Santana - Abraxas (1970)

di Silvano Bottaro

Quando il "veggente" risalì la costa occidentale del continente americano, trovò un clima più temperato, gente meno aperta e un appartamento che per un paio di mesi gli fece rimpiangere la sistemazione messicana. A San Francisco incontrò il jazz e il rhythm'n'blues e dopo i quattro storici concerti al Fillmore West e l'apparizione a Woodstock, i Santana entrarono in studio e in pochi mesi uscirono prima con "Santana" e poi con "Abraxas".
Abraxas in linea con il nome ricavato da un passo di Demian di Herman Hesse è una grande opera di contaminazione di culture musicali differenti formalmente, come il blues e la musica latino-americana, sotto l'impronta comune del rock. Quello che prima degli altri e, alla luce di quanto è accaduto in seguito, meglio di altri, Santana ha individuato uno spazio vuoto nel mondo della musica di protesta, un luogo vergine in cui poter osare oltre i confini. Lavorando, quasi senza saperlo, in territori dai sapori "salsa" e "anime africane", inventarono la world music.
Abraxas è il matrimonio tra carnalità e spiritualità. Trentasette minuti di suoni avvolgenti, ritmici e passionali, intrecciati da abili mani di musicisti che volano liberamente in una musica arroventata dai ritmi afro-cubani e della lancinante melodia di una chitarra Gibson.
A distanza di anni è ancora oggi molto difficile trovare un lavoro impregnato di tante musiche e tante ispirazioni diverse inglobate in un disco di trentasette minuti dalla fisionomia unica. 

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