alt-J – The Dream (2022)
di indie-rock
Gli Alt-J o li si ama o li si odia. Tra i pochi capaci di due shortlist del Mercury Prize con i primi tre album, e probabilmente gli unici che, con gli stessi dischi, non sono mai riusciti a raggranellare qualcosa di più di un misero 4.8/10 su Pitchfork. È forse il loro strano modo di fare musica che polarizza così tanto l’opinione pubblica, oltre a un successo che premia un progetto musicale che potrebbe, a un primo ascolto, non apparire così accessibile. Dalla parte del trio di Leeds c’è sicuramente coerenza e un suono caratterizzante, sebbene debitore di tutto ciò che c’è stato in passato, primo tra tutti un ‘miscelatore seriale’ come Beck.
Folk, pop, elettronica, soul, hip-hop, ma anche world music di varia provenienza, sono mescolati in canzoni coese da una stratificazione creativa quanto inappuntabile, dalla peculiare vocalità del chitarrista Joe Newman, e dall’uso frequentissimo del canto corale. È quanto accade anche in questo ‘The Dream‘, che la band descrive come il proprio LP “emotivamente più onesto“. “Se la gente ascolterà ancora la nostra musica tra 30 anni, mi piacerebbe che pensassero: ‘Gli Alt-J hanno fatto qualcosa di veramente speciale nel loro quarto album. Si sono davvero messi in gioco’“, si augura il tastierista Gus Unger-Hamilton in questa intervista all’NME.
È probabilmente la ragione per cui ‘The Dream‘ appare, anche a livello sonoro, l’album più misurato della loro carriera. C’è ancora un po’ di kitsch (il campionamento lirico in ‘Philadelphia‘) e c’è persino la cassa dritta (in ‘Chicago‘), ma proprio quest’ultima mostra come Newman e soci siano ormai in grado di addomesticare qualsiasi formula musicale. C’è più introspezione che divertimento in questo disco, più amarezza che gioia, che porta in scaletta diversi numeri autenticamente cantautorali come ‘Happier When You’re Gone‘, ‘Losing My Mind‘, ‘Powders‘ e l’insolitamente spoglia e acustica ‘Get Better‘, che rappresentano i picchi emotivi del lavoro, oltre che la certificazione che il proposito della band sia stato raggiunto. Sarà molto arduo che questo disco vada ancora in finale al Mercury Prize, quantomeno per la legge dei grandi numeri, ma forse, nel suo complesso e per la maturità che dimostra, lo meriterebbe più del precedente. Gli Alt-J si palesano come band solida, valida per più di una stagione musicale, sempre versatile ma anche estremamente riconoscibile. Pitchfork se ne farà una ragione.
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