Steve Gunn - Nakama (2022)

 di Gianfranco Marmoro

Operazione atipica, quella messa in atto da Steve Gunn per l’Ep “Nakama”, per cinque brani estrapolati dall’ultimo album “Other You” e reinventati con la collaborazione di membri di Mdou Moctar, Circuit Des Yeux, Natural Information Society e Bing & Ruth.

Più che semplici musicisti, veri e propri amici (Nakama vuol dire appunto compagni, amici, compatrioti), artisti ai quali Steve Gunn ha affidato le proprie composizioni in attesa di scoprire sfumature inedite che solo un altro occhio può cogliere. Per il musicista americano questo è solo un altro tassello di quel processo di reinvenzione reso palese dalla bellezza mutaforma di “Other You”.

In occasione dell’uscita del suo ultimo album, avevamo tirato in ballo nomi come Robert Wyatt, Mark Hollis e la Penguin Café Orchestra, assonanze che apparivano strane riferite a un artista distintosi in un ambito alt-folk abbastanza definito. Quel coraggio, quell’azzardo creativo erano dunque frutto di una visione più ampia ed eterogenea di quanto fosse supponibile, perché “Nakama” conferma e amplia ulteriormente il fronte delle influenze, esternandole con forza e vigore creativo.

A “Protection” e “Reflection” tocca rispettivamente l’apertura e la chiusura dell’Ep, quasi a voler evocare nella scelta dei due titoli la natura intrinseca del progetto. Il brio psichedelico di “Protection” è surrogato dal curioso abbinamento tra elementi elettro-acustici e drum machine, in entrambi i casi elaborate secondo la moderna sensibilità tuareg. Il risultato è un raffinato soul-country-blues trattato alla maniera dei Roxy Music di “Avalon”.

Più rispettosa dell’originale, la rilettura di “Reflection”, operata da Bing & Ruth, dona al brano un insolito groove ritmico/psichedelico che beneficia di incastri strumentali da scoprire con calma, dietro l’oltremodo piacevole superficie.

Anche “Ever Feel That Way” beneficia di sottrazioni e addizioni, questa volta frutto dell’eleganza di Circuit Des Yeux, le delicate stratificazioni chitarristiche dell’originale sono rimpiazzate da evocative sonorità di synth, fiati e piano, fino a rasentare l’estasi onirica.

Queste atmosfere lunari e sospese sono alfine il vero punto di forza di “Nakama”, e in quest’ottica le rielaborazioni dei Natural Information Society di Joshua Abrams sono più stimolanti, morbide, vellutate, eppure scarne e pungenti.

“On The Way” e “Ever Feel That Way” sono proiettate in una dimensione ultraterrena tra il mondo visionario di John Martyn di “One World” e l’ambient-pop di Brian Eno, nebulose denaturate dalla vocazione al canto, che resta sommesso e diafano.

Pur pubblicato solo in digitale “Nakama” è uno dei primi regali inattesi dell’anno, un concentrato di scrittura e di reinvenzione sonora che trascende le attese e ristora l’animo.

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