Lucinda Williams - Where The Spirit Meets The Bone (2014)

di Paolo Carù

Era da parecchio che attendevo il nuovo disco della Williams, da tre anni almeno, da Blessed, un signor disco. Blessed, a sua volta, veniva dopo due dischi, a mio parere, meno riusciti: West e, sopratutto, Little Honey.
Down When The Spirit Meets The Bone è invece un bel disco, anzi un grande disco.
Prima di tutto è doppio, ed è la prima volta che la Williams mette sul piatto 20 canzoni nuove, non lo aveva mai fatto. 20 canzoni, anzi 19, composte da lei. Di doppi ne aveva pubblicati due: il Live @ The Fillmore e l’edizione speciale di Blessed. Ma questa è la prima volta che la cantautrice pubblica 20 canzoni nuove di zecca. Una proposta ricca, piena di musica, gonfia di chitarre. Questo è un disco di chitarre in primo luogo perchè, oltre ai fidi Val McCallum, Greg Leisz e (in una sola canzone) Doug Pettibone, Lucinda ha chiamato a sé Tony Joe White, Bill Frisell, Jonathan Wilson e Stuart Mathis (chitarra nei Wallflowers di Jakob Dylan).
E questo perchè le canzoni sono totalmente basate sul suono delle chitarre, sulle jam tra chitarre, sulle code strumentali a base di chitarre che ci sono in diverse canzoni. Si vede che ci ha preso gusto, che ha registrato in assoluta libertà, lasciando andare gli strumenti anche quando la canzone si poteva considerare terminata.
Prendete Magnolia, proprio il brano di JJ Cale, la canzone che chiude il disco: è una jam di dieci minuti e, quando termina il cantato, Lucinda e la sua band (qui c’è Bill Frisell alla solista), lasciano andare la musica.
E il disco ci guadagna, alla grande. Due CD, cento minuti di musica. Una offerta ricca, sapida, con almeno sette / otto canzoni splendide ed una qualità media molto alta. Il suono è classico ma, sopratutto nel secondo CD, c’è una tendenza ad andare verso ballate roots oriented, sempre elettriche. Lucinda è una che ama il suo mestiere, che ci mette l’anima, che quando scrive è cocciuta e tosta e quando suona lo è ancora di più.
Ma i dischi le danno ragione: oggi non ci sono molte rocker in grado di fare musica a questi livelli, di offrire un piatto così ricco, senza cadere nel ripetitivo.
Down Where The Spirit Meets The Bone è un album solido, una vera roccia, e lo potete smussare lentamente, canzone dopo canzone: dategli tempo e starà nel vostro lettore per mesi e mesi. E’ quello che sta succedendo a me, sono ormai tre settimane che non riesco a toglierlo e, sono sicuro, ci resterà ancora per molto.
Compassion, che apre il doppio album, è l’unico brano voce e chitarra: si tratta di un poema di Miller Williams, il padre di Lucinda, che lei ha musicato, aggiungendo anche delle parole. Una canzone amara, molto triste, dove appaiono le parole Where The Spirit Meets The Bone, che poi danno il titolo all’opera.
Il disco reale inizia con Protection, una ballad secca e desertica dai sapori quasi sudisti: Greg Leisz e Val McCallum duettano con le chitarre, quasi fossimo in una southern band.
Burning Bridges è discorsiva, fluida, scorrevole. Oltre a Leisz, uno dei protagonisti indiscussi del disco, qui c’è la chitarra di Jonathan Wilson. Bello il ritornello (Burning Bridges, Burn ‘em Down) che dà sapore al brano. East Side of Town è più lenta, piana, morbida: qui alla chitarra c’è il Wallflower Stuart Mathis (oltre a Leisz), mentre Ian McLagan si muove sulle tastiere.
Bella ballata dal sapore roots, tipico racconto di confine, che scivola sulla voce triste della Williams.
West Memphis, dedicata ai West Memphis Three, vede Tony Joe White mettere in gioco la sua chitarra: si nota subito il suo tocco, anche il tempo della canzone viene condizionato dal suono di White. West Memphis ha un vago sapore swamp, si perde nei meandri della paludi della Louisiana e racconta una storia molto triste: ma il gioco tra Leisz e White è già una delle cose da ricordare di questo splendido album (Tony Joe lascia il segno anche con l’armonica).
Cold Day in Hell è invece una ballatona coi profumi del west nei solchi. Intro lento, chitarre subito in evidenza (McCallum e Leisz), voce perfetta: ed il racconto prosegue, desertico e spoglio, ma con una atmosfera da brividi. Una canzone destinata a colpire profondamente la nostra memoria: brani di questa qualità non ne sentiamo molti, in capo ad un anno.
