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Visualizzazione dei post da ottobre, 2023

Eloy - Ocean (1977)

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L’ho scritto più volte che ci sono stati dei periodi musicali fiorentissimi, ricchissimi di gemme discografiche che sono poco conosciute rispetto alla loro qualità. Alcuni miei amici mi hanno mandato, quasi in contemporanea, delle segnalazioni e dei dischi che valgono la pena di essere raccontate. Il periodo d’oro del rock progressive, 1968-1973, portò alla ribalta gruppi entrati nell’immaginario rock, grazie anche alla meraviglia della loro musica (per citarne qualcuno, King Crimson, Genesis, Pink Floyd, Yes, Van Der Graaf Generator, Gentle Giant, la PFM, il Banco Del Mutuo Soccorso e così via) segnando la musica, soprattutto europea. Dalla metà degli anni 70 altri stili, come l’hard rock e il nascente punk, che tra gli obiettivi si prefiggeva di sgombrare il tecnicismo del prog per una musica più diretta e aperta a tutti (qui si potrebbe aprire un grande dibattito, dato che più che approccio diretto in molti casi era davvero tecnica approssimativa, per essere eufemistici) finirono pe

Bruce Cockburn – O Sun O Moon (2023)

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di Max Giuliani Dopo il lussureggiante e strumentale Crowing Ignites del 2019, Bruce Cockburn alla vigilia del 78esimo compleanno torna con un album di canzoni. La musica del canadese, forse il più chitarrista fra i nostri cantautori del cuore, mi investì in pieno tanti anni fa con In the Falling Dark, un album di poco successivo alla sua conversione al cristianesimo. Dentro c’era quella indimenticabile preghiera che era Lord of the Starfields, un inno che celebrava il creatore e il creato. O Sun O Moon trabocca di quell’ispirazione e segue il filo di quei temi, che non si è mai interrotto: ma l’età è un’altra, e i tempi non sono gli stessi. Non siamo più negli anni ’70 ma nei disperati anni ’20 del 21esimo secolo, quelli delle pandemie, della crisi ambientale, della siccità e della paura atomica. Con l’età poi l’indignazione politica si è fatta sguardo doloroso, la sensibilità al sacro è un po’ meno contemplazione dell’universo e un po’ più consapevolezza della precarietà della vita t

Molly Hatchet - Molly Hatchet (1978)

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La storia di musica di oggi non si sposta dalla Florida. Anzi, non si sposta nemmeno da Jacksonville, la città dei Lynyrd Skynyrd della scorsa settimana. Perchè quando nei primi anni ‘70 Dave Hlubek, chitarrista, voleva fondare una band, ai leggendari concittadini si voleva ispirare. Si aggregano a lui Danny Joe Brown, cantante dalla voce impostata e caratteristica, le due chitarre di Steve Holland e Duane Roland, per una nuova versione della linea a tre chitarre che fece la fortuna dei Lynyrd, una delle sezioni ritmiche più affiatate e toste del rock americano, Banner Thomas al basso e la grande tecnica di Bruce Crump alla batteria. Come nome scelgono Molly Hatchet, da quello di una leggendaria prostituta che durante la Guerra Civile decapitava i suoi clienti più rudi, e il cui fantasma a volte si ripresenta nelle spettrali serate invernali delle paludi di quei posti. L’inizio è complicato, e nonostante una incessante e proficua carriera dal vivo nei club della contea, dovranno passar

Almamegretta

Gruppo inizialmente legato a un repertorio rhythm'n'lues, di cui fanno parte il batterisa Gennaro Tesone e il chitarrista Gianni Mantice, i napoletani Almamegretta si sciolgono dopo breve vita nel 1988, a causa della defezione della cantante Patrizia Di Fiore. Sono i due musicisti, in seguito all'incontro con Gennaro "Raiss" Della Volpe, cantante dei BBX, a dare vita a una nuova versione del gruppo. Discografia e Wikipedia

We Belong Together - Rickie Lee Jones (1981)

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Di Rickie Lee Jones tocca purtroppo parlare al passato, anche se continua a sfornare dischi, a tratti interessanti, ma senza più i fulmini di un tempo. La ragazza sull'orlo del vulcano non è riuscita a rimanere in equilibrio sul filo della musica, ad allontanare spettri di droga, alcool e depressione che ne hanno spaventato l'arte. Rickie Lee Jones è stata una sublime hipster che innestava soul, jazz e rock su una base di folk acustico; una cantautrice che divideva sogni e follie con Tom Waits al Tropicana Motel di Santa Monica, sul finire degli anni settanta; una ragazzina sfrontata che osava mettere in musica gli amori degli amici folksinger.  (M. Cotto - da Rock Therapy)  

