Monks - Black Monk Time (1966)

In questo mese sto proponendo dischi passati alla storia del rock essendo gli unici nella discografia dei loro creatori. Quello di oggi non solo è un unico disco, ma è un disco davvero unico: per essere uno dei principe del culto underground ha le caratteristiche classiche delle vendite insignificanti, dell’aura leggendaria che lo circonda, del suono anticipatore e visionario, della stravaganza estetica che contraddistinse i suoi creatori. Per tutti questi motivi l’unico disco dei Monks entra nelle scelte di Giugno. I Monks sono una delle band più originali e stravaganti di sempre. Nascono in Germania, a Francoforte, dove erano di stanza 5 militari americani: Gary Burger (chitarra e voce), Larry Clark (organo e voce), Dave Day (chitarra ritmica e voce), Roger Johnston (batteria e voce) e Eddie Shaw (basso e voce). Il gruppo suona all’inizio, siamo nel primo lustro degli anni ‘60, come The Torquays negli stessi locali che fecero fare le ossa ai The Beatles, tra Amburgo, Francoforte e altre città tedesche. Il primo repertorio era composto essenzialmente da cover dei grandi brani rock’n’roll, da Chuck Berry a Little Richard a Gene Vincent. Poi grazie all'interessamento di due manager tedeschi, Walther Niemann e Karl-Heinz Remy ci fu una sorta di rifondazione artistica, che si rifaceva, secondo il gruppo, alle avanguardie artistiche sia nella composizione sia nelle copertine dei dischi, con una particolare devozione a Kasmir Malevič, artista russo capostipite dell’arte suprematista. La trovata di look geniale fu quella di presentarsi ai concerti in saio lungo e nero, o in completi neri con la corda da frate come cravatta, e la reale tonsura da monaco rinascimentale, presa in prestito dai ritratti dei monaci luterani degli affreschi o nei manoscritti dell’epoca. Ma il tratto sconvolgente è la loro musica: un delirio che anticipa sia nell’uso degli strumenti che nelle parti cantate stili che saranno là da venire (il garage rock, il punk, l’irriverenza musicale degli anni del disimpegno culturale degli anni ’70) con una vena allo stesso tempo ironica e cattiva, che riprende il blues e il surf rock tanto di moda all’epoca per una musica concettualmente “anti-Beatles”, come provocatoriamente si proclamarono. E nell’anno in cui i 4 di Liverpool iniziavano la rivoluzione musicale con quel capolavoro immenso che fu Revolver, che riscrive le coordinate della musica leggera mondiale, il 1966 dei Monks è Black Monk Time: mezz’ora di puro delirio rock. Il disco raccoglie i primi semisconosciuti singoli, ed inizia con il garage-rock di Monk Time, con lo speak al posto del canto di Gary Burger (”Alright, My Name is Gary\Let's go, it's beat time, it's hop time, it's monk time now! che poi evolve come accusa antimilitarista ) e una chitarra sferragliante, l’organo che incombe nel ritmo, un gioiellino. Non da meno sono il surf rock acido di Complication o Blast Off. C’è poi spazio all’ironia lisergica di Higgle-Dy-Piggle-Dy (dal testo completamente non-sense e che fa il verso alle cantilene per i bambini) alla storia tragicomica di una ispanica in Drunken Maria, un folk rock con problemi mentali come lo è I Hate You, addirittura un doo-woop in We Do Wie Du, che ha quasi l’andazzo di uno yodel. Boys Are Boys And Girls Are Choice fu scelto dalla Apple per uno spot dell’Iphone del 2017. Il tutto con chitarre elettriche piene di feedback, un banjo elettrico (clamoroso!!!), gli innesti di intermezzi di organo qualche tempo prima di quelli leggendari dei Doors e uno spirito anarcoide e spaziale senza precedenti, tanto che Jochen Irmler dei Faust, band storica del kosmic rock tedesco e che deve molto all’arte dei Monks, disse che ”La rivoluzione del ’68 sarebbe potuta accadere due anni prima se soltanto la gente avesse compreso il suono dei Monks”. Il disco non vende nulla e la band dopo l’impossibilità di organizzare un tour in Vietnam (nel 1966-1967, per capire lo stato mentale dei 5...) si scioglie. Dei membri nessun rimarrà nello show business, 3 tornano dalle mogli negli Usa, Dave Day farà l’eremita nella Foresta Nera, Larry Clark lavorerà alla IBM. Tutto il punk, il garage e persino Thom York dei Radiohead li hanno eletti a mito. Il disco dopo decenni di oblio è ritornato disponibile addirittura in versione deluxe (l’ultima del 2004 in cofanetto multiplo) con rarità, idee per nuove canzoni e qualche esibizione live (su questo esiste anche un Hamburg Recordings 1967 uscito nel 2017 di appena 5 brani). Rimane un disco mitologico, in un periodo dove altri gruppi tenteranno vie creative simili (come i leggendari Deviants! o in Italia Le Stelle di Mario Schifano), che vale la pena di scovare e ascoltare.

Commenti

E T I C H E T T E

Mostra di più