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Visualizzazione dei post da ottobre, 2025

Horse Feathers - So It Is With Us (2014)

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di Lorenzo Righetto Nel 2012, al termine del tour promozionale del meno fortunato “Cynic’s New Year”, Justin Ringle passa mesi senza toccare una chitarra: “Il periodo più lungo negli ultimi quindici anni”. Cominciano a circolare voci di uno scioglimento della band. E invece il periodo di stop riaccende l’ispirazione di Pringle, che non solo riprende a scrivere, ma compone un ritorno all’altezza dei migliori lavori degli Horse Feathers, imprimendogli una nota positiva, pop ancora più netta che in passato. Ne esce così un “So It Is With Us” che, come suggerisce l’artwork della copertina, rappresenta un ritrovato dinamismo nella musica della band, che rimane floreale e vivaldiana - ma, se prima le stagioni avvicendate sono andate dall’autunno alla primavera, passando per l’inverno, adesso è finalmente l’estate a fare capolino, in un tripudio di accordi in maggiore e di arrangiamenti pieni e coinvolgenti (non a caso, visto che vengono citati i Pentangle nella loro presentazione del disco...

The Doobie Brothers - Minute By Minute (1978)

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Si inizia oggi con una band che nasce, verso la fine degli anni '60, a San Francisco, dalle ceneri di band attive nella Bay Area. Il chitarrista Tom Johnston e il batterista John Hartman arrivano dal country che suonavano nei Pud (nati da un'idea di quel genio che fu Alexander Skip Spence, ex Moby Grape), a cui si aggiunge un bassista, Dave Shrogen e un altro chitarrista, Patrick Simmons, proveniente dagli Scratch. Si trovano un nuovo nome, The Doobie Brothers (con doobie che è uno slang per lo spinello) e iniziano una storia che durerà fino ad i nostri giorni, ma che nel decennio '70 li vedrà protagonisti di una scalata ai vertici, di qualità e di successo, grandiosa, attraverso alcune delle canzoni definitive degli anni '70. Sin da subito la formazione ha dei puntellamenti: dal secondo disco, Toulouse Street (1972) entra in formazione Tiran Porter, bassista anch'egli proveniente dagli Scratch, a cui si aggiunge la seconda batteria di Michael Hossack. In questo dis...

Ben Howard - I Forget Where We Are (2014)

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di Blackswan In un anno che non ci ha regalato dischi particolarmente riusciti, questo finale di stagione sembra avere in serbo per noi qualche piacevole sorpresa. Dopo aver parlato molto bene, un paio di settimane fa, dell'ultima fatica di Lucinda Williams, mi trovo oggi a raccontare un disco che, sono pronto a scommetterci, scalerà le classifiche personali di molti ascoltatori e probabilmente di molte riviste specializzate. Sto parlando del secondo full lenght di Ben Howard, ventisettenne songwriter londinese, che dopo il buon successo (anche commerciale) del disco d'esordio intitolato Every Kingdom (2011), torna a stupire con un album intenso ed emozionato. Un disco in cui Howard, pur senza inventare nulla di nuovo (la materia è pur sempre quella ormai consunta dell'indie folk), allestisce una scaletta di splendide canzoni umorali e malinconiche, andando a citare con gusto alcune icone del passato quali Nick Drake e John Martin, e artisti più recenti del calibro di ...

David Crosby

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Ci sono personaggi la cui esistenza si dipana su un canovaccio ricco di svolte, di pieghe improvvise, di parabole inebrianti e di rovinose cadute, di successi fulminei e di paurosi sbandamenti. Il mondo del rock ne è pieno, anche se purtroppo, sovente queste vicende assumono inevitabilmente i contorni mitologici dell’eroe bello e dannato condannato a una morte prematura. E’ solo per una serie di incredibili scherzi del destino o di karma direbbe un Buddista se oggi David Crosby è ancora qui con noi. Una vita intensissima, estrema, spesso spericolata, ma che nel corso degli ultimi quattro decenni è stata testimone di pressoché tutti gli eventi chiave della storia del rock. Quasi quarant’anni nel corso dei quali David Crosby è sembrato morire diverse volte, preparando in più d’una circostanza i suoi irriducibili fans alla triste notizia che puntualmente non è arrivata: come un gatto a nove vite. Musicalmente Crosby ha segnato almeno due decenni con una serie di capolavori culm...