Sluice - Radial Gate (2023)

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di Lorenzo Righetto Listening to this heartfelt love letter to nature and friendship, I feel the urge to call my own friends to tell them I love them. And also to listen to this album (jackalbrecht, commento sulla pagina Bandcamp degli Sluice) Non ci vuole molto, in effetti, per innamorarsi di questo "Radial Gate". Qualcuno potrebbe arrivare a dire che basta la copertina, che ad altri potrebbe evocare il "classico" album folk post-Duemila, pieno di stanche immagini bucoliche e silenzi contrappuntati da qualche strumento tradizionale. Non è proprio il caso di questo secondo disco degli Sluice, che prima di tutto spicca per brevità (sette, praticamente cinque tracce se togliamo quelle strumentali/ambientali). Fin dall'inquieto pattern chitarristico di "Centurion" (sembra una cover di Elliott Smith fatta da Bill Callahan), si capisce che "Radial Gate" non è propriamente un album convenzionale - nonostante non sia certo caratterizzato, d'altr

Monks - Black Monk Time (1966)

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In questo mese sto proponendo dischi passati alla storia del rock essendo gli unici nella discografia dei loro creatori. Quello di oggi non solo è un unico disco, ma è un disco davvero unico: per essere uno dei principe del culto underground ha le caratteristiche classiche delle vendite insignificanti, dell’aura leggendaria che lo circonda, del suono anticipatore e visionario, della stravaganza estetica che contraddistinse i suoi creatori. Per tutti questi motivi l’unico disco dei Monks entra nelle scelte di Giugno. I Monks sono una delle band più originali e stravaganti di sempre. Nascono in Germania, a Francoforte, dove erano di stanza 5 militari americani: Gary Burger (chitarra e voce), Larry Clark (organo e voce), Dave Day (chitarra ritmica e voce), Roger Johnston (batteria e voce) e Eddie Shaw (basso e voce). Il gruppo suona all’inizio, siamo nel primo lustro degli anni ‘60, come The Torquays negli stessi locali che fecero fare le ossa ai The Beatles, tra Amburgo, Francoforte e al

Joe Pass - Virtuoso (1973)

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Mariano Passalacqua, nato a Gualtieri Sicaminò, in provincia di Messina, ma emigrato da bambino negli Stati Uniti, non avrebbe mai immaginato che il regalo scelto per il nono compleanno di suo figlio, Joseph Antony, diventerà centrale per la storia della chitarra jazz: alla fine degli anni ‘30 una Harmony di 17 dollari che tra le mani del piccolo diviene qualcosa di straordinario. Perché a Joseph basta ascoltare una melodia per impararla subito ad orecchio, e le feste in famiglia sono l’occasione per suonare i classici della canzone italiana tanto amati dal padre, che non era un musicista ma operaio in una acciaieria della Pennsylvania. Già da adolescente girava l'America con diversi gruppi jazz, migliorando le sue capacità chitarristiche, finché traslocò dalla Pennsylvania a New York; qui successero due cose: la prima, scelse come nome d’arte Joe Pass, nome che lo consegnerà alla storia del jazz, la seconda fu la droga, che lo portò in carcere durante gli anni '50. Tornò a suo

Sidi Touré – Toubalbero (2018)

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di Silvano Bottaro La musica è una delle principali risorse culturali del Mali. Risalendo a imperi tanto antichi come quello Mandingo, esiste una tradizione ricchissima di canti di lode. Queste canzoni di lode malinké o mandinghe sono dominio esclusivo dei griot (chiamati djeliw), musicisti ereditari, che sono allo stesso tempo genealologi e storici. Questa musica dei griot è sempre viva e cantata. Ma la musica maliana è molto più variegata e nuovi stili sono apparsi. Per esempio, c’è la musica bambara che è più ritmica, il mali blues di Kar Kar, il blues songhai di Ali Farka Touré, Afel Bocoum e Sidi Touré, appunto. Toubalbero, quarto album dell'artista blues malese, si allontana dal tono oscuro e introspettivo di "Alafia" del 2013, producendo un set elettrico, allegro e vivace.  La politica del Mali, la guerra civile che ha coinvolto la nazione africana durante le sessioni per l'album precedente non è più tangibilmente presente in questo lavoro, grazie

Bruce Springsteen - Born To Run (1975)

