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Visualizzazione dei post da febbraio, 2023

Ambulance - Keaton Henson

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  di Ettore Craca È stata un’altra settimana fatta di giornate eterne e fulminee. Eterne ogni mattina quando gli occhi bruciano e non riescono ad accendersi fulminee ogni sera quando si spengono sul divano e non te ne accorgi. Indistinguibili una dall’altra in una sequela di passi e passaggi ripetuti ed uguali se non per le rogne e la musica. Accetti lo status quo e ringrazi intimamente per non aver contratto, né tu né i tuoi affetti più cari, il virus nemmeno questa settimana, in cui è stato un rosario di ” … sai che…. Ha preso il Covid?” … Sai che …. È in quarantena? ” “La casa di riposo qui è un focolaio”, ” La mamma di…… è mancata, ci sono voluti quindici giorni” “Mi dispiace tanto, fammi sapere quando è la cerimonia fune.. Oh no scusa.. Non ci sarà nessuna cerimonia, nessun saluto terreno, niente”. Viviamo in quest’epoca sfiorando e schivando drammi personali quotidiani, viviamo in difesa, trovando conforto nel sonno quando c’è, nelle parole e nello sguardo di chi amiamo quando c’

Ghost Woman - Anne, If (2023)

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 di Fabio Cerbone  Collocato sul confine labile tra una vera e propria rock’n’roll band e un progetto solista mascherato, Ghost Woman è il frutto maturo dell’estro musicale di Evan Uschenko, autore canadese di Three Hills, Alberta che nell’arco di un anno o poco più ha trovato un contratto discografico con l’etichetta inglese Full Time Hobby e si è dedicato alla stesura di due album, l’esordio omonimo del 2022 e il nuovo arrivato Anne, If. Introdotto e chiuso da due brevi bozzetti strumentali, Welcome e So Long, che restituiscono l’idea di un viaggio a bordo del “magic bus” di Uschenko, il disco riassume l’ossessione di quest’ultimo per i suoni più psichedelici e visionari del folk rock di fine anni Sessanta, passati magari al setaccio della successiva stagione californiana del cosiddetto Paisley Underground: insomma, quel mondo incantato di chitarre e riverberi, pillole acide e fervori garagisti che hanno alimentato sotto traccia una lunga tradizione del sottobosco rock sparso da Lond

Suzanne Vega

Suzanne Vega (1959) nasce a Santa Monica, California, da padre portoricano e madre americana. Trasferitasi a New York con la famiglia, studia danza alla High School Of Performing Arts. Negli anni della scuola scopre di essere portata alla poesia e alla musica e timidamente comincia a proporre le proprie composizioni nei piccoli locali del Village. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #28

 Il punk di New York Fenomeno sbocciato in America nell’ambito della cosiddetta new wave, onda anomala di gruppi in rotta con la tradizione musicale destinati a sconvolgere il rock dalle fondamenta, il punk nasce a metà anni ’70 a New York, in club come il CBGB’s e il Max Kansas City e deflagra nel 1977 in Inghilterra emergendo prepotentemente dall’underground e divenendo caso nazionale. È una musica che nasce come reazione contro la società e la musica del tempo, espressione di un malessere diffuso che ha molte cause: da una parte c’è una nazione, quella americana dei tardi ’70, disincantata e ancora scossa dalla guerra del Vietnam, guerra con cui per la prima volta viene intaccata l’immagine utopistica dell’America; d’altra parte i problemi non sono nemmeno più controbilanciati dalle utopie del decennio precedente: le ceneri del fenomeno hyppie sono ancora calde e la musica ha perso il suo carattere sociale per andarsi a rifugiare in forme acute di individualismo. Il rock è stato orm

Mark Erelli - Lay Your Darkness Down (2023)

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 di Gianfranco Callieri Anche in questa occasione, come accaduto in ogni suo album precedente (o almeno in ognuno di quelli che ho ascoltato io), il bostoniano Mark Erelli non resiste alla tentazione di citare Bruce Springsteen, stavolta evocato nei primi versi di You’re Gonna Wanna Remember This: «Non ricordo dove fossimo diretti, ma l’autoradio suonava Rosalita / Io tenevo il tempo sul cruscotto, lei fischiava assieme al sassofono». Malgrado questo particolare, Lay You Darkness Down - autoprodotto grazie una campagna di finanziamento portata avanti tramite la piattaforma Kickstarter - non è un disco «springsteeniano»; non lo è nella forma e nemmeno nello spirito, perché Erelli, in consonanza con tanti colleghi come lui provenienti dal Massachusetts (da Ellis Paul a Catie Curtis), al rock and roll della classe operaia preferisce la continenza espressiva di un folk-rock elegantissimo e contemplativo, misurato nella produzione, prudente negli arrangiamenti, talvolta riconducibile a un i

