo girovagare. Una carriera ricca di soddisfazioni Nel 1928 prende il posto di Norman Paine nel gruppo di Spike Hughes. L’anno dopo suona con Chas Remue, nel 1

Neil Young - Le Noise (2010)

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di Silvano Bottaro Sorprendente, questo è l’aggettivo più appropriato o per lo meno il primo aggettivo che mi viene in mente dopo l’ascolto di “Le Noise” l’ultimo lavoro di Mr. Neil Percel Young. In questo disco il sessantacinquenne (il prossimo 12 novembre) cantautore canadese si fa aiutare per la prima volta dal produttore Daniel Lanois, canadese pure lui, che in questo caso è anche strumentista. Non è un’opera semplice, ovvia, "La Noise", ci sono otto brani, di cui due ballate e per l’esattezza; Love and War e The Hitchhiker, canzoni acustiche di rara bellezza, e altre sei decisamente elettriche, molto elettriche! Il disco è un fiume in piena, i suoni trasmettono la rabbia, la passione e l’amore di Neil per la vita. A voler marcare ancor di più questi sentimenti, Young scaraventa sulla sua chitarra tutta l’energia possibile, come voler raggiungere il più profondo, come volesse solleticare le viscere di ognuno di noi, il fatto è che ci riesce e ci riesce anche ben

Mouloudji entra per la prima volta in sala di registrazione

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  di Gianni Lucini Il 19 gennaio 1951, nell’anno in cui compie ventotto anni, lo chansonnier Mouloudjii entra per la prima volta in uno studio d’incisione accompagnato dall’instabile ensemble di Philippe-Gérard. Brani di grande successo In quel giorno vengono registrati brani destinati a una lunga vita come Rue de lappe, Si tu t’imagines e Barbara. Il primo a capire le potenzialità di Mouloudji è quel geniaccio della scena parigina che risponde al nome di Jacques Canetti, già direttore della scalcinata Radio Cité, scopritore di talenti e condottiero indiscusso del cabaret Les Trois Baudets, che lo scrittura e lo accompagna verso il successo. È proprio Canetti a convincerlo a registrare il brano Comme un p’tit coquelicot con il quale vince il Grand Prix de Disque nel 1953. Irriducibile antimilitarista Nonostante il successo Mouloudji non abbandona l’impegno politico e, in quegli anni che vedono i francesi impantanati nella guerra d’Indocina, mette le sue canzoni e la sua voce al servizi

Folk Show: Episode 40

Italia Vaniglio, una voce da jazz

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di Gianni Lucini  Il 18 gennaio 1926 a Pola, oggi in Croazia, nasce la cantante Italia Vaniglio, all’anagrafe Itala Vaniglio. Il debutto a quattordici anni È soltanto quattordicenne quando fa il suo debutto nell’avanspettacolo e nel 1942, a soli sedici anni, diventa popolarissima con l’orchestra di Alberto Semprini interpretando canzoni come L’usignolo triste e Nebbia. Interprete swing di grande talento dopo la fine del secondo conflitto mondiale e la Liberazione riprende a cantare con il Trio Gambarelli dai microfoni di Radio Tricolore. Il suo repertorio è prevalentemente impostato su canzoni jazzistiche e swingate. L’esibizione con Duke Ha anche l’occasione di esibirsi con l’orchestra del grande Duke Ellington in una sua fortunata tournée italiana. Nei primi anni Cinquanta pubblica con l’orchestra del Maestro Piero Rizza brani divertenti come Ho un sassolino nella scarpa e Mamma voglio anch’io un fidanzato. Nel 1953 interrompe l’attività per sposare l’attore Febo Conti ma successivam

Steve Earle & The Dukes – J.T. (2021)

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 di Nicola Corsaro Guardando la prima stagione della serie televisiva “Tales From The Tour Bus” (prodotta da Mike Judge, quello di “Beavis & Butt-Head”) si ha una visuale abbastanza chiara su quello che fu il movimento dell’Outlaw Country: a parte la musica, rivoluzionaria espressione di rivolta contro la banalità dell’establishment del country rappresentato da Nashville e dalla sua rigidissima serie di regole inviolabili (pena l’ostracismo da detto establishment, con tutte le conseguenze che ne comportava per la propria carriera), i personaggi protagonisti del movimento erano ribelli veri, insofferenti alle regole dell’America bigotta che vivevano la vita un giorno alla volta, senza voltarsi mai indietro, senza mai pensare alle conseguenze. Steve Earle era certamente uno di questi ribelli, come del resto il suo idolo e mentore Townes Van Zandt; il nome di Townes divenne anche il secondo nome di Justin, primo figlio del cantautore, contro i desideri della madre. Non è difficile imm