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Ad inizio anni ‘70, John Hammond della Columbia chiese a Tony Wilson di cercargli “un nuovo Dylan”. Wilson abbozzò, conscio del fatto che forse non avrebbe avuto una nuova occasione, dato che fu proprio lui a scovare nei locali del Greenwich Village il menestrello di Duluth. Stavolta scova un ragazzo del New Jersey, figlio di un’irlandese e di una italiana, come si presentava sempre ad ogni audizione, pieno di ricci e di idee, che scatena nelle sue canzoni tempeste di parole, suoni ed emozioni. La Columbia Records  scrittura Bruce Springsteen per tre album. Di Dylan nei primi due dischi, Greetings From Asbury Park, NJ e The Wild, The Innocent And The E-Street Shuffle (entrambi 1973) c’è una elettricità, una passione e delle idee musicali già interessantissime, con il proverbiale profluvio di testi già accennato (in questo perfettamente alla Dylan), ma almeno all’epoca la sensazione è che sia un po’ confuso e complicato (con il tempo le cose sono cmabiate e adesso sono considerati dei c

Glen Hansard – All that was East is West of Me Now (2023)

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di Sara Fontana Poche sono le cose che mi entusiasmano. Arrivata a quarant’anni per quanto mi sforzi ho visto e sentito già davvero molto; alla mia età se avessi tante vite quante i gatti si potrebbe dire che una è andata, questo è ciò che penso adesso. Glen Hansard è uno di quei rari casi che crea entusiasmo in me. A distanza di quasi cinque anni e dopo collaborazioni con Eddie Vedder e Cat Power, poi il ritorno a performance dal vivo con The Frames e Markéta Irglová/The Swell Season, eccolo con “All that was East is West of Me Now”, album dal classico stile folk mischiato al rock ed al blues ma anche con parti noise alla Sonic Youth che mi hanno stupito e non poco. Sarà stata la sempre più vicinanza con Eddie Vedder, o l’aver riabbracciato la sua storica band The Frames, ma il suono di Hansard è sviluppato in questo rock che non si sentiva da decenni e, porca miseria se mi piace! Non sono una nostalgica, piuttosto credo che il periodo ’80/’90 di certe sonorità durò troppo poco, dunqu

Aktuala

Formatisi nel 1972 a Milano su iniziativa di Walter Maioli, attivo nel decennio precedente come armonicista in varie formazioni blues, gli Aktuala nascono con l'intenzione di coniugare tradizione musicale occidentale e orientale, presupposto che li accomuna al altre realtà musicali dell'epoca come gli inglesi Third Ear Band. Discografia e Wikipedia

Just Breathe - Pearl Jam (2009)

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La scommessa non detta, il vero piatto da vincere è far emergere la vita dal caos, dal disordine, dall'apparente inconcludenza di un percorso che non prevede fermate obbligatorie, ma aree di pensiero lontane dalle stazioni di servizio segnate sulle cartine della musica rock. Differentemente da altri gruppi che hanno bignamizzato i decenni precedenti con il lasciapassare della citazione, i Pearl Jam hanno mescolato i vecchi ingredienti con nuove spezie e nuovi cucchiai. Il merito è soprattutto dello chef Eddie Vedder, voce pregnante, duttile e mai uguale a se stessa, capace di farsi lamento o canto maledetto, di essere perduta o bestemmiatrice, disperata o acida.   (M. Cotto - da Rock Therapy)  

John Fahey - America (1971)

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Le storie di Luglio saranno dedicate a meravigliosi chitarristi, di svariati generi, per un viaggio differente nel suono dello strumento principe del rock. Il primo di cui racconterò l’ho conosciuto nel modo più stravagante. Tutto nasce quando un carissimo amico cinefilo mi mostrò tempo fa una sequenza di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick dove compare una copertina di un disco. Mi disse dato che sei l’esperto, dovresti sapere chi sia. E io da esperto ovviamente non lo sapevo. Però la curiosità si impadronì di quel disco e di quell’artista, e ho fatto ricerche. Come spesso accade in situazioni del genere, si va a scoprire che quel disco e quell’autore sono per bizzarria, genio e altre cose simpatiche, degni di un romanzo. Il disco in questione era The Transfiguration Of Blind Joe Death (1965) e l’artista è John Fahey. Fahey è stato uno dei più grandi, se non il più grande, maestro della chitarra acustica, il re del fingerpicking. È stato pioniere nella autoproduzione dei dischi, fond

Van Morrison - Inarticulate Speech of the Heart (1983)