Subcity - Tracy Chapman (1989)

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Un proverbio keniota recita così: "Fino a quando i leoni non cominceranno a raccontare la loro storia, i cacciatori continueranno a essere gli eroi". Subcity è la vita raccontata dal basso, è la visione della foresta metropolitana, del dramma di vivere in quelle del gioco di società: "Here in Subcity Life is Hard". Tracy Chapman racconta una storia di ordinaria desolazione con la forza del primo album, ma, per ragioni difficili da decifrare, non sfonda. Eppure lo scenario è lo stesso delle precedenti Across the Lines o di Behind the Wall.   (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Mavis Staples - One True Vine (2013)

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di Silvano Bottaro A sei anni dall'ottimo Well never turn back e a tre dal buon You are not alone, ritorna Mavis Staples con "One True Vine", quattordicesima incisione della sua ultra quarantennale carriera. Da cantante gospel qual'è, è ancora la fede il comune denominatore dei suoi testi, ma è sempre la sua meravigliosa voce a renderli superlativi. A fronte dei suoi settantaquattro anni, la Mavis non mostra segni di decadimento ma anzi, come i migliori vini rossi, migliora col tempo. Continuando la collaborazione artistica con Jeff Tweedy leader dei Wilco, iniziata con "You Are Not Alone" nel 2010, di cui è produttore, anche questa volta la Staples riesce a dare il meglio di sé. Fin dalle prime note è palpabile la passione religiosa per il Vangelo e il suo credo incrollabile ma è poi la sua voce e il feeling che riesce a creare che sanno rendere grandi le canzoni e farle apprezzare anche ai più atei ed agnostici. E' proprio questa la grandezza

It’s Kinda Funny - Josef K

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 di Michele Benetello Avevo 15 anni, un sorriso sovietico e un cuore di groviera. Passavo le notti attaccato alla radio cercando segnali nell’etere. L’insostenibile leggerezza dell’etere. Una vita di poche cose, tutte perimetrate dentro un quartiere nel quale stavo faticosamente cercando di farmi le ossa prima che me le smembrassero quei teppisti pronti a sconfinare settimanalmente per dei veri Black Friday. Quattro tiri al campetto di basket, un salto in biblioteca e uno in edicola, rari e platonici sospiri rivolti verso esemplari umani con le tette. Poco altro. Qualche pagina serale in attesa che il buio e il silenzio dipingessero le pareti di casa, ecco. Solo allora sintonizzavo manopole e puntavo antenne con la cura di un assetato alchimista in cerca di qualche sprazzo d’armonia che potesse rinfrescare (o soltanto placare) quell’infiammazione che mi portavo appresso. Ero in pieno accorpamento e le furie adolescenziali edificate sui Ramones stavano lasciando spazio ad altro. ‘Altro’

Yo La Tengo – This Stupid World (2023)

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 di Carmine Vitale Esistono molti modi per provare a risanare una frattura profonda e, a volte, bisogna essere disposti a passare per metodi non convenzionali. Assorbire, metabolizzare, trasformare sono termini entrati con prepotenza nel vocabolario emotivo del trio originario di Hoboken che risponde alla voce Yo La Tengo, impegnati a loro modo a fronteggiare un nemico silenzioso in grado di sopraffarti pur senza essere visibile. E non si è di certo fatta attendere una reazione, prima impulsiva con l’EP We Have Amnesia Sometimes (2020) con la band impegnata a trovare delle vie di fuga che potessero tirarli fuori da un torpore dilagante, poi ragionata e qui decisa a fare i conti sul serio con “questo stupido mondo“. This Stupid World è il risultato cristallino di un percorso lungo quasi quattro decenni, durante cui la formula imbastita dalla coppia Ira Kaplan e Georgia Hubley si è rivelata capace di adattarsi ai mutamenti del tempo, al passaggio di vecchi e nuovi compagni di viaggio, a