Neil Young - Storytone (2014)

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di Gianni Sibilla C’è qualcosa che non ha ancora fatto? Sì, un disco come questo. Il secondo dell’anno, dopo “A letter home”. Il secondo disco “strano” dell’anno. L’ennesimo disco "strano" di una carriera epica, e tante deviazioni dalle due strade principali, quella acustica e quella elettrica. Con Neil Young c’è sempre da tenere le dita incrociate, quando imbocca queste “backstreets” della sua musica. "A letter home” era una presa per i fondelli, con le sue cover monotone registrate in una cabina del telefono degli anni '30, per sfida e per divertimento. Con “Storytone” Neil Young fa le cose sul serio: un disco “orchestrale”, il primo della sua carriera, che esce anche in una versione doppia: un album con le versioni originali, semi-acustiche, e quello inciso con un ensemble di 92 elementi. “Storytone” è un disco in cui l’idea non prende il sopravvento sul contenuto. Non è un esercizio di stile, o una provocazione. E’ un album di buone canzoni, incise in ma...

David Sylvian - Brilliant trees (1984)

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di Silvano Bottaro Ricordo bene, era una sera d'estate del 1984, con un gruppo di amici appassionati ci si chiedeva quale fosse il più bel disco del momento, le nomination furono due: "The Medicine show" dei Dream Syndicate e " Brilliant Trees " di David Sylvian. Album diversi fra loro ma uniti dalla una 'nuova forza' che li vedeva una spanna sopra alla moda musicale del momento. Ricordiamoci che siamo negli anni ottanta dove imperavano gli Spands e Duran e non me né si voglia, ci sentivamo dei carbonari nel sostenere questa musica che per noi era 'vera'. David Sylvian che all'epoca ha ventisei anni abbandona come cantante il gruppo che lo ha reso famoso, i Japan. Dotato di grandi inclinazioni sonoro-vocali, intraprende una carriera solista che lo porterà con questo disco ai vertici delle classifiche. Volendo può iniziare una vita da star commerciale, diverse sono, infatti, le proposte che gli vengono offerte ma, introverso e schivo ...

Lucinda Williams - Where The Spirit Meets The Bone (2014)

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di Paolo Carù Era da parecchio che attendevo il nuovo disco della Williams, da tre anni almeno, da Blessed, un signor disco. Blessed, a sua volta, veniva dopo due dischi, a mio parere, meno riusciti: West e, sopratutto, Little Honey. Down When The Spirit Meets The Bone è invece un bel disco, anzi un grande disco. Prima di tutto è doppio, ed è la prima volta che la Williams mette sul piatto 20 canzoni nuove, non lo aveva mai fatto. 20 canzoni, anzi 19, composte da lei. Di doppi ne aveva pubblicati due: il Live @ The Fillmore e l’edizione speciale di Blessed. Ma questa è la prima volta che la cantautrice pubblica 20 canzoni nuove di zecca. Una proposta ricca, piena di musica, gonfia di chitarre. Questo è un disco di chitarre in primo luogo perchè, oltre ai fidi Val McCallum, Greg Leisz e (in una sola canzone) Doug Pettibone, Lucinda ha chiamato a sé Tony Joe White, Bill Frisell, Jonathan Wilson e Stuart Mathis (chitarra nei Wallflowers di Jakob Dylan). E questo perchè le canzon...

