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Visualizzazione dei post da settembre, 2015

Ryan Adams - 1989 (2015)

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di Marcello Matranga Alle stranezze Ryan Adams ci ha abituato da tempo. Incurante dei giudizi, arrogante ma anche maledettamente intrigante, Adams è personaggio di fronte al quale è decisamente restare indifferenti: molti lo amano, altrettanti lo detestano. Chi lo ignora è perché non ne conosce l’esistenza. E così, dopo aver fatto uscire un gioiello come il box delle due serate alla Carnegie Hall, degno di entrare nel ristretto novero dei dischi dell’anno, eccolo alle prese con la stramba idea di rifare 1989 album multimilionario (basti pensare alle 1,3 milioni di copie vendute nella sola prima settimana d’uscita, fine Ottobre 2014) di Taylor Swift. Stramba perché si tratta di un disco che nulla può avere a che vedere con Ryan, fatto da un personaggio talmente lontano dal musicista da rendere impossibile comprendere il perché della scelta. Al tutto aggiungendo che sarebbe stato un album di chitarre e con anche un sound alla Smiths. Insomma abbastanza per lasciare perlomeno perples

Pink Floyd

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Rare photo of the five - Pink Floyd

Jason Isbell - Something More Than Free (2015)

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di Blackswan Southeastern, uscito nel 2013, mi era piaciuto così tanto da diventare non solo una sorta di mantra giornaliero che usciva dalle casse dello stereo, ma era stato in grado di asfaltare ogni concorrente e fregiarsi della palma del miglior disco del 2013. Un'opinione condivisa non solo da parte della critica italiana, soprattutto quella che guarda alla musica proveniente dagli States, ma anche dal pubblico americano, che premiò quell'album spingendolo alla posizione numero 23 della top 200 di Billboard. Southeastern ha rappresentato la rinascita artistica di un musicista che, dopo la militanza nei Drive- By Truckers, aveva smarrito la rotta, affogando il proprio tormento interiore in fiumi d'alcool e nebbie oppiacee. Quelle canzoni raccontavano il calvario di Isbell, la fatica per venirne fuori, per tornare a vivere una vita piena, a tutto tondo. Era un disco doloroso, grondante disperazione e malinconia, proiettato verso la luce della salvezza, ma ancora fre

Marilyn Manson, Rolling Stone, 1997

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Le 101 copertine di musica più importanti di sempre

The Beatles - Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967)

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Paul McCartney racconta Storie, John Lennon non sa raccontare se non di sé. George Harrison gioca con il sitar e una Certa idea dell'India, Ringo Starr diventa Billy Shears e la band diventa Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, allusione all' abbandono delle scene live da parte dei quattro e insieme a un progetto di concept album che la copertina rafforza e il contenuto del disco sconfessa. Sgt. Pepper è tante cose: l'album che vince tutti i referendum sul capolavoro piú memorabile di ogni tempo, una pietra miliare, un punto di svolta, il momento in cui tutto cambia, una miscela non completamente riuscita di intenzioni diverse. I Beatles dicono di essersi ispirati a Freak Out! di Frank Zappa (che li ricambierà con We're Only In It For The Money, siamo qui solo per far soldi), ma anche un po' a Karl Heinz Stockhausen per certe iam orchestrali gentilmente dissonanti: certo, Pet Sounds dei Beach Boys, uscito l'anno prima, qualcosa conta. C'è voglia di

You & I - Local Natives

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Io e te Io e te, siamo sempre stati forti Era sufficiente per tenermi su Credimi. E mi sono svegliato con i miei occhi verde-azzurri E tutto quello a cui penso sei tu Così ci si sente Quand’è che si è raffreddato il tuo amore, il tuo amore? Più mi avvicino, più devo andare lontano verso luoghi che non conosciamo [x4] In tutta questa luce, tutto quello che sento è buio Ora che il sole ha perso il suo calore Sto congelando Quand’è che si è raffreddato il tuo amore, il tuo amore? Più mi avvicino, più devo andare lontano verso luoghi che non conosciamo

Any Other – Silently. Quietly. Going Away (2015)

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di Gianluca Porta Adele Nigro è uscita dal gruppo. Ha deciso di lasciare quel folk che geograficamente sta tra la Svezia delle First Aid Kit e le foreste del Nord America, per fare qualcosa di nuovo. E forse di più vero. Perché, per quanto mi piacessero le Lovecats e il loro EP, non riuscivano a essere niente di più che una bella melodia e un’ottima armonizzazione. Il suo nuovo progetto, la sua nuova band, Any Other, riapre tutte le possibilità. Musicalmente prende da tutto l’indie rock, un po’ lo-fi che si sparge a macchia d’olio tra le città e le periferie americane, attingendo a piene mani da Waxatachee, Pavement, Beluah e tutte le band di quel filone. La forma è semplicissima, minimale: chitarra e voce, un po’ di basso per arricchire e batteria per dare struttura. Insomma, rock anni ’90 nudo e crudo, come in Italia non si sentiva da un po’. L’album si muove completamente nel solco di queste influenze, rendendolo coeso ma mai noioso, perché abilmente si sviluppa tra stili e s