Foolishness vede di nuovo McLagan al piano, con Leisz e Mathis. Buon brano, teso e diretto. Preferisco però Wrong Number, ritmo lento, andamento classico: il piano di Patrick Warren la condiziona, mentre la Williams domina con la voce strascicata e lamentosa
Stand Right By Each Other ha un inizio quasi country con Val McCallum che la punteggia molto bene: Lucinda canta la ballata in modo disincantato e la canzone, che ha ritmo ed un refrain piacevolissimo, scorre via in un baleno. Tra le mie preferite.
Chiude il primo CD la triste It’s Gonna Rain con Leisz che duetta questa volta con Bill Frisell.
Jakob Dylan presta la sua voce al duetto con la Williams, ma si sente appena appena.
Lei domina con la sua timbrica quasi nasale e con quella dicotomia lamentosa che è il suo marchio di fabbrica.
Se il primo CD è bello, il secondo è ancora meglio.
Something Wicked This Way Comes ci regala ancora la presenza di Tony Joe White.
E la canzone è ancora southern, con le sue atmosfere ruvide, il cantato tosto e il suono secco della band. Splendida la coda finale, solo strumentale.
Big Mess, che alla fine si allunga pure lei in una bella jam strumentale, è un’altra delle gemme del disco. Lenta, maestosa, fluida nel suo incidere, è cantata con grande personalità, con Leisz e McCallum che si alternano alla solista. Una classica story song, un racconto triste, tragico, costruito su una melodia roots, ma non country. La parte chitarristica è tutta da godere.
When I Look To The World è una classica ballata, con Pettibone alla solista, è una melodia tra rock e country, molto nostalgica.
Walk On è invece l’essenza della canzone rock. Dal ritornello (Walk On, Come on Girl, Walk On) al suo sviluppo, la canzone è decisamente bella e coinvolgente. Altro brano guida, uno dei quelli che risentirei senza smettere mai. Leisz solo alla chitarra senza nessuno a fare da spalla, se la cava egregiamente.
Anche Temporaray Nature (Of Any precious Thing) è una delle canzoni da mettere in bacheca.
Grande ballata, dal timbro nostalgico e dal tempo cadenzato, vive sulla voce della protagonista, sul piano di Mc Lagan e sulla coesione del gruppo.
Everything But The Truth ha una atmosfera quasi bluesata, la voce roca, sempre belle chitarre e mantiene alta la qualità del disco.
This Old Heartache è invece una ballata country, a tutti gli effetti. Dal tempo classico alla voce di Lucinda, più morbida, meno tragica, alla steel guitar, magnifica, nelle mani di Leisz. Al tipico ritornello che non lascia dubbi: country classico.
Stowaway in Your Heart torna invece al rock, alle chitarre elettriche (Leisz e Mathis) ed è un’altra canzone da portare in palmo di mano. Una ballata elettrica di grande spessore che entra subito in curcuito e si ascolta e riascolta sino alla nausea. Notevole anche la lenta One More Day, in cui, oltre ai soliti, citiamo la sezione ritmica di Costello, Pete Thomas e Davey Faragher, presente in quasi tutte le canzoni.
C’è l’uso di fiati (unica in tutto il disco), ma la ballata piace di per sé stessa, per la sua atmosfera languida, per la voce della Williams, per il suono in generale. Chiude il doppio album Magnolia. Si tratta del classico di JJ Cale che la La Williams interpreta alla sua maniera. Splendida versione, portata avanti per dieci minuti, con le chitarre (Frisell e Leisz) che la fanno da padrone, mentre la ritmica è quella della road band della Williams (Butch Norton e Davis Sutton)
Versione personale, cantata con voce languida, intessuta sulle chitarra che jammano in continuazione, anche quando Lucinda canta, per poi lasciarsi andare alla fine. Grande, grandissima versione che chiude un disco, a dire poco, magnifico.
Tra i più belli di quest’anno. Forse anche il più bello. (Mia valutazione: Distinto)

Commenti

  1. Lo sto ascoltando in questi giorni. E non smetto di farlo. Disco più bello dell'anno? Mi sa di si.

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  2. Per il momento è al terzo posto che, su una quarantina significa sicuramente tra i più belli. :)

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