Lewis & Clarke - Triumvirate (2014)

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di Lorenzo Righetto Arrangiamenti tenui ma di rara intensità avviluppano come colorati tentacoli fumosi le interpretazioni flebilmente accurate di “Triumvirate”, terzo Lp di Lewis & Clarke, progetto dietro al quale si cela la figura di Lou Rogai, americano della Pennsylvania, e che prende il nome dai carteggi avvenuti tra i due autori di letteratura fantastica/fantascientifica. Un disco imponente per lunghezza (circa 75 minuti di musica per dodici canzoni) ma anche per l’intensità emotiva delle sensazioni evocate, sposando le suggestioni di un folk d’avanguardia a un forte dinamismo, che anima le riflessioni di Rogai in quadri a tinte uggiose quanto forti di una realtà interiore trasfigurata dall’arte. Una tensione al sublime che rimane la caratteristica più pregnante di “Triumvirate”, le corde vocali di Rogai che vibrano in un caldo crooning Eitzel-iano, gli strumenti che volteggiano nel sogno bucolico di un’anima lussureggiante (la title track). Nonostante il passo se...

The Magnetic Fields - I (2004)

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Quando c'è necessità di pensare a dischi particolari, Stephin Merritt è una sorta di garanzia. Il disco più famosa della sua creatura musicale, The Magnetic Fields (nome nobilissimo scelto dal titolo del libro Les Champs Magnétiques, scritto nel 1920 da André Breton e Philippe Soupault, manifesto del surrealismo). Probabilmente surrealista è l'idea di musica che Merritt ha: una fantastica mistura di ogni possibile suono del pop, con spruzzi di jazz, musica da camera, con la consapevolezza, o forse l'incoscienza, della possibilità di farli naturalmente convivere. Inizia tutto a Boston, sotto il nome di Buffalo Rome. Con l'aiuto dell'amica Claudia Gonson, che aveva suonato nella primissima band di Merritt, gli Zinnias, durante il liceo, iniziano a suonare dal vivo: la band si amplia a Sam Davol, John Woo, con l'aiuto occasionale di Shirley Simms e di Daniel Handler (che diventerà uno scrittore famoso con lo pseudonimo di Lemony Snicket).  La band vive nel grande m...

Jackson Browne - Standing In The Breach (2014)

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di Andrea Mariano Raffinato, delicato, un po' retrò. Raffinato perché Jackson Browne è abile nel cesellare strutture semplici e ad impreziosirle con tocchi di classe tutt'altro che ampollosi o meramente manieristici, ma che anzi contribuiscono a tessere un'atmosfera avvolgente, appagante, in grado di far percepire come tutto, anche il più flebile accenno di bending, contribuisca e sia necessario per la perfetta riuscita di ogni singolo brano. Delicato, perché anche nei movimenti più "coincitati" ("Leaving Winslow") non si viene scossi, ma invitati ed accompagnati ad aumentaree gentilmente il ritmo, o a tenere il tempo con un po' più di enfasi (la beatlesiana "If I Could Be Anywhere"), ma si ha sempre la sensazione di essere in un ambiene accogliente, familiare, ma non per questo monotono o sonnolento. Un po' retrò perché Jackson Browne proviene da un ambiente completamente distaccato da quello odierno, dagli anni sessant...

Stormy Six

Oggi ricordati soprattutto come efficaci e insuperati autori di canzoni di protesta in realtà gli Stormy Six sono stati molto di più, visti gli innumerevoli stili e stimoli che ne hanno segnato il percorso. Formatosi nel 1965 ( e quindi nel pieno del fenomeno beat) a Milano intorno alla figura di franco Fabbri (1949), gli Stormy Six esordiscono l'anno successivo con il singolo Oggi piango , cover degli Small Faces. Discografia e Wikipedia 

Ani DiFranco - Allergic To Water (2014)