The Drifters

I Drifters si formano nel 1953 e, pur tra mille vicissitudini, rimangono sulle scene oltre la fine del secolo. Il gruppo nasce su impulso del ventenne Clyde McPhatter che, dopo aver lasciato i Dominoes, viene convinto da Ahmet Ertgun, boss dell'Atlantic e suo ammiratore da tempo, a formare una nuova band. Per la prima session Clyde chiede aiuto ad alcuni amici con i quali cantava da ragazzo. Discografia e Wikipedia

Julia Holter - Have You In My Wilderness (2015)

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di Gianfranco Marmoro Pochi artisti possono vantare un linguaggio e una personalità come Julia Holter, in soli tre album ha messo a disposizione della sua vitalità sonora tutte le infinite possibilità dell’esoterismo musicale, sfiorando la rarefazione in “Ekstasis”, rielaborando le frontiere dell’avanguardia che si districavano tra John Cage e i Kraftwerk in “Tragedy” e infine volgendo uno sguardo audace e surreale al passato nel teatrale e vigoroso “Loud City Song”. “Have You In My Wilderness” è un capitolo nuovo per la Holter, il filo comune delle canzoni non è nelle tematiche o nella premessa culturale, il songwriting e la dimensione pop sono la nuova sfida, ed è la voce il primo elemento che si staglia con inedite sfumature timbriche: non più celata dietro la coltre dei raffinati ed elaborati suoni, ma orgogliosamente in evidenza in un equilibrio con il tessuto strumentale che per la prima volta assottiglia le distanze con il mondo del cantautorato. Sono canzoni sciolte,

12 copertine di dischi famosi realizzate da grandi artisti #9 Andy Warhol

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Velvet Underground, The Velvet Underground & Nico (1967) Le prime copie vendute del disco avevano una linguetta con scritto “Tira via e guarda”, che se rimossa mostrava una banana colorata di rosa. Per produrre questa copertina speciale servì una macchina speciale, ma la MGM Records capì che qualsiasi legame con Andy Warhol avrebbe significato ottime entrate.

Glen Hansard - Didn’t He Ramble (2015)

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di Stefano De Stefano A distanza di 3 anni dal primo album solista, Glen Hansard torna sulle scene con un lavoro che lascia interdetti al primo ascolto, per poi crescere solo successivamente. Sì perché, a dispetto dell’imponente produzione – quattro location diverse, ospiti come Sam Beam aka Iron & Wine e due produttori come Thomas Bartlett (The National, Sufjan Stevens) e il compagno di una vita nei Frames, David Odlum – Didn’t He Ramble non decolla al primo giro: sono pochi gli episodi che arrivano in modo diretto e subito riconoscibile all’ascoltatore abituato al precedente Rhythm’n’Repose (è il caso del singolo di lancio Winning Streak). Eppure, questo secondo disco del cantautore irlandese rivela la propria intima ed elegante filigrana solo a chi è capace di andare al di là dei facili colpi ad effetto: Didn’t He Ramble in questo senso non è un disco pop, piuttosto un messaggio di lucida bellezza da andare a recuperare scavando in superficie, esattamente come ha dichiara

20 nomi di musicisti famosi, spiegati #9 Jay-Z

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Jay-Z NME avanza tre ipotesi (il vero nome del cantante e produttore hip hop è Shawn Corey Carter): «potrebbe essere un omaggio a un suo vecchio mentore, il rapper Jaz-O, una variante del suo soprannome d'infanzia Jazzy o un riferimento alla stazione della metro vicino Brooklyn "J/Z", nei pressi della quale è cresciuto». (Kevin Winter/Getty Images)

Eska - Eska (2015)

