Kurt Vile - B’lieve I’m Goin Down… (2015)
E fu così che anche per Kurt Vile arrivò il pesante macigno del dovere dare seguito al disco-capolavoro della sua carriera. Non che Smoke Ring for My Halo – il suo breakthrough album – fosse un lavoro minore, ma con il successivo Wakin on a Pretty Daze il trentacinquenne di Philadelphia ha raggiunto la piena maturità e il pieno equilibrio tra gli elementi cantautorali e le scorribande classicamente rock che da sempre trovano posto all’interno del DNA dell’artista. Il fatto che l’anno dopo sia arrivata anche la definitiva consacrazione dei War on Drugs del vecchio compare Adam Granduciel, per certi versi ha complicato ulteriormente il compito, perché oltre a bissare il livello di Wakin on a Pretty Daze, Kurt Vile ha dovuto anche confrontarsi con l’ascesa nell’olimpo della sua vecchia band. Esemplare, in questo senso, la doppia esibizione dello scorso anno al Green Man: War On Drugs perfetti, il giusto sound donato da un impianto enorme davanti alla grande folla del main-stage e un Kurt Vile invece vagamente scazzato sul palco secondario, con qualche problema di suono e poca empatia con il pubblico.
Fortunatamente le direzioni che i due progetti hanno preso negli ultimi anni sono ormai tanto chiare quanto visceralmente diverse e, altrettanto fortunatamente, Kurt è uno abituato a non dare troppo peso a situazioni di questo tipo, preferendo andare avanti per la propria strada a testa bassa sulla sei corde, a descrivere con sentimento e ironia il suo piccolo mondo. Nasce così b’lieve i’m goin down…, un disco sicuramente meno maestoso rispetto a Wakin on a Pretty Daze ma che non scheggia minimamente il percorso artistico dell’americano. Il singolo apripista è azzeccato quanto fuorviante: Pretty Pimpin’ non è solo il brano più squisitamente/stupidamente pop (e per certi versi nonsense) mai registrato da Vile (a tratti suona come se i RHCP fossero nati nell’heartland invece che sulla west-coast), ma è anche un episodio a sé stante all’interno di un disco in cui fondamentalmente ritroviamo l’autore di Wakin on a Pretty Day alle prese con la formula che lo ha trasformato in uno dei più importanti songwriters della sua generazione.
Escludendo un’inferiore tendenza a seguire a livello melodico le medesime linee scandite dai riff (diffusa nel disco precedente) e il maggior utilizzo del pianoforte presente in Lost My Head There in modo fin troppo tradizionale e nella strumentale Bad Omens come unica àncora alla concretezza in un mare psichedelico, siamo nuovamente immersi in un contesto votato al relax, composto da complessi e affascinanti fingerpicking acustici (lo strumming dei tempi di In My Time sembra abbandonato quasi del tutto) in grado di far scorrere i minuti senza che l’ascoltatore se ne accorga. Merito anche di un timbro vocale sghembo che suona come un perenne ghigno da vecchio bevitore che strascica parole in slang. Anche solo con queste due caratteristiche, evocare paesaggi made in USA da road-trip per Vile è un gioco da ragazzi, con risultati mediamente eccelsi (Stand Inside, All in a Daze Work).
b’lieve i’m goin down… propone sfuggenti variazioni nell’ottima Wheelhouse, influenzata da alcune jam al Rancho De La Luna con i Tinariwen e impregnata di suggestioni da tramonto sul deserto, e nella banjo-driven I’m An Outlaw. A livello testuale, lo stile è assolutamente inconfondibile e talvolta di difficile decifrazione, tra pillole di quotidianità, pensieri che scorrono sul saper accettare le circostanze della vita e quell’aura da grande osservatore sensibile, capriccioso e privo della voglia di perdere i vizi della gioventù. Kurt, infatti, non sembra – almeno nell’imminente futuro – proiettato verso un cantautorato imbolsito, ed è proprio questione di attitudine: nonostante l’età mantiene intatto quel mood da slacker ventenne (spassoso, in questo senso, il cameo nel video di Bent Nail dei Nothing) che gli garantisce ancora oggi il giusto fascino da alternative-hero.
Prova superata al meglio e senza intoppi evidenti; a questo punto il vero ostacolo probabilmente sarà il prossimo album e lo spauracchio non sarà tanto il dovere mantenere livelli altissimi, quanto l’evitare di ripetersi (già in questa occasione That’s Life ricorda fin troppo da vicino Too Hard). (Mia valutazione: Buono)
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