Glen Hansard - Didn’t He Ramble (2015)

di Stefano De Stefano

A distanza di 3 anni dal primo album solista, Glen Hansard torna sulle scene con un lavoro che lascia interdetti al primo ascolto, per poi crescere solo successivamente. Sì perché, a dispetto dell’imponente produzione – quattro location diverse, ospiti come Sam Beam aka Iron & Wine e due produttori come Thomas Bartlett (The National, Sufjan Stevens) e il compagno di una vita nei Frames, David Odlum – Didn’t He Ramble non decolla al primo giro: sono pochi gli episodi che arrivano in modo diretto e subito riconoscibile all’ascoltatore abituato al precedente Rhythm’n’Repose (è il caso del singolo di lancio Winning Streak).
Eppure, questo secondo disco del cantautore irlandese rivela la propria intima ed elegante filigrana solo a chi è capace di andare al di là dei facili colpi ad effetto: Didn’t He Ramble in questo senso non è un disco pop, piuttosto un messaggio di lucida bellezza da andare a recuperare scavando in superficie, esattamente come ha dichiarato di aver fatto l’autore. La partenza in sordina di Her Mercy, come fu per Low Rising di The Swell Season, si trasforma lungo la strada regalando un finale emotivamente epico, mentre l’aria del Nebraska di sprinsteeniana memoria avvolge la ballad Wedding Ring. Un senso di drammatica misticità accoglie l’ascoltatore dell’opening track Grace Beneath The Pines (tra le migliori del disco assieme a My Little Ruin, una novella You Will Become che qui regala un crescendo notevole), mentre gli umori di Lowly Deserter, un country blues in minore dove fiati e violini giocano un ruolo predominante, sono quelli della pioggia e della palude. L’anima di Didn’t He Ramble tuttavia è pulita, e un senso di pace interiore pervade gran parte dell’album, come Paying My Way suggerisce.
Il qui presente non è un disco immediato, perchè mostra una propria e coesa complessità che lascia spazio tanto a derive nu-jazzy (Just To Be The One) quanto a momenti crepuscolari (Stay The Road); il fil rouge che attraversa l’intero lavoro è una scrittura che si attesta sempre su registri alti, pur discostandosi rispetto al precedente Rhythm’n’Repose per quanto riguarda il modo di scandagliare e di andare ancora più a fondo nella propria estetica. Alla luce di questo, Didn’t He Ramble richiederà un po’ di tempo prima di brillare di una luce sicuramente abbagliante. (Mia valutazione: Distinto)

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