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di Max Sannella Da poco mamma, l’eterna ribelle di Buffalo, Ani DiFranco torna a far sentire la sua stupenda smania di essere contro, magari lo fa con un po di tacche in meno, un “anti” pensiero che in questo suo Allergic To Water è molto più ammorbidito dei precedenti lavori, ma questo non significa arrendevolezza solamente che l’artista americana si concede una riflessione interiore, See see see see, uno scandaglio nella sua interiorità soul, Tr’w, e un interesse per una bellezza quasi primitiva della vita, Genie, cose e terreni di gioco in cui DiFranco riversa poesia e viaggi mentali molto lontani dai frenetismi in cui l’abbiamo conosciuta, ora per lei la cosa preponderante è arrivare dentro gli ascolti in maniera confidenziale e col cuore in mano. Da sempre eroina femminista e portavoce delle battaglie contro il music business, la folk singer immagina un mondo a portata di donna semplice, di madre affascinatrice di consigli e forze quasi familiari, una tracklist ispirata e vi...

Proud Mary - Creedence Clearwater Revival (1969)

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 I Creedence sono stati la quintessenza del rock 'n' roll, l'unica band che, in quanto a importanza, potrebbe per me rivaleggiare con Beatles e Stones. Avevano una capacità straordinaria di condensare gli elementi chiave del rock e di unirli in modo anomalo e spettacolare. Proud Mary condensa la parte meno cupa del blues (ma non per questo meno inquietante), quella festosa del folk-rock, la dolcezza del country, lo spirito delle paludi della Louisiana e l'orecchiabilità di chi sa macinare hit a tutto spiano. È febbricitante, ma non isterica; fa muovere i piedi, ma non è pop, fa alzare le braccia al cielo, ma non è apocalittica. Proud Mary è il manifesto della band di John Fogerty, che ha saputo davvero scrivere la grammatica del rock. Ecco perché sono così importanti. Magari non hanno raggiunto vette di grandezza sonora o abissi di profondità letteraria, però sono stati insuperabili nel dettare le regole. C'è un po' di Creedence in quasi tutto il rock che è venu...

Lou Reed - Rock N'Roll Animal (1974)

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di M. Zambellini Dopo l'incisione del concept album Berlin nel '73, una delle opere più impegnative e contraddittorie della sua carriera, Lou Reed pubblica Rock N'Roll Animal, primo album dal vivo nato dopo varie vicissitudini con il manager e produttore Dennis Katz. Disco spettacolare e strepitoso, la testimonianza di un periodo creativo che ha fatto sognare molti ma ha lasciato molte vittime sul campo, Rock N'Roll Animal è uno dei migliori live della storia del rock ed è una delle pietre milari degli anni '70 con quel sound duro e metallico, devastante nel ritmo, oscuro e trasgressivo nelle liriche. In scena c'è un Lou Reed quasi rasato a zero che gioca con mosse androgine e nervose a fare il cattivo maestro ed il principe dei bassifondi mentre la band suona col coltello tra i denti, sferragliando un rock newyorchese di grande potenza e feroci assoli di chitarre. Il set è incredibile, canzoni rese celebri dai Velvet Underground come Heroin, Whit...

Joan Shelley - Real Warmth (2025)

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di Silvano Bottaro Joan Shelley pubblica album da quindici anni, eppure riesce sempre a far sì che ogni album sembri un nuovo, facile abbraccio. " Voglio l'inno che sa di primo amore / Voglio il ritornello che scalda come il fuoco / Voglio la melodia che si gonfia come una luna piena / Che conosce il tuo desiderio più profondo", canta a metà del suo decimo LP, Real Warmth, un album disinvolto e infinitamente canticchiabile, registrato a Toronto con il produttore Ben Whiteley e che vanta contributi del suo compagno, Nathan Salsburg, così come di Tamara Lindeman dei Weather Station e di una affiatata comunità di musicisti di Toronto, tra cui Philippe Melanson, Karen Ng, Doug Paisley, Tamara Lindeman, Matt Kelley e Ken Whiteley.  Cantando con una convinzione silenziosa e ardente, Shelley scrive spesso attraverso una lente fantastica, ma il linguaggio che raccolgono è musicale, colloquiale, amante della natura e totalmente umano. Ha incaricato un altro grande cantautore mode...