Steve Ray Vaughan

Steve Ray Vaughan (1954 - 1990) nasce a Dallas, Texas, e a dieci anni impara a suonare la chitarra. Presto è abbastanza abile da esibirsi nei locali cittadini con gruppi di rock blues (fra cui i Cast Of Thousand). Nel 1972 lascia la scuola e raggiunge il fratello maggiore Jimmie (poi con i Fabulous Thunderbirds) ad Austin. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #27

 I cantautori degli anni ’70 Se Bob Dylan rappresenta l’archetipo del cantautore anni ’60, politicamente e socialmente impegnato ed idealista, suono spoglio e fortemente ancorato al folk tradizionale, destinato ad arricchirsi e mutare, certo, ma comunque semplice e terreno, James Taylor e Jackson Browne rappresentano i cantautori-tipo degli anni ’70: le tematiche sociali si ripiegano sull’individuo (in un momento di forte confusione come quello post-hippie), il suono resta semplice ma si affina, si screzia di jazz come era già successo e succederà durante i ’70 nei dischi di un’autrice che spesso viene affiancata ai primi due: Joni Mitchell. Si tratta di pezzi dal suono levigato e dal ritmo calmo e posato, ballate in cui piano e chitarra ai alternano come accompagnamento centrale e spesso si fanno fiancheggiare da violini e violoncelli creando un’atmosfera quasi cameristica. Il lavoro che lancia questa nuova ondata di cantautori, all’interno della quale trovano posto numerosi artisti d

The Waeve - The Waeve (2023)

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 di Antonio Pancamo Puglia Quando sul finire del 2020, in piena depressione pandemica, Graham Coxon venne invitato a esibirsi a un concerto di beneficenza in un piccolo club di Camden, non poteva certo aspettarsi che quell’incontro casuale nel backstage con Rose Elinor Dougall – cantautrice londinese classe 1986 cresciuta a Brighton, con importanti trascorsi nella meteora Pipettes a metà ’00, una militanza alla corte di Mark Ronson e tre album solisti, invero piuttosto interessanti, all’attivo – avrebbe cambiato così tanto la sua vita. Le loro vite. E così, dall’idea di lavorare insieme a qualche brano si è arrivati infine a questo debutto sulla lunga distanza, anticipato nei mesi scorsi da alcuni singoli che lasciavano scorgere per il chitarrista dei Blur (in procinto, peraltro, di riaccendere i motori per un lungo tour in questo 2023) l’inedita esplorazione di cupi orizzonti, tra fascinazioni kraut e post-punk, con protagonista una voce femminile in apparenza così distante dal suo ti

Me And The Devil Blues - Robert Johnson (1937)

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A volte, il Dio del rock è in realtà il suo grande nemico, il diavolo. E bisogna fare attenzione a nominare il suo nome invano. Robert Johnson lo ha fatto e ne ha pagato il prezzo. Robert Johnson, l'uomo della leggenda. Difficile ricostruire la sua vita. Quel poco che si sa è che è nato da una relazione occasionale di sua madre, che era appena stat lasciata dal marito. Forse anche per questo, per non aver mai avuto una famiglia vera e propria, si sposa giovanissimo - quando sua moglie Viriginia rimane incinta, lei ha 16 anni, lui 18. Lui muore mentre cerca di dare alla kuce il figlio, e muiore anche il bambino.   (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Noah and the Whale - Heart of Nowhere (2013)

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di Silvano Bottaro Heart of Nowhere è il quarto album pubblicato in cinque anni di attività dalla band inglese Noah And The Whale . Se dovessimo identificare la nostra quotidianità con delle canzoni "pop" è molto probabile che i suoni e soprattutto i testi potrebbero risultare frenetici se non addirittura volgari. La principale caratteristica dei Noah and the Whale invece, è quella di una "colonna sonora" tranquilla, semplice, umile, ma non per questo poco interessante, al contrario, i testi affrontano argomenti toccanti e a volte dolorosi e comunque mai banali. Una premessa necessaria perché ad un semplice e frettoloso ascolto è molto facile cadere in un giudizio di superficialità sonora che invece non meritano. La prima impressione che colpisce è l'equilibrio, la componente umanistica con i testi che ben si amalgamano con i suoni. Testi che raccontano la quotidianità, cambiano umore all'improvviso, imprevedibilmente come succede nella vita di t

