di Blackswan Non è facile recensire un disco di Springsteen, quando si è fan: se sei oggettivo fai torto a te stesso, se non lo sei, fai torto a chi legge. E poi, è un dato di fatto, il Boss è un artista divisivo: per alcuni è una fede, per altri un vecchio bollito che non fa un disco decente da… (ogni detrattore ha il suo anno preferito per indicare l’inizio del declino). Western Stars, tra l’altro, possiede un surplus di difficoltà, perché un disco “diverso”, anomalo, punteggiato da arrangiamenti rigogliosi (ridondanti e leziosi, dirà qualcuno), che lo rendono un unicum nella discografia di Springsteen, tanto che, consentitemi la boutade dadaista, potrà piacere a chi non ha mai amato il Boss e magari dispiacere anche ai più ferventi credenti. C’è un solo modo, quindi, per raccontarlo, che è quello di partire dall’unica distinzione che, a prescindere dai legittimi gusti personali, conta davvero, e cioè quello fra musica bella o brutta. Così, a meno che non siate sordi, prevenuti