Il jazz progressista di George Handy

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di Gianni Lucini  Il 17 gennaio 1920 nasce a Brooklyn, New York, George Hendleman, destinato a lasciare un segno importante nella storia del jazz con il nome di George Handy. Un progetto di sperimentazione Pianista e arrangiatore legherà il suo nome al progetto di “jazz progressista” dell’orchestra di Boyd Reaburn. I primi rudimenti del “mestiere” li impara ancora bambino da sua madre pianista. Successivamente studia allo Juilliard Institute e alla New York University prendendo anche lezioni private da Aaron Copland, uno sperimentatore di fusioni tra folklore e jazz le cui idee influenzeranno non poco Handy che già nel 1938 suona con Michael Loring. Dopo il servizio militare, nel 1941 scrive composizioni e arrangiamenti per Raymond Scott, un pianista-arrangiatore di Brooklyn, dimostrando un buon talento. Istanze di rinnovamento Verso la fine del 1943 entra nell’orchestra di Boyd Reaburn. Proprio con questa band si cimenta nell’esperienza del progressive-jazz avvicinando le istanze di r

Portishead

Amante dei film noir e delle spy stories, ma anche delle loro colonne sonore e di quelle di John Barry, Geoff Barrow, da vita con Beth Gibbons ai Portishead, band che prende nome dalla cittadina a pochi chilometri da Bristol dove i due vivono. Nel giugno 1994 i Portishead si fanno notare per To Kill A Dead Man, un cortometraggio. Discografia e Wikipedia

Con Benny Goodman alla Carnegie Hall è swing craze

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  di Gianni Lucini Il 16 gennaio del 1938 alla Carnegie Hall di New York suona l’orchestra di Benny Goodman. È una data storica perché proprio a quel celebre concerto si fa risalire lo scoppio della swing craze, la follia dello swing. Il ballo inizia! Mentre le note dei musicisti attraversano l’aria migliaia di giovani, aperte le porte di quello che fino a quel momento era stato considerato il tempio della musica classica, iniziano a ballare fra le poltrone, nei corridoi, nella hall del teatro e ovunque ci sia un po’ di spazio. È nata la “swing era”, cioè l’era dello swing, una moda di massa che coinvolge prima gli Stati Uniti e poi il resto del mondo che è destinata a durare fino alla fine della seconda guerra mondiale. Proprio in quegli anni viene sublimato il rapporto tra il jazz e la danza. Per il jazz è un riconoscimento Quel concerto di Benny Goodman, però, non è solo questo. L’avvenimento non segna infatti soltanto l’inizio della follia dello swing. Dopo quel concerto infatti il

Il pop colorato dei B-52s | 39 minuti di festa, tra dialoghi surreali, sound new wave e tonalità altissima della voce

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Party time! Il più divertente, ballabile, sorprendente album degli anni 70, arrivato giusto in tempo per dare il bacio d’addio alla decade. È l’album di debutto di un quintetto che viene da Athens, Georgia (stessa città dei REM, con i quali si ritroveranno spesso, anche in studio), luogo piuttosto fuori dalle rotte e singolare come posto per artisti trendy, fuori categoria (se non fosse che è un grande centro universitario). Nascono in un ristorante cinese intorno a un gigantesco drink (chiamato Flamingo Volcano, suona piuttosto esplosivo, un caraffone con un mix di liquori assortiti), e da quel momento non ce n’è più: nasce un curioso e irresistibile mix di estetica anni 50/60 e di sound che sembra new wave, ma è di sicuro la più bizzarra new wave uscita dalle due sponde dell’Atlantico.  Il nome riporta direttamente agli anni in cui le girl bands (Shangri-Las, ma anche le Supremes e tutta la Tamla Motown) e ragazze in generale avevano quelle pettinature esagerate, cotonatissime, anzi

E T I C H E T T E

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