Say ZuZu - No Time to Lose (2023)

 di Gianfranco Callieri

Venuti alla ribalta nella metà dei Novanta, quando il grunge era già diventato una voce significativa della contabilità di multinazionali e stazioni radio, i Say ZuZu di Cliff Murphy e dei fratelli Jon e James Nolan - tutti e tre provenienti dal New Hampshire - appartenevano, seppure per una manciata di anni soltanto, a quella generazione di ragazzi americani che, invece di appassionarsi in autonomia al "nuovo rock" indipendente del decennio appena trascorso, avevano esperito la propria formazione musicale ascoltando i dischi dei genitori, e quindi, nello specifico, ingurgitando razioni ippiche di Billy Joe Shaver, Willie Nelson, Bruce Springsteen, Eagles, Tom Petty & The Heartbreakers, Johnny Cash, Neil Young e molti altri.

Erano loro, del resto, i primi a riconoscerlo e a rendersi conto di far parte di un fenomeno nazionale, irrisorio nei numeri (commerciali) benché diffusissimo, al quale certa stampa, individuando in esso tratti comuni (riguardanti soprattutto la dimensione elettroacustica dell’insieme e la propensione per un classic-rock pervaso dai rimandi alle cosiddette "radic"i), appiccicò l’etichetta di alternative-country, se non altro cogliendo nel segno in relazione a una parafrasi davvero "alternativa", cioè estranea ai circuiti del mainstream, di quel suono bastardo, tra country, folk, blues e tradizioni sudiste, da sempre alla base della migliore musica a stelle e strisce. Porre enfasi, oggi, su questi aspetti della biografia dei Say ZuZu, corrisponde a un tentativo di comprensione delle difficoltà incontrate dal gruppo nel trasformarsi in qualcosa di diverso da un onesto e per qualche anno entusiasmante dopolavoro: No Time To Lose, infatti, è "solo" il loro sesto disco in quasi trent’anni di (altalenante) carriera e il primo di canzoni nuove da venti e passa stagioni a questa parte, e una discografia così striminzita non si spiegherebbe se non tenessimo presente il destino incontrovertibile di certe sonorità, da tempo immemore più apprezzate in Europa che in patria, e la dimensione fatalmente "di nicchia" in cui un po’ tutto l’alt.country, salvo rarissime eccezioni, è pur sempre rimasto.

Eppure, in un’epoca di simulacri e illusioni, di post-verità spacciate per granitici postulati, il neorealismo rock dei Say ZuZu suona necessario, romantico e coinvolgente come mai prima d’ora, quasi indispensabile per chi ancora voglia coltivare il sogno di un "mondo a parte" dove un riff stropicciato e una ballata nostalgica possano dire, sulle emozioni del nostro quotidiano, verità più attendibili di quelle di qualsiasi trattato. Certo, No Time To Lose non è perfetto, ma nessuno, d’altronde, pretendeva lo fosse. Ci basta così, elettrico e ruvido com’è, a tratti sgangherato e in altri momenti eccessivamente intimista, fatto di alti bassi proprio come la vita della quale vorrebbe offrire, riuscendoci, un ritratto non edulcorato, dispiegato attraverso canzoni che sembrano il punto di convergenza di tanti orizzonti immaginati, con pazienza e metodo, nel corso degli anni.

Perché Highway Sings & Driving Songs (1995) o Take These Turns (1997) erano più freschi, vivaci e creativi, non c’è dubbio, ma quanti si fossero persi, allora, nel reticolato rootsy delle loro storie di provincia, non avvertiranno comunque alcuna difficoltà nel cedere, un’altra volta ancora, al roots-rock in purezza di Big Horizon (anzi, la scambieranno probabilmente per un’outtake dei Son Volt di Straightaways [1997]), al passo epico di Old Soldiers, al robusto valzer chitarristico di As Much Love, al country-rock spumeggiante di What It Looks Like In Heaven o a quello più elegiaco e raccolto dell’intensa This Fire. Né resisteranno, c’è da scommetterci, al folk-rock dylaniano dell’ultima Plum Island e in particolare a quella commossa ballata elettrica che risponde al nome di Pawn Shop, cronaca tanto lineare quanto sincera del rimorso provato dal narratore nel recarsi al banco dei pegni per consegnare una chitarra valutata "solo trecento dollari per tutti gli anni di gioia procurati".

Non so dire se in tutto questo tempo i Say ZuZu, dal punto di vista della scrittura e delle esecuzioni, siano diventati "grandi". Una cosa, però, la so per certo: è un piacere, per chi c’era o per chi l’ha semplicemente sentito dire, ascoltare le 10 canzoni di No Time To Lose e, insieme ai loro artefici, sentirsi di nuovo giovani.

P.S. Ignoro anche (tra le moltissime cose a me del tutto sconosciute) chi abbia scritto la scheda dei Say ZuZu campeggiante su Wikipedia. Ma quella scheda spiega parecchio, e dice molto sul perché, qui da noi, uno spazio d’affetto per il gruppo c’è stato e ci sarà sempre.

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