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di Damiano Pandolfini Al concerto tenutosi per il lancio di "Eska", lo scorso 16 maggio 2015 al Rich Mix di Londra, tra il pubblico sono state avvistate delle estasiate Laura Mvula, Alice Russell e Lianne La Havas. Accompagnata da una band stringata ai limiti del garage-rock, Eska ha tirato giù il tetto della sala, dando prova della sua portentosa voce, ma soprattutto dell'incredibile verve di emotiva quanto spiritosa interprete e polistrumentista, una leonessa da palcoscenico capace di stravolgere le proprie canzoni saltando dal folk al rock al blues al soul al gospel con una facilità da mettere in soggezione. Ma non si tratta certo di hype nato nel giro di una notte. Eska Mtungwazi, età imprecisata e neomamma di una bimba che "sta nel palmo di una mano", è in giro sin dagli anni 90 e il suo nome ha assunto la statura del mito nella scena della capitale inglese, pur senza un briciolo di divismo da parte dell'interessata, visto che per anni questa s

Beirut - No No No (2015)

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di Emanuele Brunetto Scherzare col titolo di questo quarto album a firma Beirut sarebbe fin troppo facile e anche un po’ cattivo, specie se ad ascolto già avvenuto. No No No, infatti, potrebbe tranquillamente essere la reazione di disappunto di tanti fra coloro che decideranno – con più o meno aspettative al riguardo – di capire che ha combinato l’ex bambino prodigio Zack Condon negli ultimi quattro anni dal punto di vista musicale (visto che dei casini privati se n’è parlato abbastanza). Quattro anni trascorsi dall’ultimo “The Rip Tide” (2011), fattosi attendere a sua volta altri quattro anni da “The Flying Club Cup” (2007), lassi di tempo che qualcosa devono pur significare in termini di esperienza, maturità, crescita, evoluzione o chiamatela come diavolo vi pare. Invece niente, nada di nada, Beirut suona sempre, costantemente uguale a se stesso, circostanza che se al secondo album sa di conferma, al quarto si trasforma in pesantezza, rovinando le belle sensazioni dettate da

Carlos Santana

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Carlos Santana holding a photograph of John Coltrane, c.1973.

Kurt Vile - B’lieve I’m Goin Down… (2015)

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di Riccardo Zagaglia E fu così che anche per Kurt Vile arrivò il pesante macigno del dovere dare seguito al disco-capolavoro della sua carriera. Non che Smoke Ring for My Halo – il suo breakthrough album – fosse un lavoro minore, ma con il successivo Wakin on a Pretty Daze il trentacinquenne di Philadelphia ha raggiunto la piena maturità e il pieno equilibrio tra gli elementi cantautorali e le scorribande classicamente rock che da sempre trovano posto all’interno del DNA dell’artista. Il fatto che l’anno dopo sia arrivata anche la definitiva consacrazione dei War on Drugs del vecchio compare Adam Granduciel, per certi versi ha complicato ulteriormente il compito, perché oltre a bissare il livello di Wakin on a Pretty Daze, Kurt Vile ha dovuto anche confrontarsi con l’ascesa nell’olimpo della sua vecchia band. Esemplare, in questo senso, la doppia esibizione dello scorso anno al Green Man: War On Drugs perfetti, il giusto sound donato da un impianto enorme davanti alla grande folla

Tupac Shakur, Vibe, 1994

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Le 101 copertine di musica più importanti di sempre

The Jimi Hendrix Experience - Are You Experience (1967)

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Il critico americano Dave Marsh lo definirà «l'equivalente musicale del Big Bang». Un'esplosione, insomma, ma un'esplosione creativa, feconda, che genera, non distrugge. E una bella immagine per descrivere un album e racchiudere in sé — a ritroso - l'album stesso, il gruppo che l'ha realizzato, il musicista che l'ha pensato, la sua chitarra. Gli istanti che precedono il botto vedono il chitarrista americano James Marshall Hendrix arrivare a Londra, trovare un manager nella persona di Chas Chandler, già bassista degli Animals, trovare un bassista (il chitarrista Noel Redding, scelto perché a Jimi ricorda Bob Dylan) e un batterista, l'esperto Mitch Mitchell. Formare un power trio alla maniera dei Cream, secondo una formula nuova ed essenziale che segnerà la storia del rock'n'roll come una sorta di ritorno paradossale alle radici del suono: chitarra, basso e batteria, solo il cuore della nuova musica. Nel caso dell'Experience il batterista è co-p

Blue Moon - Beck

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Luna Blu Sono così stanco di essere solo Queste mura sono tutto ciò che abbia mai conosciuto Il canto degli uccelli chiama attraverso l’acqua Nel mio ritiro silenzioso Oh, non lasciarmi solo Mi hai lasciato tutto solo A farmi a pezzi così che possa inserire all’interno Delle bugie che ci divideranno col tempo Guarda il voltagabbana in ginocchio Un vagabondo che nessuno vede Quando una luna sta proiettando ombre Non puoi salvare chi hai preso in battaglia Oh, non lasciarmi solo Mi hai lasciato tutto solo A farmi a pezzi così che possa inserire all’interno Delle bugie che hai provato a nascondere dietro ai tuoi occhi Non lasciarmi solo Non lasciarmi solo Quindi fammi a pezzi così che possa sigillare all’interno Delle bugie che ci divideranno col tempo

