Baba Sissoko with Jean-Philippe Rykiel, Madou Sidiki Diabate, Lansiné Kouyaté – Griot Jazz (2021)
di Alessio Surian
Una prima chiave d’accesso al nuovo album di Baba Sissoko sono i brani “Abderrahmane” e “Fatoumata”, dedicati ad Abderrahmane Sissako e Fatoumata Diawara, nonché il brano dedicato a Damon Albarn e intitolato “Kamissoko”, il condottiero fondatore dell’impero Mandé il cui nome è stato dato in Mali ad Albarn. I quindici brani raccolti in “Griot Jazz” vengono dalla partecipazione di Baba Sissoko a “Le vol du Boli”, spettacolo messo in scena la prima volta ad ottobre 2020, nato dalla collaborazione fra Damon Albarn ed il regista Abderrahmane Sissako, che hanno coinvolto Fatoumata Diawara, insieme a musicisti e cantanti maliani, congolesi e burkinabé, in un’appassionata narrazione del continente africano seguendo Boli, “feticcio” magico. Lo spettacolo sarà di nuovo in scena a Parigi, al teatro Châtelet ad aprile e maggio 2022. Il lavoro di preparazione si è rivelato una felice occasione di incontro fra lo ngoni e il tama di Baba Sissoko, residente in Italia, il balafon di Lansiné Kouyaté, da tempo in Francia, e la kora di Madou Sidiki Diabate, l’unico a vivere ancora nella loro terra natale, il Mali. La preparazione di “Le vol du Boli” ha offerto loro l’occasione per conoscersi come musicisti e ha suscitato il desiderio di suonare il trio. Un desiderio che Baba Sissoko ha raccolto scrivendo alcune composizioni pensate per essere suonate proprio con Lansiné Kouyaté e Madou Sidiki Diabate. E così, a settembre 2020, Lansiné Kouyaté ha contattato l’amico, ed esperto musicista, Jean-Philippe Rykiel che li ha ospitati nel suo studio di registrazione. Nell’Africa subsahariana, un feticcio come il Boli è considerato sacro, fonte di potere, da trasmettersi attraverso le generazioni, possibile connessione fra morti e viventi: la memoria di un popolo e occasione per esporre la crudeltà che ha spesso caratterizzato i rapporti fra Africa e Europa. Gli incontri musicali non devono seguire, però, i sentieri delle relazioni coloniali e, nel caso delle sedute di registrazione del trio, è accaduto che le musiche di Baba Sissoko abbiano coinvolto anche Jean-Philippe Rykiel che si è sentito di aggiungere le sue tastiere ai suoni che stava ascoltando durante le prove; e l’ha fatto così bene da suggerire a Baba Sissoko un segno del “destino”: su suo invito Jean-Philippe Rykiel si è aggiunto al trio trasformandolo in quartetto, forte di un’esperienza che fin dal 1985 lo vede a fianco di artisti dell’Africa occidentale del calibro di Xalam, Youssou N’Dour, Super Rail Band e Salif Keita. In “Sini Ka Dja”, che apre l’album, il canto di Baba Sissoko racconta proprio come nella vita tutto sia possibile e ci propone a metafora della vita la scuola, un luogo in cui ogni giorno è possibile apprendere qualcosa di nuovo. Il nuovo assetto non ha modificato il senso di spontaneità che le nuove composizioni si proponevano di suscitare nei musicisti, assecondando in primo luogo le sonorità della tradizione griot e basate proprio su ngoni, tama, balafon e kora. E questa rappresenta una seconda chiave con cui leggere il nuovo disco: la capacità di dar vita, anche in uno studio, a un vero e proprio concerto dal vivo, di coltivare la gioia del suonare insieme, evidente in brani come “Angafoli” in cui, le prime note del balafon chiamano tutti gli altri strumenti, a cominciare dalla kora, a rispondere e rilanciare il felice flusso melodico. Altrove, è la voce di Baba Sissoko a guidare il gruppo, specie se si tratta di dar corpo al legame della musica con la danza, esplicito nella dedica del dodicesimo brano a “Mamela Nyamza”, eccezionale ballerina e coreografa sudafricana. Piano e tastiere di Jean-Philippe Rykiel sanno ampliare la gamma cromatica, aggiungere un elemento bluesy o, esplicitamente, creare interazioni fra sonorità maliane ed occidentali, come in “Griot Jazz” che dà il titolo all’intero album: sospinta da ngoni e kora, comincia a swingare e danzare e ad offrire nuovi cromatismi proprio con l’entrata di balafon e tastiere.
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