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di Silvano Bottaro Per fortuna questo è l'ultimo album in studio in cui compare Mark Isham, sempre più lanciato ad emulare Brian Eno e sempre meno impegnato a suonare la tromba. Per quanto l'album sia piacevole, sembra fatto con gli scarti del precedente. Troppi brani strumentali ed un suono che vorrebbe essere levigato e pulito ma rischia di cadere nella volgarità. L'inizio è scioccante, con i bassi pompati tanto da far pensare di aver preso per sbaglio un disco di Barry White. La voce emoziona come sempre, anche quando non canta ma recita, vedasi l'introduzione di "Rave on, John Donne". Per chi riesca, non è difficile, ad abituarsi al suono ammorbidito e plastificato, quest'album può rappresentare un piacevole diversivo nel catalogo dell'irlandese, o comunque un aromatico sedativo. Non mancano le belle canzoni, come "The Street Only Knew Your Name" che cerca di ripetere la "Cleaning Windows" dell'album precedente, ma nes

The Allman Brothers Band - Fillmore West ‘71 (2019)

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Sarebbe stato ingiusto non parlare di loro nel mese che ho dedicato alla musica Southern. La Allman Brothers Band è considerata la prima a spingere a fondo la fusione tra rock, blues, improvvisazione di chiara matrice jazz e sono, quasi più che una band, uno stile di vita: sregolatezza, infuocati concerti (negli anni d’oro anche 300 date in un anno), contraddizioni politiche (l’orgoglio sudista), amori illeciti, risse a volte persino sul palco, amore viscerale per i posti dove vivono. Si formano nel 1967 come Allman Joys, per diventare poi Hourglass e infine, fondendosi con i Second Coming, la Allman Brothers Band, nella prima e leggendaria formazione: Duane Allman (chitarra solista e slide guitar), Gregg Allman (organo Hammond B-3 e voce solista), Dickey Betts (chitarra), Berry Oakley (basso, e qualche volta voce), Jai Johanny Johanson detto Jaimoe (batteria e percussioni) e Butch Trucks (altra batteria). La loro musica, sin da subito pirotecnica e spettacolare, incrocia il blues pren

Sufjan Stevens – Javelin (2023)

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 di Monica Gullini È difficile, se non impossibile, parlare di Javelin, il nuovo disco di Sufjan Stevens in uscita il 6 ottobre, senza pensare a Carrie and Lowell, pietra miliare del musicista statunitense, pubblicata nel 2015. Ascoltandolo sono tornati a galla un dolore indescrivibile e la vana e disperata ricerca dell’amore. All’epoca ero solo una ragazza e avevo perso le due cose più preziose che possedevo. Mettetevi comodi, perché non ho la minima intenzione di essere breve. Sufjan Stevens è un musicista che non può essere paragonato a nessun altro se non a sé stesso. È un unicum nel suo genere, definirlo folksinger è riduttivo. Ha fatto largo uso dell’elettronica, ha composto musica classica, scritto movimenti, suonato il banjo e sussurrato con la morte nel cuore. Ha fondato persino una sua etichetta, Asthmatic Kitty, in onore di una gatta trovatella con problemi respiratori. E possiede una caratteristica, che pochissimi cantautori della sua generazione hanno: è un musicista coral

Agricantus

Gli Agricantus si formano a Palermo nel 1979, su iniziativa del bassista Mario Rivera, di Mario Crispi, musicista che si è dedicato fino a quel momento allo studio degli strumenti etnici a fiato e di Toni Acquaviva, il quale si è avvicinato alla musica attraverso lo studio degli strumenti della cordigliera andina, passando da quelli a corda e a fiato alle percussioni. Discografia e Wikipedia

Storia della musica #61 (Ultimo post)

Revival 80’s dall’electroclash al p-funk Nel Dicembre del 2001 esce una compilation dell’etichetta newyorchese Mogul, specializzata in neoelectro ed electro-pop di nome electroclash: tra gli artisti inclusi vi sono Rubber  Hand, Fischerspooner, A.r.e. Weapons, Morplay e Soviet, vale a dire la  crema di un movimento che attraversa trasversalmente musica,  moda ed arte e che fonde le perversioni glam del synth pop con  una rivisitazione trash dell’estetica punk. Gli A.r.e. Weapons, rielaborazione in chiave trash della lezione sonora dei Suicide, suonano alle gallerie d’arte rotolandosi per terra e provocando risse col pubblico, mentre i Fischerspooner, gruppo che fonde brillantemente il synth pop di New Order, Depeche Mode e Pet  Shop Boys, formato inizialmente da due elementi, Warren  Fisher  e Casey Spooner, è divenuto un collettivo di venti elementi, tra ballerini e vocalist, e allestisce spettacoli multimediali che includono performance teatrali e coreografie. Per fotografare il movi

E T I C H E T T E

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