The Dream Syndicate

Gruppo guida del cosiddetto "Paisley Underground" (movimento che, negli anni '80, in piena era di sperimentazione tecnologica, riporta il rock verso la forma canzone e al suono delle chitarre, recuperando le fila di una tradizione che muove da Velvet Underground e Stooges), i Dream Syndicate ruotano attorno al cantante e chitarrista Steve Wynn (1960). Discografia e Wikipedia

The Amazing - Picture You (2015)

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di Michele Bordi Si immagini questo particolare staff scandinavo: due artisti provenienti da due band diverse si incontrano, ciascuno con il suo personale background musicale. Chiamano un po’ di baldi musici al loro servizio e formano un collettivo dal nome a dir poco impegnativo: The Amazing. Dopo l’apprezzabile “Gentle Stream” arriva così “Picture You”, l’ultimissima ricetta del quintetto svedese dove nei suoi brani scoviamo facilmente le tracce della loro genesi: un incontro tra molteplici flussi di passato e presente dove nessuno prevarica sull'altro, in un'armonia a lunghi tratti - ci venga concessa la battuta facile - amazing. Abbiamo di fronte in effetti un bel minestrone di esperienze: su una base che va da suono acido tipico di un certo psych-pop anni 80 ai graffi elettrici dell’hard-rock settantiano, aggiungiamo echi di shoegaze misti a strutture e attitudine sottilmente progressive, il tutto condito da aggraziate ritmiche jazz-rock. Per dare un po’ di vari

12 copertine di dischi famosi realizzate da grandi artisti #8 Henri Fantin-Latour

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New Order, Power, Corruption and Lies, 1983 Il quadro di Henri Fantin-Latour, pittore francese dell'Ottocento, è esposto alla National Gallery di Londra: mentre era al museo, Peter Saville, direttore artistico dei New Order, prese questa cartolina, e la sua fidanzata disse scherzando che avrebbe potuto usarla per la copertina. Saville voleva un quadro rinascimentale che mostrasse un principe, per giocare con il titolo di ispirazione machiavellica del disco, ma non aveva trovato niente. Così scelse davvero il quadro di Fantin-Latour, intuendo che sarebbe stata una buona idea. Qui c'è una storia più approfondita di questa e di altre bellissime copertine dei dischi della Factory Records.

20 nomi di musicisti famosi, spiegati #8 Simple Minds

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Simple Minds NME scrive che la band new wave scozzese ha preso il proprio nome da un verso della canzone "The Jean Genie" di David Bowie, pubblicata nel 1972 sul lato B del singolo della celebre canzone "Ziggy Stardust": «So simple minded he can't drive his module/He bites on the neon and sleeps in the capsule». (Graham Denholm/Getty Images)

Otis redding

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Foals - What Went Down (2015)

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di Andrea Macrì L’equilibrio instabile tra autenticità e teatrino messo in piedi per piacere a tutti i costi (leggi: paraculaggine) è forse la più grande questione irrisolta, nell’attuale panorama musicale, questo perché molti hanno scoperto che la prima può anche appartenere al mainstream e la seconda spesso si insinua – in molti casi tracimando – in quello che un tempo avremmo chiamato “alternative”. Tutto, in questo schema interpretativo, congiurava dunque contro i Foals, band major che però, come molte altre, si rivolge ad un pubblico poco mainstream. Il modo in cui si è arrivati a questo What Went Down, poi, fa riflettere: l’evoluzione del loro suono (passato nei dischi precedenti attraverso accenti coldplayiani e math-rock); il pathos ostentato in molti pezzi, frutto spesso della voce sofferta del cantante Yannis Philippakis; il luogo in cui l’album è stato registrato e l’ispirazione legata ad esso (rispettivamente, Saint-Rémy-De-Provence e Van Gogh, che lì visse internato).