Bloom Forever - Thomas Cohen

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di Alfonso Tramontano Guerritore Orfeo perde la sua Euridice, nel modo peggiore. Gli scompare sotto gli occhi, e lui, una volta a casa, la ricostruisce, facendo un album di ricordi, per il mondo e per sé. Succede ogni volta che manca qualcosa, cercandoalle mani qualcosa da fare, una serie di gesti che fermi i pensieri. Lavare i  piatti, costruire piccoli giochi di carta, sfogliare vecchi giornali. Il tempo si distrae mettendo insieme sassi colorati, contando le formiche. I bambini incendianole sterpaglie per il gusto del fuoco, tirano biglie dal balcone. I ragazzi e i pazzi costruiscono una stanza della rabbia, con le vetrine trasparenti, cristallerie e mobili da sfasciare.Questa musica è un luogo dove l’assenza è una figuraferma a guardare. Le note sono pasta tra le dita,diventano un corpo con tutti i suoi dettagli. Il viso di Euridice resta lì, prende vita tra le mani, a patto di non lasciarlo neanche un secondo, senza dargli mododi asciugare. Per fermare la creta delle cose e del te

The Bad Ends - The Power and The Glory (2023)

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 di Alessio Belli Dal versante post-Rem non mancano gli aggiornamenti. Gli ultimi riguardano alcune pubblicazioni “singole” di Michael Stipe, in attesa del tanto chiacchierato disco solista, e il primo album dei Bad Ends. In quest’ultimo progetto ritroviamo, dopo il ritiro dalle scene datato 1997, Bill Berry. Lontano dai riflettori, il batterista era apparso solo in occasioni speciali, come l’introduzione del gruppo nella Rock'n'Roll Hall Fame o quella serata del 2020 quando siamo stati a un passo dalla reunion ufficiale, se solo Vanessa dei Pylon non avesse cantato “Crazy” al posto di Stipe. C’è voluto Mike Mantione dei Five Eight, formazione cult nata sempre ad Athens, Georgia nel 1992 e compagna di tour di Stipe & C. per riportare in pista Berry. Stando alle loro dichiarazioni, il tutto si è concretizzato in maniera spontanea: Mantione stava lavorando a un progetto solista sostenuto dai suoi fidati musicisti e in seguito all’incontro con Berry, gli ha mandato un brano co

Vanilla Fudge

Newyorkesi di Long Island, contemporanei dei Rascals e dei Vagrants, i Vanilla Fudge vivono il loro momento di maggiore gloria con una versione particolare di You Keep Me Hangin' On delle Supremes. Il gruppo nasce nel 1966 a New York con Vince Martell, Carmine Appice e Tim Bogert, già membro degli Shownen di Rick martin con Mark Stein. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #26

 Il pop rock anni ‘70 Se il pop-rock è un fenomeno che in fondo è sempre esistito, in senso lato, fin da quando le asperità del rhythm’n’blues e dei suoi derivati vengono ricondotte ad una veste più melodica, nei primi anni ’60, da gruppi come Beatles e Beach Boys, è con i primi anni ’70 che il rock, non più osteggiato, comincia ad essere sfruttato commercialmente e sostenuto dall’industria mainstream, perdendo i suoi connotati controculturali e configurandosi come fenomeno commerciale, non più rivolto al solo pubblico adolescenziale ma ascoltato ed apprezzato da un pubblico adulto: definizioni come Adult Oriented Rock(AOR) e soft-rock cominciano a circolare proprio in questi anni. Il suono del rock si integra alla perfeziona in una società adulta formata dagli ex-ragazzini degli anni ’50 e ’60, una generazione cui va incontro con suoni spesso levigati e/o tradizionali: se per tutti gli anni’60 era continuata la storica tradizione del pop vocale (dai teen idols al doo wop) come alterna

DeWolff - Love, death & in between (2023)

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 di Enzo Curelli Conquistare una platea quando non suoni per il tuo pubblico ma aprendo per star mondiali come i Black Crowes, o quel resta di loro, non è mai facile. Si rischia sempre grosso e già solo l'indifferenza di chi si fa i cazzi suoi con una birra al bar sembra una conquista. Il trio di olandesi DEWOLFF oltre a suonare senza timore reverenziale quella sera d'autunno conquistò il pubblico al suono di un hard blues con venature sudiste e psichedeliche super seventies tutto chitarra, voce  (Pablo Van De Poel), hammond (Robin Piso) e batteria (Luka Van De Poel). Fu un'ovazione meritata e le birre in alto sotto al palco, non al bar, servirono a salutarli sperando di rivederli presto con un concerto tutto loro. Ecco uscire a pochi mesi da quel bel biglietto da visita (per quanto mi riguarda) il loro ottavo album in carriera, un disco che però mostra un altro lato, meno rock e irruento, più  riflessivo e sfumato. Maturo. Diverso. Canzoni nate dopo l'ascolto di tanto

