La musica dopo David Bowie #1/3

di Daniele Cassandro

La settimana scorsa girava per la rete un giochino chiamato What did Bowie do? Digitando quanti anni hai scopri cosa ha fatto lui alla tua età. Per esempio, quando aveva la mia età Bowie si è sposato con una della donne più belle del mondo. Quando io mi sono laureato lui faceva uscire Aladdin sane, il suo primo album in testa alla classifica in Gran Bretagna.

Ecco, appena ho saputo della morte di Bowie, ho pensato a quel giochino che finiva. Ho visualizzato un flusso di creatività che si interrompeva all’improvviso, in un punto ben preciso del tempo. Si dice che un grande artista morendo lasci un vuoto, e sembra un luogo comune. Se ne vanno sempre i migliori, eccetera. Però a partire dal 10 gennaio 2016 non ci saranno più nuove canzoni di David Bowie, nuovi video, nuove copertine, nuove parole. È una conversazione che si interrompe.

Ma, alla fine, cosa ha fatto David Bowie di tanto importante? Ha scritto splendide canzoni, ha creato look memorabili, ha avuto una lunghissima carriera, ma queste sono cose che ha fatto anche tanta altra gente. Per capire il peso specifico di una carriera come la sua bisogna riflettere su una cosa: David Bowie ha creato la musica pop come la conosciamo oggi. Se il pop ha smesso di essere solo “la musica dei giovani” ed è diventato il manufatto culturale complesso, ibrido e sfaccettato che conosciamo lo dobbiamo essenzialmente a lui.

Bowie è stato tra i primi a capire che la musica poteva agire su vari livelli: poteva diventare teatro, cinema, performance. Un disco non era solo suono, era anche visione, racconto, sogno, delirio, fantasia sessuale, allucinazione. David Bowie ha reso la musica pop rilevante perché l’ha ibridata con altre forme d’arte. Le ha permesso di scavalcare gli spazi in cui era confinata, l’ha fatta parlare lingue che prima ignorava. L’ha fatta anche entrare in territori esistenziali nuovi per il pubblico.

E tutto questo l’ha fatto usando sempre il suo corpo che è il primo strumento di ogni artista. La sua voce e il suo viso si sono frammentati in centinaia di maschere diverse che lui ha saputo cambiare nei decenni. “Io sono un attore. È questa l’essenza di David Bowie”, ha spiegato lui stesso. E la sua musica è diventata teatro e cinema. Come pochi ha capito l’importanza del video musicale, consegnandolo, praticamente chiavi in mano, alla generazione di Madonna e dei Duran Duran.

La sua maschera glam è passata indenne attraverso il punk per evolversi nella divisa di ordinanza del post-punk e della new wave: il trucco di Siouxsie Sioux, ma anche i travestimenti di Boy George e di Steve Strange sono riflessi di Bowie. La Annie Lennox dei primi anni ottanta, androgina e con i capelli color carota tagliati a zero, era quasi un clone.

Ognuno di noi ha il suo David Bowie: il mio era quello che ho visto per la prima volta su Mtv, anzi su Videomusic, quando avevo 14 anni. Il Bowie dandy e sofisticato di Modern love e di Let’s dance. Il Bowie superstar degli anni ottanta che duettava con Tina Turner e Mick Jagger e si faceva produrre da Nile Rodgers. Il Bowie che nel 1987 è atterrato allo stadio Flaminio di Roma con il suo Glass spider tour in un’estate memorabile per i concerti in Italia. E per ciascuno di noi l’artista è diventato un puzzle da ricostruire con il tempo, riscoprendo a ritroso gli album precedenti e salutando, con più o meno entusiasmo, quelli nuovi. E magari non ce ne accorgevamo, ma anche quando ascoltavamo altro, la dance, l’elettronica, l’hip hop, il post-rock, in un certo senso sentivamo sempre David Bowie. Perché è stato lui a creare il modo in cui oggi ascoltiamo la musica.

Ora che David Bowie non c’è più non ci resta che continuare a mettere insieme i pezzi del puzzle: a riscoprire canzoni che ci erano sfuggite, a riascoltare album che avevamo dimenticato o a ristudiare i suoi testi per carpirne chissà quale senso. E andremo avanti all’infinito perché, come dice lui stesso nell’ultimo pezzo del suo ultimo album, Blackstar, “I can’t give everything away”, non posso svelarvi tutto.

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