Marianne Faithfull - Give My Love To London (2014)

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di Ariel Bertoldo Fumo di sigaretta e dietro uno sfondo rosso, luciferino: la nuvola nasce dalle labbra, le incornicia il viso. Lei è Marianne Faithfull, ritratta in copertina. È il suo nuovo album e non potrebbe essere altrimenti. Già, perché la cantautrice inglese dopo tutti questi anni di carriera (quasi cinquanta, anche se inframezzati da lunghi, turbolenti periodi di inattività) incarna ancora, e forse oggi più di allora, la figura dell’Araba Fenice, risorta dal ceneri, di ritorno dall’Inferno. Un nome, un destino il suo: conturbante poetessa decadente, cresciuta nei damascati agi di una famiglia aristocratica, precipitata bionda e giovanissima prima nel giro più rock e fashion della Swingin’ London (sponda Mick Jagger) poi nei vicoli bui e squallidi della tossicodipendenza, angoli remoti e arrugginiti della capitale britannica, case occupate, alberghi di quart’ordine. Ha sofferto, ha patito, da giovane è quasi morta d’amori sbagliati, di solitudine, di malinconia: poi la fo...

R.E.M.

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Dopo otto anni di onorata e fortunata carriera a cavallo tra i suoni di certo folk-rock psichedelico e una vena ‘indie’ mutuata da trascorsi live sui palchi del circuito punk, firmarono nel 1988 un contratto miliardario per la realizzazione di ‘Green’, che li portò in breve ad essere la più celebrata band del rock americano, l’unico in grado di rivaleggiare con gli U2 in termini di successo popolare e di carisma, di compiutezza artistica e innovazione, di rapporto con il pubblico e indipendenza creativa. La loro storia inizia nel 1980 ad Athens, Georgia, quando a Peter Buck e Michael Stipe si uniscono Bill Berry e Mike Mills per dar vita a una band che predicava il verbo sonoro della nuova onda in maniera originale, mescolando febbre psichedelica e punk, ma anche qualche ricordo dei Birds e dei Doors. L’esordio discografico è del 1982 con ’Chronic Town’, ma è con ’Murmur’, l’anno seguente, che il mondo si accorge di loro. Sono una band singolare, nel senso che il loro rapporto con ...

Thom Yorke - Tomorrow’s Modern Boxes (2014)

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di Stefano Solventi La seconda cosa che mi ha colpito del nuovo disco di Thom Yorke sono i primi trenta secondi, quella specie di loop monocorde pseudo-industrial: cosa mi ricordava? Ci ho pensato un bel po’ prima di rendermi conto che sembrava il riflesso lacero e consunto di un’altra intro, quella di Discotheque, canzone di apertura di Pop, album che ha segnato un turning point per gli U2 e – a detta di molti, tra cui il sottoscritto – l’ultimo nel quale abbiano dimostrato un po’ di vena creativa. Tutto lascia pensare che si tratti di un link attivato solo dalla complicata rete di connessioni mnemoniche del sottoscritto, o al massimo una coincidenza, però dal momento che viviamo in un’epoca in cui tutto è collegato, stratificato, connesso appunto, credo sia inevitabile lasciare accesa una fiammella di sospetto. Venendo invece alla prima cosa che mi ha colpito di Tomorrow’s Modern Boxes, è ovviamente la sua comparsa repentina, bruciante, inattesa ma soprattutto inopportuna, con...