Heroes of the Blues

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Ravi Shankar

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Red Hot Chili Peppers, Rolling Stone, 1992

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Le 101 copertine di musica più importanti di sempre

The Doors - The Doors (1967)

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Jim Morrison e Ray Manzarek si incontrano per caso, nel '65, all'università, al corso di cinematografia: Jim scrive poesie che potrebbero diventare testi di canzoni, Ray è un musicista. La leggenda vuole che Jim gli canti Moonlight Drive sulla spiaggia di Venice, a Los Angeles, e che Ray capisca subito che quell'incontro li porterà lontano. Due anni dopo, in effetti, sono al numero uno della classifica americana con la versione ridotta di Light My Fire, tratta dal loro album d'esordio. Nel mezzo, è ovvio, sono successe molte cose: la band si è formata davvero, con John Densmore alla batteria e Robbie Krieger alla chitarra, e Jim ha scelto un nome semplice, The Doors, che ha i riferimenti giusti, all'altezza delle loro ambizioni. Cita il titolo di un libro sull'assunzione di mescalina pubblicato da Aldous Huxley nel 1954 (Le porte della percezione), che a sua volta cita il poeta visionario William Blake: «Se le porte della percezione fossero aperte, tutto appa

How Many More Years - Howlin' Wolf

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Quanti anni ancora dovrei lasciare che mi perseguiti Quanti anni ancora dovrei lasciare che mi perseguiti Preferirei piuttosto morire dormendo sei piedi sotto terra Mi inginocchierò e alzerò la mano destra Mi inginocchierò e alzerò la mano destra Dico che mi sentirei molto meglio cara, se solo tu mi capissi Salgo al piano di sopra, vado a riprendermi i miei vestiti Salgo al piano di sopra, vado a riprendermi i miei vestiti, li darò a tutti Se qualcuno chiedesse di me, digli solo che ti ho mollato.

Warren Haynes feat. Railroad Earth - Ashes & Dust (2015)

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di Paolo Baiotti Che Warren Waynes volesse registrare un disco da cantautore non è una novità per chi segue con attenzione il musicista di Asheville. In fondo il suo esordio solista, Live At Bonnaroo del 2004, era un disco acustico che andava in questa direzione, per cui molti pensavano che Man In Motion sarebbe stato il tanto atteso album in studio da songwriter…ma sappiamo che le cose sono andate diversamente. Warren ha spiegato che canzoni di questo genere, non adatte agli Allman Brothers o ai Gov't Mule, si sono accumulate nel corso degli anni. C'era l'intenzione di registrare con Levon Helm, Leon Russell e il bassista T-Bone Wolk; poi la morte del bassista e di Helm hanno allontanato il progetto, sostituito dal soul/rhythm and blues di Man In Motion, altra grande passione del chitarrista, che non si può definire artista dalla visione ristretta. A un certo punto Warren si è trovato con una trentina di canzoni, comprese alcune covers di autori del North Carolina che

Nick Drake

Nick Drake (1948 - 1974) nasce in Birmania, dove suo padre è militare. Tornato in Inghilterra studia letteratura a Cambridge e forma il proprio gusto musicale ascoltando Van Morrison e Tim Buckley. Nel 1968 viene scoperto durante durante un concerto per la pace da Ashley Hutchings, bassista dei Fairport Convention, e presentato a Joe Boyd, uno dei maggiori talent scout della storia del rock. Discografia e Wikipedia

12 copertine di dischi famosi realizzate da grandi artisti #7 Gerard Richter

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Sonic Youth, Daydream Nation, 1988 La band scelse questo dipinto di Richter del 1983 per via del titolo, Candle7, che è anche quello di una canzone del disco.

20 nomi di musicisti famosi, spiegati #7 Bastille

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Bastille Il gruppo rock britannico si chiama in questo modo perché il cantante Dan Smith compie gli anni il 14 luglio, il giorno in cui in Francia si festeggia la presa della Bastiglia ("Bastille", in francese) avvenuta nel 1789. (Kevin Winter/Getty Images for Clear Channel)

Yo La Tengo - Stuff Like That There (2015)

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di Claudio Lancia A venticinque anni esatti da “Fakebook”, quello che fu il loro quarto lavoro in studio, i signori Yo La Tengo ripetono l’esperimento di pubblicare un album nel quale alternare revisioni personalizzate di brani altrui e tracce autografe. “Stuff Like That There” rappresenta il perfetto sequel di quell’avventura, forte della presenza di nove cover, tre rivisitazioni di pezzi propri già pubblicati in passato e due inediti: “Rickety” e “Awhileaway”. In realtà la vera notizia per lo storico trio indie-rock statunitense (che da poco ha agilmente varcato il traguardo del trentennale d’attività) è che per l’occasione torna a essere un quartetto: accanto a Ira Kaplan, Georgia Hubley e James McNew, c’è il ritorno (non sappiamo se soltanto provvisorio) alla chitarra di Dave Schramm. La compresenza di due chitarristi rende possibile un lavoro impressionante sulle sei corde, intrecci e intarsi che si rincorrono per tutta la durata delle quattordici tracce, slide e ritm

E T I C H E T T E

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