Big Thief – Dragon New Warm Mountain I Believe In You (2022)

 di Stefano Solventi

Per quanto mi riguarda il sospetto – o la sensazione, se preferite – che i Big Thief siano una sorta di Adrianne Lenker in versione espansa è cresciuta disco dopo disco, ma è con il lockdown che ho iniziato a pensarlo seriamente. Vale a dire con i due album solisti che la cantautrice di Indianapolis ha fatto uscire nel 2020, e mi riferisco soprattutto allo splendido Songs.  Al di là del fatto che nella band è lei l’autrice pressoché unica di testi e musiche, quando una voce caratterizza così tanto le canzoni – una voce che sembra il suono stesso dell’interno che si rovescia sull’esterno, e viceversa – il pur consistente apporto del gruppo in termini di arrangiamento rischia di apparire accessorio, fatica a imporsi come sostanziale. E invece lo è: in modalità Big Thief le canzoni di Adrianne non solo possono contare su un “guardaroba sonoro” più ricco, ma è come se i colori in più sulla tavolozza consentissero uno sguardo e una direzione più sfaccettati, un vero e proprio balzo dimensionale. 

Detto questo, e venendo all’oggetto della recensione, il quinto album dei Big Thief è un doppio, venti tracce in scaletta per ottanta minuti abbondanti di durata. Pure in questo frangente storico piuttosto confuso (anzi: a maggior ragione), non si può fare a meno di tirare in ballo la vecchia cara regola che attribuisce a un album doppio un ruolo particolare nell’ambito di una discografia: quello di punto di svolta o consolidamento, oppure di testimone di un eccezionale – e spesso irripetibile – fulgore creativo, o ancora del particolare diapason tra la band e il particolare frangente storico – anni Venti del ventunesimo secolo – di cui sopra. Nel caso specifico, viene da pensare che significhi un po’ tutte queste cose.

Le canzoni di Dragon New Warm Mountain I Believe In You sbocciano tra ruvidità e delicatezza, assumono connotati country folk terrigni seppure intrisi di ombre e fragilità, ma in un lampo sono capaci di tirare fuori dallo sgabuzzino qualche arnese polveroso – una tastiera, una drum machine o un vecchio PC – per avventurarsi sulla scia di sgangherati miraggi post-wave, mentre altrove (spesso) tentano di perturbare – di rendere poco familiare, unheimlich – la facciata rassicurante della tradizione grazie a sfondi percussivi anomali o intrecci di chitarre schizoidi. Tutto ciò trova una corrispondenza precisa nei testi, che nella loro elusività calda, in quel rimestare flash diaristici combinandoli in sequenze enigmatiche, sembrano alludere soprattutto al contrasto tra solitudine e condivisione, al senso di smarrimento in cui galleggiano le periferie, al loro scollamento dalla centrifuga del presente, e a come in ragione di ciò ogni vita somigli a un rifugio e a una trappola, a partire dai dettagli («Like a feeling like a flash / Like a fallen eyelash»), dal cuore oscuro dei sentimenti («You believe, I believe too / That you are the river of light / Who I love that I cling to / In the belly of the empty night»). 

Con queste ballate intrise di abbandono febbricitante e disperazione agrodolce, con le filastrocche nervose, le marcette ipnotiche e i bozzetti acustici calcinati, i Big Thief raccontano una realtà marginale e desolata, non tanto perché esclusa (ok, forse anche perché esclusa), ma soprattutto perché consapevole dei bug di sistema, dell’impoverimento sul piano delle relazioni e quindi dello spaesamento esistenziale, della fragilità dell’individuo in quanto anima, corpo e parte di una comunità. Tra le righe e i vocalizzi spiegazzati di Lenker covano perciò inadeguatezza e incomunicabilità, la percezione capillare e problematica dei sentimenti, seppure a mollo in una tenace ma stranamente amorfa determinazione a sollevarsi, a recuperare le correlazioni profonde con le dinamiche sociali e la magia autentica della natura («I am the water rise the waterfall / Filling up your eyes / and when you give the call / I run for you»). Temi e angolazioni comuni a tanto dark country (musicale, letterario e cinematografico) contemporaneo, anche se qui la componente dark pare implosa – sterilizzata – alla luce fredda del presente immobile (e del futuro collassato).

Va da sé che tutto ciò non starebbe in piedi senza una buona qualità di scrittura, che qui è a tratti anche buonissima e soprattutto versatile, a suo agio tanto con la solennità polverosa Dylan di 12000 Lines che con la farneticazione onirica à la Kate Bush di Little Things, con l’arguzia pensosa vagamente Edie Brickell di Simulation Swarm e con la sorprendente epicità freak di Time Escaping (tipo un’euforia Dirty Projectors abbacinata Coldplay), e ancora con lo sketch cibernetico Notwist di Blurred View e coi vortici sanguigni Fairport Convention di Spud Infinity e Red Moon.

Dragon New Warm Mountain I Believe In You è quindi un lavoro di sintesi e frammentazione, di artifici e genuinità, uno sforzo espressivo energico e al tempo stesso spaurito, sconcertante e confortevole. È una mappa dalle coordinate impazzite che pure riesce a portarci a casa: quale altro tipo di mappa, oggi, potrebbe farlo? Anche per questo, credo lo si debba ritenere un album importante. E che si possa parlare tranquillamente di capolavoro per i Big Thief.    

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