Breathe - Midge Ure (1996)

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"This life prepares the strangest things", la vita ti riserva le cose più strane. Midge Ure è uno scozzese che, a dispetto del prestigio ottenuto alla guida degli Ultravox e con il bano Do They Know It's Christmas, antipasto del Live Aid, non aveva mai conosciuto il successo di massa. Quando scrisse quel verso di Breathe, ancora non sapeva lo scherzo cje il destino aveva in serbo per lui. "Il mio ultimo disco, quello in cui avevo investito quattro anni della mia vita, era stato accolto dal disinteresse generale.Gli unici ad accorgersi della sua esistenza erano stati i giornalisti di "Q", che avevano pensato bene di stroncarlo con una ferocia inaudita.  (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Meat Puppets – Rat Farm (2013)

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di Silvano Bottaro Gli anni ottanta oltre ad essere ricordati per le grandi kermesse di beneficenza e per i riti del rock da stadio, sono ricordati per il sottobosco del rock statunitense che affonda le proprie radici nell'era del movimento punk che, nel corso del tempo si estremizzò in hardcore. Era un rock orgogliosamente minoritario, forte e indipendente. Gli artisti, le band fuori dagli schemi che avevano fecondato la scena americana di nuove idee, ponendo inconsciamente le basi per la sua rinascita furono parecchi, fra questi ci furono i Meat Puppets . Questa è una doverosa premessa nei confronti di un gruppo che in quella decade ha sfornato una manciata di dischi uno più bello dell'altro, nei successivi anni '90 si è mantenuta su un buon livello per poi sciogliersi nel duemila. Riformatosi nel 2007, il gruppo si è arrancato per rimanere a galla senza prendersi grandi lodi ne dalla critica ne dai fan. A due anni dal buon Lollipop, Rat Farm, quattordicesimo al

Rings Of Saturn - Nick Cave & The Bad Seeds

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 di Gianluca Bindi La domenica la passava in casa, ormai da sette anni quasi. Aveva un soggiorno grande e areato, con un’ampia finestra che sporgeva dalla collina verso la città sottostante. Un tappeto polveroso e degli scaffali con libri; una poltrona. Durante quelle giornate leggeva circa un centinaio di pagine e fumava trenta sigarette, intervallate da sguardi al di là del vetro dalla durata indefinita. Staccò gli occhi dalla carta, prosciugando con vigore la sigaretta numero sedici. La spense nel portacenere e rilasciò catrame nell’aria. Lo sguardo poi si perse sui castagni dalle foglie imbrunite oltre la finestra. Una folata di vento fece dondolare l’altalena arrugginita in giardino. Nell’altra stanza un costante e ritmico respiro meccanico. Certe volte quei suoni sincopati lo spingevano a pensare più del necessario, cosa che evitava in maniera scientifica, respingendo tutto dentro il cofano ermetico della sua interiorità mai più scandagliata da quella notte. Certe volte, invece,

Joe Henry - All The Eye Can See (2023)

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di Nicola Gervasini  Partiamo subito da una avvertenza: se già avete incontrato la musica di Joe Henry, e l’avete giudicata noiosa, fermatevi pure, perché i complimenti che si possono fare ad un disco come All The Eye Can See di certo non passano attraverso concetti di divertimento ed energia. La seconda avvertenza che si deve fare è che sì, il presupposto emotivo che ha anticipato l’album, e cioè l’annuncio dato dallo stesso Henry di un cancro alla prostata particolarmente insidioso che ne ha condizionato l’attività negli ultimi anni, è ovviamente il macigno che pesa sopra queste nuove canzoni. Il rischio è patire un po’ di quello che chiamerei “l’effetto Blackstar/Bowie”, lo stesso che per esempio fece sì che il mondo si accorgesse di Warren Zevon quasi solo in occasione di un album registrato già con la morte al suo fianco come fu The Wind. Insomma, la valutazione potrebbe passare in secondo piano rispetto alla vicenda umana che permea l’album, ma anche prendendosi questo rischio, p

Townes Van Zandt

Classico folksinger fra country e blues, il texano Townes Van Zandt (1944 - 1997) si affaccia timidamente sulla scena musicale alla fine degli anni '60, con uno stile malinconico e intimista. In cinque anni pubblica sei album con la Poppy (piccola etichetta che poi si trasformerà in Tomato), confermandosi ogni volta autore sensibile e ispirato. I brani sono eseguiti con discreti interventi strumentali e spesso lievi arrangiamenti. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #25