Pino Daniele – Nero a metà (1980)

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di Silvano Bottaro Dopo la pubblicazione di “Terra mia” del 1977 e la conferma con l’album “Omonimo” del 1979, Pino Daniele pubblica “ Nero a metà ” il disco che lo consacrerà definitivamente al grande pubblico. Daniele ha venticinque anni ma ha già una buona esperienza come strumentista suona, infatti, dall’età di dodici anni e ha già militato in diversi gruppi partenopei compresi i Napoli Centrale. Pino Daniele come Napoli, possiede in questo disco una doppia anima, romantica la prima, ritmica la seconda, nervose e soleggiate entrambe. Nero a metà è un buon disco, senza alti e bassi. Daniele riesce a stringere in dodici canzoni la ‘napolitanità’ sonora fatta di mare, caffè, chitarra e soul.  Come ogni grande musica, le canzoni di Nero a metà sono quasi più di chi le ascolta che di chi le ha scritte. Ma chi le ha scritte ha un grande orecchio, e ha avuto il merito di convogliare in arte le tante ispirazioni del mondo sonoro napoletano. Il disco inizia con l’armo...

Ryan Adams - Omonimo (2014)

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di Fausto Gori E` da quello che in definitiva è il suo miglior album solista, Cold Roses (2005), che Ryan Adams perde l`occasione di consacrare definitivamente la figura di un musicista che, fin dai tempi dorati dei Whiskeytown, non ha mai smesso di far parlare di sè, nel bene e nel male. Tre anni dopo il discreto Ashes and Fire (2011), l`impressione è sempre la stessa, cioè che nella personalità bizzarra e indecifrabile di Ryan ci possa essere un potenziale artistico non ancora del tutto espresso, ma anche una incapacità palese nell`essere qualitativamente coerente, e in questo, l`abbastanza inutile sfogo metal di Orion (2010) ha sicuramente rappresentato un vertice negativo. Naturalmente non si può non riconoscergli i meriti di una identità comunque consolidata che, nonostante tutto, rimane ancora credibile agli occhi esigenti dei tanti appassionati rock. Arrivato alla soglia dei quarant`anni, l`ex ragazzo della North Carolina è ancora irrequieto, nel suo nuovo disco omonim...

Leonard Cohen - Popular Problems (2014)

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da Redazione Si può restare dei fuoriclasse a 80 anni? Leonard Cohen dimostra di sì con questo nuovo album, perla preziosa per questi anni nuovi di sound meno duri. La voce diventa più roca, ricalcando quasi quella del nighthawk per eccellezza (Tom Waits): cavernosa e profonda ci guida verso i nove pezzi di un album di cui sentivamo proprio la mancanza. Perché sì, ci sono momenti in cui l’esigenza di lasciarci trascinare dalla melodia piuttosto che dal glitch li vogliamo vivere anche oggi. Il viaggio rauco attraversa scenari luridi, i peggiori bar delle città o dei vecchi paesi, la solitudine interiore, la poesia come pezzettini di vetro che fendono la pelle, il rumore di una vecchia ballata. Che Cohen riesca in questa titanica impresa ancora a 80 anni (l’impresa della creatività) è un piccolo miracolo che vogliamo conservare. E omaggiare. Il giovane Cohen che cantava ”siamo brutti ma abbiamo la musica” sapeva verso che strada stava andando: tu ragazzino belloccio che monti sul ...

The Third Mind - Right Now! (2025)

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di Silvano Bottaro The Third Mind con "Right Now!", sono al loro terzo album. Registrato dal vivo in quattro giorni nei Sound Recording Studio di Los Angeles. "Right Now!" è una combinazione di istinto e improvvisazione da parte di musicisti esperti che si incontrano in tempo reale per trovare le canzoni man mano che procedono. "Tutto in questo disco è intuitivo", afferma il co-fondatore di The Third Mind Dave Alvin. "Siamo cinque musicisti che camminano su una corda tesa, improvvisando un dialogo tra loro".  La band è nata come un esperimento in studio free-form tra Alvin e Victor Krummenacher (Camper Van Beethoven, Cracker, Monks of Doom, Eyelids), ispirato dalla spontaneità del lavoro di improvvisazione di Miles Davis. I Third Mind si sono evoluti in un supergruppo che ha arruolato il chitarrista David Immerglück (Counting Crows), il batterista Michael Jerome (Richard Thompson, Better Than Ezra, John Cale) e il cantautore Jesse Sykes (Jesse Sy...

