Fire! Orchestra – Arrival (2019)
Abbiamo ascoltato per voi in anteprima Arrival della Fire! Orchestra.
No, non è uno dei soliti “occhielli” per acchiappare qualche clic, nell’era in cui – più o meno – tutti ascoltano in anteprima quel che gli pare.
Noi lo abbiamo fatto davvero, proprio un anno fa, durante il bellissimo festival JazzArt di Katowice, in Polonia, in uno dei primi concerti in cui la band svedese proponeva il nuovo repertorio e del disco non si parlava ancora.
E già allora la sensazione era stata potente: emozionante la musica e forte anche l’impressione che il “cambio” di rotta della mastodontica orchestra costruita sul progetto Fire! di Mats Gustafsson segnasse il tempo di un’urgenza timbrica differente.
Non solo la formazione è ora più contenuta numericamente (si fa per dire, ovviamente, sono sempre 14 componenti, ma se pensate che per i primi due dischi erano il doppio…), ma ha anche subito una rilevante trasformazione d’organico.
Il nucleo è sempre quello del trio Fire!, con Mats Gustafsson al sax baritono, Johan Berhtling al basso e Andreas Werliin alla batteria, su cui si innesta la fenomenale accoppiata vocale Mariam Wallentin / Sofia Jernberg e una serie di sezioni acustiche dal colore ben definito. Un quartetto d’archi, un trio di clarinetti pesantemente spostato verso il basso, la tromba imprevedibile di Susana Santos Silva e il pianoforte di Alexander Zethson.
L’arrivo di un suono nuovo, di idee nuove, l’idea stessa di “arrivo”, di accoglienza di un procedere lento e a suo modo intimo, l’apertura alle idee individuali che plasmano un suono comune.
È vero, queste erano caratteristiche anche delle precedenti – eccellenti – prove della Fire! Orchestra, ma il fatto che quella coinvolgente ritualità collettiva, sincera ma anche “collaudata”, venga rielaborata e riportata da Gustafsson & c. a una necessità di riflessione, è segnale non solo della proverbiale intelligenza del musicista svedese, ma anche della capacità di questo progetto di leggere le inquietudini che ci circondano.
Sin dall’iniziale “(I Am A) Horizon”, ritroviamo gli inesorabili crescendo circolari delle “canzoni”, officiate dal contrasto/impasto tra Wallentin e Jernberg e di volta in volta ombreggiate dal respiro dei clarinetti o da pennellate di archi. “Weekends” dapprima saltella su una scoppiettante carbonella di batteria, per poi perdersi in una sorta di caligine in cui le voci armonizzate si trasformano da garrulo coretto in sirene omeriche che attirano dentro a un disossato scheletro funk.
Un posto speciale rivestono le due “cover” del disco, “Blue Crystal Fire” di Robbie Basho e “At Last I Am Free” degli Chic. La presenza di queste due reinterpretazioni fornisce una formidabile chiave di lettura all’intero progetto: l’elemento melodico di entrambe è semplice, bellissimo, circolare, fuori da tempo e ribadisce l’ancestrale essenza del canto.
Il pezzo di Basho cresce con una solennità dolcissima, un respiro da mantice universale su cui dapprima una angelica Jernberg, poi una più dolente Wallentin pennellano il tema per riunirsi solo nel finale. Brividi.
Stesso discorso per “At Last I Am Free”. Il brano degli Chic ha già una sua potente storia di cover: sia i Cassiber che Robert Wyatt avevano infatti già ripreso il pezzo e il riferimento principale per questa versione – che chiude il disco – è in primis Wyatt. Qui però si parte dalla strofa (intensissima l’invocazione di Wallentin), per giungere al celebre ritornello solo nella seconda parte e volare verso cieli striati di nuvole. Brividi doppi.
Tornando ai brani originali, “Silver Trees” germoglia come da una sorta di ecosistema cameristico minuzioso, tagliato nella seconda parte dalla tromba di Susana Santos Silva e dal recitativo incalzante delle voci sopra il riff del clarinetto basso. Si scatena l’inferno… pezzone.
Tipicamente Fire! è il passo doom di “Dressed In Smoke. Blown Away”, con Gustafsson che apre al baritono e poi lascia lo spazio alle vestali del rito e al crescente “disturbo” intermittente delle incursioni dei vari strumenti. Breve, ma splendida, è “(Beneath) The Edge Of Life”, con archi fintamente suadenti.
Arrival è un disco umanissimo e magnetico, che invita chi ascolta a entrare dentro una sorta di vegetazione scura e avviluppante in cui si perde la percezione di cosa si natura e cosa sensazione. Onore alla Fire! Orchestra: una nuova declinazione così lucida e sincera del proprio percorso non è mai scontata per nessuno.
Sarà tra i dischi dell’anno.
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