Tedeschi Trucks Band – Signs (2019)
La direzione era in qualche modo già segnata con il precedente Let Me Get By, album della consacrazione per il numeroso collettivo della Tedeschi Trucks Band: una musica che serrava le fila degli arrangiamenti e si concentrava sulla visione d’insieme, sulla qualità delle canzoni prima ancora che su quella naturale propensione alla jam, da cui attinge l’educazione di questi musicisti. Signs, a tre anni di distanza, è la conferma che da quelle intuizioni non si torna indietro, accentuando semmai il ruolo di protagonsita della voce di Susan Tedeschi e del suo potere interpretativo, ormai incontrastata signora del soul.
Tra alti e bassi nella solidità compositiva, ma disciplinata nella tessitura sonora, capace comunque di mantenere la colorita agilità della band anche fra le mura di uno studio, la dozzina e passa di elementi che arrichiscono la Tedeschi Trucks Band porta a termine un album indubbiamente luminoso, ricco di gioia r&b, di trame e ritmiche funkeggianti, dove lo spirito di certa black music e di buona parte del white soul a cavallo tra anni Sessanta e Settanta sale una volta di più alla ribalta, descrivendoli come una sorta di versione contemporanea di Delaney and Bonnie. Il contrasto è evidente con le ombre che si sono addensate sulla storia del gruppo e sugli amici che ne hanno circondato la famiglia: le dipartite di Butch Trucks e Greg Allman, quella del mentore Bruce Hampton, alle quali si è aggiunta proprio in queste settimane l’imprevista scomparsa, ancora più tragica per la stessa Tedeschi Trucks Band, del tastierista e membro essenziale Kofi Burbridge.
Esorcizzare il dolore ed evocare la speranza appare il tratto fondamentale del canto di Susan Tedeschi, mai così intenso, mentre la chitarra del compagno Derek batte i suoi colpi, affonda di tanto in tanto il coltello, ma si trattiene da voli pindarici. Ammassata attorno al groove (e quando lo azzeccano la temperatura di si alza), al calore gospel delle voci (sempre presente anche Mike Mattison), la Tedeschi Trucks band trascina nella passione dell’iniziale Signs, High Times, nel riff caracollante di Shame e in quello platealmente rock’n’roll di They Don’t Shine, circondata dagli spiriti di Ike & Tine Turner. Hard Case è il primo singolo estratto e strizza l’occhio a un soul rock dai toni più leggeri, che bene si affianca ad alcune soluzioni strumentali più levigate, potremmo quasi definirle pop nelle intenzioni, che sporadicamente si affacciano sulla scena. Ciò non cancella affatto l’anima del gruppo, sia detto, che fra tinte psichedeliche e percussive in I’m Gon a Be There e appassionati inni gospel elettrici (la slide di Derek Trucks che attraversa When Will I Begin), mentiene fede alla sua avventura.
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