Alan Sorrenti

Da risposta italiana a Tim Buckley a stella della discomusic a reperto di modernariato pop. Questa singolare parabola di Alan Sorrenti, musicista e cantante talentuoso ma ormai da anni lontano dai riflettori e dall'attenzione della critica e del grande pubblico. Napoletano, Sorrenti (1950) si fa conoscere all'inizio degli anni '70 grazie alla partecipazione ad alcuni importanti eventi dal vivo. Discografia e Wikipedia

Pata Pata - Miriam Makeba (1989)

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Della sua voce, Harry Belafonte, che prese in prestito molte sue canzoni, disse che «era profonda come l'oceano indiano e brillante come i diamanti della sua terra». Miriam Makeba, o «Mama Africa», come la chiamavano tutti, è però qualcosa di più di una grande cantante. E anche il simbolo di una terra, il Sudafrica, piagata e piegata ma non spezzata dall'apartheid, terra da cui fu esiliata nel 1959, anno nel quale venne presentato alla Mostra del cinema di Venezia il documentario Come Back Africa, dove lei, protagonista, denunciava soprusi e violenze. Da allora, ha cominciato a portare in giro per il mondo la sua voce, una musica che è alle radici del rock 'n' roll da sempre, l'amore per la sua terra e l'odio per il razzismo. Io ero presente al Radio City Music Hall di New York, il 18 aprile 1988, giorno del suo primo concerto nella Grande Mela dopo vent'anni di divieti ed esilio. Sul palco con lei, Hugh Masekela, un altro grande artista sudafricano, e il ca...

Bright Eyes - Kids Table (2025)

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di Silvano Bottaro Dopo "Five Dice, All Threes", album viscerale e coinvolgente del 2024, questo EP si presenta sia come complice di quell'album sia come mondo autonomo a sé stante. Sebbene molte di queste nuove canzoni siano emerse dalle stesse sessioni di registrazione, non tutte si adattavano perfettamente alla coesione concisa di quell'album. Quindi è sempre stato il piano di Conor Oberst, Mike Mogis e Nate Walcott quello di trovare un altro posto per questi emarginati. Riferimenti culturali sia alti che bassi costellano l'EP: citando tutti, da Salman Rushdie, Joe Strummer e Candace Bergen in "Victory City" a Shakespeare, Guy Fawkes e la signora Peacock del classico gioco da tavolo Cluedo in "Shakespeare In A Nutshell". Ma è la cover del brano del 1980 di Lucinda Williams "Sharp Cutting Wings (Song For A Poet)" davvero il cuore di questa raccolta. Oberst e Williams condividono una chiara comunanza musicale, entrambi esperti nel te...

Lou Reed

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All’inizio degli anni settanta, Lou Reed chiude l’avventura con i Velvet Underground e lascia l’America per approdare in Inghilterra, dove stringe un proficuo sodalizio con David Bowie. Il risultato è uno dei dischi più influenti della storia del rock, significamente intitolato “Transformer”, prima consapevole realizzazione di un progetto sospeso tra le due sponde dell’oceano. Il disco è un manifesto dell’ambiguità, un sillabario del lessico del rock “vizioso” che contiene brani destinati a diventare dei classici, come Vicious, Satellite of love, Walk on the Wild Side, Perfect Day, rock affilato e romantico, decadente e perverso, spettacolare e innovativo. In questi brani è racchiusa la poetica di Lou Reed, i versi oscuramente metropolitani, la devianza come forma d’arte, un senso strisciante di perdizione, una malinconica ed eccitante malia da fine del mondo, la confusione tra vita e arte, comunicate con un’elettricità travolgente, anche quando i ritmi si fanno più lenti e la vo...

E T I C H E T T E

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