Massimo Zamboni - La mia patria attuale (2022)
di Michele Brigante Sanseverino
Esiste davvero l’Italia o è solamente una mera espressione geografica? Esistono davvero gli italiani? Ha senso cercare la nostra coscienza comune? Riusciremo a vedere oltre le lande desolate nelle quali senti solo urlare i cani? Riusciremo ad andare oltre questo sciagurato “mare nostrum” di delusioni brucianti e promesse mancate? Sapremo svincolarci e liberarci dal disordine, dal cinismo, dalla paura e dall’ignoranza che sembrano condannarci a restare, per sempre, proni e piegati, in balia dei peggiori governi e di una classe politica che è incapace di guardare con fiducia costruttiva al futuro, incapace di offrire prospettive alternative, incapace di uscire dai soliti schemi mentali e dai soliti luoghi comuni, ma si ostina a vivere nella menzogna di uno sterile, paranoico e frustrante eterno presente, pur di conservare i propri privilegi e la propria posizione?
Vi sono abitudini e atteggiamenti che appaiono quasi impossibili da sradicare, eppure, camminando per le strade, attraversando le città e i paesi, soffermandosi a discutere con le persone comuni, è possibile sentire circolare la speranza di una vivida e curiosa intelligenza. Un’intelligenza che, purtroppo, non è spesa a beneficio né della collettività, né di alcuna istituzione, ma che, tragicamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno, nei secoli dei secoli, guarda esclusivamente al proprio micro-mondo personale, al proprio benessere individuale, ad una visione dei fatti e degli eventi che è assolutamente egoistica e materialista, preferendo, spesso, la facilità di un utile, ma ingiusto compromesso, piuttosto che l’indignazione e la conseguente ribellione verso un modello sociale, politico ed economico, che, soprattutto durante la recente pandemia, si è mostrato iniquo e disumano.
I dieci brani di “La Mia Patria Attuale”, ricchi di combattive sonorità di matrice folkeggiante, di una narrazione cantautoriale cruda e malinconica, di una vibrante e accattivante poesia, di chitarre e pianoforte, organo e mellotron, offrono al pubblico quello che, ad un primo ascolto, potrebbe apparire solamente un ingannevole e insensato conforto, un dolente susseguirsi di invocazioni a Dei inesistenti che si mostrano sordi alle nostre preghiere, ciechi e insensibili dinanzi alle dolorose tragedie che sconvolgono il mondo. In realtà, però, queste invocazioni sono rivolte soprattutto a noi stessi – agli sciagurati, ai reietti, ai diversi, agli emarginati, agli esclusi – spronandoli, attraverso quelle ritmiche e quelle percussioni che appartengono alla nostra storia comune, a rivoltarsi contro questa delirante e brutale visione della società.
Ed ecco che, dinanzi ai nostri occhi, appare l’immagine, rigorosamente in bianco e nero, di un popolo costretto a vivere in ostaggio di spietati demoni affamati di tempo, desiderosi di sfruttare a proprio vantaggio ogni barlume di bellezza, di fantasia e di creatività; creature che penetrano nelle nostre città, nelle nostre case, nelle nostre esistenze, nelle nostre menti e nei nostri cuori, iniettando in essi il veleno dell’odio, della fobia e della violenza, mostri che pensavamo aver sconfitto nel secolo scorso e che, invece, sfruttando un minuscolo e invisibile virus, sono ritornati a minacciare la pace, la sicurezza e la serenità, andando a costruire muri di intolleranza e a mettere le persone le une contro le altre, creando nemici inesistenti da colpevolizzare e combattere.
Abbiamo l’obbligo, quindi, di essere ancora compagni, di ritrovare la purezza delle nostre origini, di stringere, senza alcuna vergogna, questa nostra terra natia, una terra impregnata di Vulcani e di Mare, di Alpi e Appennini, di Sposi Promessi e Divine Commedie, di popoli diversi che, attraverso incroci, scambi, incontri, migrazioni e una mescolanza di linguaggi, usanze e culture diverse, hanno dato vita a quella che è la nostra patria attuale, luogo di solidarietà e di accoglienza, argine contro ogni deriva xenofoba e autoritaria, canzone inclusiva nella quale voci diverse – dai greci ai latini, dagli arabi ai normanni, dai goti ai longobardi, dai francesi agli spagnoli – possano dimostrare, in modo concreto, come la ricchezza multietnica e multiculturale non rappresentano una macchia da cancellare, bensì sono una risorsa per migliorare il nostro futuro comune.
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