John Fahey - America (1971)
Le storie di Luglio saranno dedicate a meravigliosi chitarristi, di svariati generi, per un viaggio differente nel suono dello strumento principe del rock. Il primo di cui racconterò l’ho conosciuto nel modo più stravagante. Tutto nasce quando un carissimo amico cinefilo mi mostrò tempo fa una sequenza di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick dove compare una copertina di un disco. Mi disse dato che sei l’esperto, dovresti sapere chi sia. E io da esperto ovviamente non lo sapevo. Però la curiosità si impadronì di quel disco e di quell’artista, e ho fatto ricerche. Come spesso accade in situazioni del genere, si va a scoprire che quel disco e quell’autore sono per bizzarria, genio e altre cose simpatiche, degni di un romanzo. Il disco in questione era The Transfiguration Of Blind Joe Death (1965) e l’artista è John Fahey. Fahey è stato uno dei più grandi, se non il più grande, maestro della chitarra acustica, il re del fingerpicking. È stato pioniere nella autoproduzione dei dischi, fondando da solo la sua casa discografica, la Takoma (dal nome della sua città natale, Takoma Park, un sobborgo di Washington DC), agli inizi degli anni’60. È considerato unanimemente uno dei più fini ed acuti musicologi, enciclopedia vivente della musica tradizionale americana, del bluegrass sua passione e ossessione (tanto che la sua autobiografia si intitola Come il bluegrass mi ha rovinato la vita), ed è stato decisivo nella riscoperta di alcuni dei giganti del blues, come Bukka White o Charlie Patton, su cui scrisse la sua tesi di laurea che fu stampata come titolo a sé nel 1970, dal titolo Charlie Patton, e sullo stesso autore nel 2001 pubblicherà un set antologico con tutte le sue canzone, alcune addirittura inedite da 78 giri degli anni 20, Screamin' And Hollerin' The Blues: The Worlds Of Charley Patton, che vinse ben 3 Grammy Awards. Fahey per tutta la vita ha ricercato la magia del suono solo con la chitarra acustica, con qualche sporadico disco suonato in quintetto, a volte aiutato da qualche strumento a fiato e solo verso la fine della sua vita, con una svolta clamorosa e iconoclasta (ne parleremo brevemente dopo) passò agli strumenti elettrici, per pure sperimentazioni avanguardistiche. Per definire la sua musica credo che nulla possa essere meglio che il titolo di una sua canzone: Guitar Excursions Into The Unknown, da uno dei suoi capolavori The Great San Bernardino Birthday Party & Other Excursions (1966), tanto è che per lui fu coniato il termine di American Primitive Guitar. Autore di melodie e musiche incredibilmente poetiche, eteree, magiche, che spaziavano dal ragtime ai raga indiani, alla musica modale a incredibili viaggi in luoghi lontani, spesso seguendo le ferrovie (sua grande passione) oppure da dedicare ai suoi amori femminili, varie canzoni dedicate a donne che hanno segnato la sua vita, disseminate per tutta la sua discografia ed addirittura un intero disco, stupendo, dedicato ad una The Yellow Princess (1968), sciorinati in titoli barocchi che da soli già mettono curiosità: tra i più belli Dance Of The Inhabitants Of The Palace Of King Phillip XIV da Death Chants, Breakdowns & Military Waltzes (1963) e Commemorative Transfiguration And Communion At Magruder Park da The Yellow Princess (1968). Io ho scoperto la musica di Fahey con questo disco del 1971, in uno dei momenti più alti della sua genialità. America era pensato per essere un doppio album, ma Fahey alla fine pensando fosse un suicidio commerciale per la sua piccolissima etichetta, cambiò idea, e lasciò solo 4 brani. Due tra questi, Mark 1:15 e The Voice Of The Turtle, sono due incredibili ed imperdibili strumentali di oltre 15 minuti in bilico tra magia, misticismo, religiosità. Nell’edizione del 1998 in cd che ho io viene ripresa la scaletta originale: ci sono due stupende versioni del classico Jesus Is a Dying Bedmaker (conosciuta anche come In My Time Of Dying ripresa poi con infinito successo dai Led Zeppelin), Amazing Grace, il terzo movimento della ottava sinfonia di Dvorák, una deliziosa The Waltz That Carried Us Away And Then A Mosquito Came And Ate Up My Sweetheart. L’album è per i cultori della sua musica un capolavoro assoluto. Fahey continuerà la sua carriera per decenni, dando il battesimo ad altri chitarristi geniali, tipo Leo Kottke suo allievo prediletto ma uno dei primi a sconfessare il patrimonio del maestro. La sua figura venne riscoperta in toto, dopo decenni di oblio, negli anni ’90, con il gruppo di musica sperimentale di Jim O’Rourke, i Gastr Del Sol, facendolo conoscere ad una nuova generazione di musicisti riproponendo Dry Bones In The Valley nel 1996 e un anno dopo nel 1997 Fahey fa sue quelle idee e nel suo disco City Of Refuge, nel brano On The Death And Disembowelment Of The New Age si dà alla chitarra elettrica in una prova autodistruttiva di tutta la sua musica magica dei precedenti 40 anni. Morirà, povero e malato, nel 2001. Solo pochi anni più tardi, la rivista Rolling Stone lo colloca al 35° posto tra i più grandi chitarristi di ogni tempo. Se le classifiche hanno mai avuto un senso, quel posto secondo me non ha nessun valore: Fahey rimarrà uno dei più straordinari, magici e delicati chitarristi di tutti i tempi. Ascoltate la magia della sua musica, e vedete se è vero…
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