Bruce Springsteen - Born To Run (1975)
Ad inizio anni ‘70, John Hammond della Columbia chiese a Tony Wilson di cercargli “un nuovo Dylan”. Wilson abbozzò, conscio del fatto che forse non avrebbe avuto una nuova occasione, dato che fu proprio lui a scovare nei locali del Greenwich Village il menestrello di Duluth. Stavolta scova un ragazzo del New Jersey, figlio di un’irlandese e di una italiana, come si presentava sempre ad ogni audizione, pieno di ricci e di idee, che scatena nelle sue canzoni tempeste di parole, suoni ed emozioni. La Columbia Records scrittura Bruce Springsteen per tre album. Di Dylan nei primi due dischi, Greetings From Asbury Park, NJ e The Wild, The Innocent And The E-Street Shuffle (entrambi 1973) c’è una elettricità, una passione e delle idee musicali già interessantissime, con il proverbiale profluvio di testi già accennato (in questo perfettamente alla Dylan), ma almeno all’epoca la sensazione è che sia un po’ confuso e complicato (con il tempo le cose sono cmabiate e adesso sono considerati dei classici). E le vendite latitano. A dare una mano nel terzo album, che era una specie di ultima spiaggia, arriva un giornalista musicale famosissimo della più famosa rivista musicale dell’epoca, che ha la sua personale folgorazione sulla via di Damasco a Boston, dove su un palchetto sgangherato vede “il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Sprigsteen”: Jon Landau. Laudau prima affianca e alla fine sostituirà il produttore di Springsteen Mike Appel (che poi farà causa, ma è un’altra storia), ridimensiona la creatività sprigstiana, la focalizza, e Bruce decide di scrivere di quello che sa: di persone cioè che in un’America mai così triste (la fine del gold standard e la crisi economica, gli strascichi del Watergate, fortissime tensioni sociali, i reduci del Vietnam) scelgono di rischiare, di prendere un’auto e sfrecciare sulle highway in cerca di una sfida, di una risposta. Di persone che sanno che la speranza del sogno è ancora viva, anche se si deve passare per i bassifondi. Iniziano sessioni musicali infinite, dove Springsteen cambia più volte formazione, studio di registrazione, in una sorta di ricerca del suono perfetto che solo lui ha in testa: alla fine con quelli che diventeranno i suoi incredibili e formidabili compagni di strada, Roy Bittan al piano, Max Weinberg alla batteria, Clarence Clemons al sassofono, Garry Tallent al basso, Danny Federici alle tastiere, Steve Van Zandt che inizierà qui la sua fraterna collaborazione, più i fratelli Brecker ai fiati e altri musicisti che lasciano la band durante questo periodo di lavoro intensissimo, dove Springsteen viene lasciato dalla sua ragazza, Diana Lozito, a cui aveva dedicato alcuni dei suoi primi capolavori (4th Of July (Sandy) e la meravigliosa Rosalita (Come Out Tonight) ispirata a quando fu presentato ai suoi genitori da Diana). Le sessioni di registrazione sono infinite, Bruce è capace di registrare un singolo assolo centinaia di volte, Jimmy Iovine, altra figura leggendaria e ingegnere del suono ai mitici Records Plants Studios, si addormentava sul mixer mentre quel ragazzo del New Jersey continuava a provava per tutta la notte. Ma quello che ne esce fuori nel 1975 è uno dei dischi definitivi, uno dei dischi mito, uno di quelli che segna un prima e un dopo: Born To Run. I 40 minuti delle 8 tracce sono musicalmente eccezionali, e non hanno punti deboli, condensano la vecchia e la nuova musica americana trattata con uno sguardo rabbioso, innovativo, capace di emozionare con situazioni nuove. È un disco che inizia la mattina presto con l’armonica che sveglia dal torpore, la porta che sbatte e una ragazza che balla sulla veranda sulle note di Roy Orbison: così inizia Thunder Road, canzone leggenda, che indica appunto la strada, per passare alla storia, e quasi non si resiste a pensare ad un viaggio, ad “abbassare il finestrino e lasciare che il vento corra tra i capelli”; Tenth Avenue Freeze-Out è la storia della sua band, quella che si chiamerà la E-Street Band, che lo accompagnerà nei successivi 50 anni. Night, dominata dal basso di Tallent, è la canzone più romantica. Il minuto strumentale di intro di Backstreets, con il piano e l’organo pensato da Appel (ma che Landau voleva togliere, fortunati noi che nessuno lo ascoltò) è così meraviglioso che il grande critico Greil Marcus lo definiì l’Iliade del rock, una delle più grandi canzoni di tutti i tempi. Born to Run, che dà il titolo all’album, è la canzone definitiva: una storia d’amore che coltiva il sogno di scappare da “una città di perdenti”, il riscatto emozionale che una generazione andava cercando: parte con la batteria veloce ed agile, l’afflato emozionale del cantante e finisce con il sax imperioso di Clemons. She’s The One ha Clemons in spolvero assoluto di sax ed è una tormentata storia di bugie. Meeting Across The River è stupenda, con la tromba del grande Randy Brecker. Il capolavoro si conclude con Jungleland, che è ambientata in una notte urbana cupa e drammatica, in netto contrasto con la luce di fiducia con cui inizia Thunder Road: una delle più incredibili parate di personaggi sprinstiniani, tra guerre di bande di strada giovanili, inseguimenti, una sorta di West Side Story del New Jersey. Da qui nasce una stella che solo i problemi di management con Mike Appel, messo in ombra dall’ingresso di Landau e che portarono a cause milionarie, frenarono nel percorso creativo che continuerà a ritmi meno incessanti (il successivo disco arrivò solo nel 1978, e fu il sensazionale Darkness On The Edge Of Town). Due parole sulla leggendaria copertina: la fotografia di Eric Meola ritrae Springsteen accanto a Clarence Clemons, che lo sostiene quasi paternamente mentre soffia poderoso nel suo sax: Springsteen è vestito da rocker anni ‘50, con giubbetto di pelle, spilla di Elvis e tiene a tracolla la mitica Fender Telecaster, con manico Esquire color caramello, comprata per 185 dollari nel negozio di strumenti musicali di Phil Tello, perchè era fatta di pezzi presi da diverse chitarre, aveva uno scavo sotto i pick-up e sul manico aveva una stellina, segno di uno scarto di fabbrica. Già questo è leggenda. Rimane a decenni di distanza una affresco stupendo e riuscitissimo di un periodo sociale e culturale, e probabilmente resterà per sempre uno dei più grandi dischi della musica rock: il aprlare di persone umili, di quelli che ancora sognano il riscatto diventerà il marchio emozionale della musica di Springsteen, e non pochi studiosi videro un legame tra la visione e lo spirito di Springsteen ed i padri del Romanticismo Americano (Thoreau, Emerson, Whitman). Un disco dedicato a chi accetta la sfida di cercare in sè stesso, e che non ha paura di arrivare lontano per trovarla. Epico.
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