 L’Heavy Metal È difficile tracciare con chiarezza la linea che separa l’hard rock dall’heavy metal: nel blues ipervitaminizzato e distorto dei Led Zeppelin, negli assoli chitarristici dei Deep Purple e nella tendenza verso l’occulto e il gotico dei Black Sabbath ci sono giù tutti i semi per quello che, dagli anni’70, attraverso infinite variazioni e mutazioni, diventa uno dei generi più longevi  (e di successo) della storia. Una delle tendenze più diffuse tra i primi gruppi heavy metal è comunque quella di riprendere l’hard rock di qualche anno prima e renderlo di più accessibile, semplificandone la forma e accentuandone in parte l’aspetto melodico: un esempio di questa tendenza sono i Blue Oyster Cult, tra i precursori del genere con atmosfere gotiche da b-movie, approccio teatrale sul palco e soluzioni melodiche accattivanti: una formula che ritroviamo, rafforzata da massicce iniezioni di glam (col travestimento svuotato però del suo originario significato sessuale) in “Killer” (197

Zappa Plays Zappa - Zappa Plays Zappa (2008)

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Se quando nasci i tuoi genitori vogliono chiamarti Dweezil, già si può intuire che atmosfera vive in famiglia: solo che l’infermiera addetta alle registrazioni si rifiutò e il padre le chiese di scrivere in sostituzione i nomi dei suoi amici musicisti. Quindi il 5 Settembre del 1969 nasce Ian Donald Calvin Euclid Zappa, secondo figlio di quel genio di Frank Zappa e di Gail Sloatman. Eppure quel nomignolo, Dweezil, piacque così tanto al ragazzo che da adolescente lo cambiò ufficialmente nel suo nome. La serie dei figli d’arte musicale si conclude oggi con un tipo che da adolescente imparava a suonare la chitarra con gente del calibro di Steve Vai e Eddie Van Halen, il quale gli produsse il primo singolo nel 1981, quando Dweezil aveva 12 anni. Giovanissimo suona piccole parti in alcuni dischi del padre (Sharleena e la leggendaria Stevie’s Spanking su Them Or Us nel 1984), fa il veejay per MTV America, verso la fine degli anni ‘80 pubblica un paio di dischi rock, Havin’ A Bad Day (1986) e

When Tomorrow Comes - Eurythmics (1986)

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Lui, Dave Stewart, faccia da gnomo, gusto per tutto ciò che è insolito, diverso, strambo, chitarra impazzita. Lei, Annie Lennox, scozzese di Aberdeen, voce nera su corpo bianco, sensualità atipica e innata, glamour eppure vagamente retrò. Per anni hanno giocato in doppio, sparando bordate oltre la rete, quasi mai al di là della linea, disorientando gli avversari con straordinarie alchimie che raggrumavano pop elettronico, sintetizzatori e rhythm and blues. When Tomorrow Comes si allontana da quelle deliziose atmosfere robotiche che piazzavano gli Eurythmics in un immaginario punto, tra gli improbabili estremi del minimalismo di Philip Glass, il soul rivisitato della Motown e il pop sfrenato degli Abba. (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Steve Earle & The Dukes - The Low Higway (2013)

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di Silvano Bottaro A due anni dall'ottimo I'll Never Get Out of This World Alive, Steve Earle ritorna con una altro bel disco "The Low Higway". Quindicesimo lavoro in studio, l'album si mantiene nella sua collaudata sfera folk/country/rock, senza particolari peccati ne virtù. Niente di marcatamente nuovo quindi, ma dodici brani firmati da grande autore. Da scrittore qual'è, (è uscito da pochi mesi un romanzo dal titolo "Non uscirò vivo da questo mondo") il cinquantottenne cantautore statunitense, non ha difficoltà ad esprimere attraverso la forma artistica della "canzone" versi, pensieri e idee soprattutto sociali.  Da sempre impegnato politicamente Earle, attraverso i testi, sottolinea disagi e invia segnali di protesta, facendosi portavoce anche di chi voce non ha. C'è in questo album tutto il succo dell'arte del musicista, il suo muoversi e il suo cantar vigorosamente accoppiando spunti ritmici a momenti melodici. Il

E T I C H E T T E

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