Mad River - Mad River (1968)

Febbraio verrà dedicato a 4 storie di band poco (o pochissimo) conosciute, che però hanno regalato dei dischi davvero pregevoli e che sono per me dei capolavori musicali. La storia di oggi ci porta a San Francisco, nella Bay Area, fine anni ‘60: la California in quel decennio è il faro della trasformazione sociale e culturale giovanile. Nel quartiere di Haight Ashbury si riuniscono le comuni culturali, che per prime sperimenteranno le contaminazioni di genere: tra reading di poesie, musiche che seguivano i flussi sensoriali dell’uso delle droghe, la riscoperta della cultura dei nativi e una forte spinta politica, soprattutto sui diritti civili, delle minoranze e contro una certa ipocrisia “degli adulti”. Lawrence Hammond, cantante e chitarrista, veniva dall’Ohio, dove nel 1965 fonda insieme a Dave Robinson (anch’egli cantante e chitarrista) e Tom Manning (che suona il basso) un gruppo che suona il blues, dal nome di Old Time Jug Band. Dopo le prime promettenti esibizioni, a loro si aggiunge Greg Dewey alla batteria. Si trasferiscono con questa formazione a Yellow Spring, dove frequentano il college. La sorella di Dewey va in California, proprio a San Francisco, e quando Rick Bockner si aggiunge al gruppo, i ragazzi decidono nel 1967 di tentare la carta californiana. La fortuna volle che a Berkeley, uno dei centri Universitari più attivi nelle manifestazioni politiche e civili, fosse organizzato un concerto a Provo Park, dove la band suonò in una sorta di festival di band emergenti (tra cui i Blue Cheer). Tra il pubblico c’era uno scrittore e poeta, Richard Brautigan, che proprio in quel 1967 vedeva esplodere la sua popolarità grazie al successo del suo libro, Pesca Alla Trota Negli Stati Uniti, un romanzo prosimetro (cioè scritto in parte in prosa e in parte in poesia) che racconta lo spirito ribelle e selvaggio di quei tempi. Brautigan è colpito dall’aura cupa e particolare della musica dei nostri, dalle loro improvvisazioni musicali legate al blues e dagli assoli dolenti e magici delle loro canzoni: nel frattempo in onore di un affluente del fiume Ohio, si chiamano Mad River, mischiando le radici blues con cui hanno imparato a suonare con potenti e incisivi innesti di musica psichedelica, in un incrocio davvero riuscito tra la forza del blues elettrico e le sognanti e immaginifiche strutture sonore della musica della Bay Area. Brautigan convinse la prestigiosa Capitol Records a dare un’opportunità ai Mad River, che nel frattempo perdono Tom Manning che si chiama fuori. Con la formazione a 4 pubblicano questo disco, omonimo, vera gemma della musica del periodo. Vi svelo subito che Mad River, che esce nel 1968, non ha successo anche perchè le canzoni furono incise sul vinile a velocità aumentata, mortificando tutto l’insieme. La Edsel, piccola etichetta discografica tedesca, anni dopo, ripristinerà la velocità originale, e questa versione consiglio di ascoltare. Merciful Monks è l’apertura del disco, tra beat psichedelico e la voce dolente di Hammond e le schitarrate in jingle jangle di Robinson, che a metà brano parte in un assolo formidabile; High All The Time aperta da lancinanti riff di chitarra, una sorta di manifesto programmatico, sfoggia in più delle armonie vocali niente male, dato che tutti e 4 i componenti contribuiscono ai cori; Amphetamine Gazzelle è il primo piccolo capolavoro, veloce e brutale canzone in pieno effetto trip, con le parti recitate iniziali che assomigliano a incubi e cattivi consiglieri. La band riesce a sviluppare a pieno il canovaccio di band poi divenute leggendarie come i Grateful Dead o i Quicksilver Messenger Service (a cui forse si ispirano di più): la prova sono le due meravigliose canzoni centrali: Eastern Light è un favoloso blues su un rapporto d’amore a distanza, con eccezionale parte strumentale di chitarra e pianoforte, dove la voce di Hammond è davvero a tratti sofferta e dolorosa, e rimane una delle canzoni più sottovalutate degli anni ‘60; Wind Chimes, monumentale strumentale di oltre 7 minuti, è uno degli esempi più riusciti e vibranti della musica psichedelica della Bay Area, a tratti allucinata, ma coinvolgente come poche. La vetta arriva poi con The War Goes On, sorta di flamenco schizzato, con testo profondamente anti-militaristico, che per 12 minuti trasporta in un viaggio musicale davvero particolarissimo. Chiude il tutto la calma e il folk di Hush, Julian, quasi a calmare le acque oscure di questo fiume pazzo. Come accennato, il successo di pubblico fu nullo, sebbene la band avesse un piccolo seguito ai concerti. La Capitol permise un secondo disco solo per motivi legali e la band pubblicò, nel 1969, Paradise Bar & Grill: in anticipo rispetto alle altre band di San Francisco, i Mad River virano al country e al folk, seguendo il percorso tracciato sull’altra sponda degli Stati Uniti dalla The Band. Il disco non è granchè, e i due migliori momenti sono Leave Me Stay (che riprende le sonorità del primo) e Academy Cemetery. La Edsel pubblicò i due dischi in un doppio cd a prezzo speciale, che vale la pena cercare: Mad River è uno di quei dischi che ascoltandoli lascia la straniante sensazione di capire il perchè non sia nella discografia di ogni appassionato.

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