alt-J – The Dream (2022)
di indie-rock Gli Alt-J o li si ama o li si odia. Tra i pochi capaci di due shortlist del Mercury Prize con i primi tre album, e probabilmente gli unici che, con gli stessi dischi, non sono mai riusciti a raggranellare qualcosa di più di un misero 4.8/10 su Pitchfork. È forse il loro strano modo di fare musica che polarizza così tanto l’opinione pubblica, oltre a un successo che premia un progetto musicale che potrebbe, a un primo ascolto, non apparire così accessibile. Dalla parte del trio di Leeds c’è sicuramente coerenza e un suono caratterizzante, sebbene debitore di tutto ciò che c’è stato in passato, primo tra tutti un ‘miscelatore seriale’ come Beck. Folk, pop, elettronica, soul, hip-hop, ma anche world music di varia provenienza, sono mescolati in canzoni coese da una stratificazione creativa quanto inappuntabile, dalla peculiare vocalità del chitarrista Joe Newman, e dall’uso frequentissimo del canto corale. È quanto accade anche in questo ‘The Dream‘, che la band descrive co