Jason Isbell - Something More Than Free (2015)

di Blackswan

Southeastern, uscito nel 2013, mi era piaciuto così tanto da diventare non solo una sorta di mantra giornaliero che usciva dalle casse dello stereo, ma era stato in grado di asfaltare ogni concorrente e fregiarsi della palma del miglior disco del 2013. Un'opinione condivisa non solo da parte della critica italiana, soprattutto quella che guarda alla musica proveniente dagli States, ma anche dal pubblico americano, che premiò quell'album spingendolo alla posizione numero 23 della top 200 di Billboard. Southeastern ha rappresentato la rinascita artistica di un musicista che, dopo la militanza nei Drive- By Truckers, aveva smarrito la rotta, affogando il proprio tormento interiore in fiumi d'alcool e nebbie oppiacee. Quelle canzoni raccontavano il calvario di Isbell, la fatica per venirne fuori, per tornare a vivere una vita piena, a tutto tondo. Era un disco doloroso, grondante disperazione e malinconia, proiettato verso la luce della salvezza, ma ancora frequentato da fantasmi difficili da sconfiggere completamente e da dimenticare. Il fascino di quel disco, insomma, era la tenebra che presupponeva, lo sguardo rivolto contemporaneamente verso l'azzurro del cielo e il cupo buio dell'abisso appena abbandonato. Something More Than Free ci racconta fin dal suo titolo la storia di un uomo che finalmente ha raggiunto un equilibrio interiore, si è liberato del passato e guarda con fiducia al futuro, grazie anche al matrimonio con il suo pigmalione artistico, Amanda Shires, qui presente alla voce, al violino e agli archi. Isbell non abbandona la dimensione che gli è più congeniale, che è quella intimista che già aveva caratterizzato il precedente lavoro, e si concentra nuovamente sulla ballata acustica, salvo in rari episodi percorsi da un sottili fremiti elettrici (Palmetto Rose, Children Of Children). Prodotto nuovamente (e magnificamente) da Dave Cobb, Jason dimostra di vivere una seconda giovinezza artistica e di aver trovato la giusta alchimia compositiva, guardando senza timore reverenziale al passato (la citata Children Of Children suonerebbe perfetta in un disco dei CS&N, mentre Flagship omaggia gli acquarelli folk di Paul Simon) e sfornando nel contempo anche autentiche gemme che suonano decisamente più moderne (il folk screziato di pop di 24 Frames, miglior brano del disco e in assoluto una delle migliori composizioni di Isbell). Mancano quegli sprofondi abissali (Elephant, Cover Me Up) che rendevano Southeastern un disco unico nella sua dimensione dolorosamente malinconica: Something More Than Free, pur mantenendo il consueto mood colloquiale, si tinge invece di fiori e di sole (in tal senso la copertina è esplicativa), si sviluppa in delicati intarsi orchestrali e ci trasmette un umore leggiadro che riesce a schiuderci le labbra in più di un sorriso (il country iniziale di If It Takes A Lifetime). Manca il fascino del tormento, è vero, ma per converso troviamo la misura di una gioia da gustare a piccoli sorsi e uno sguardo, finalmente sereno, sulle cose della vita. Istant Classic. (Mia valutazione: Distinto)

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