Pere Ubu – Carnival Of Souls (2014)

di Lorenzo Tagliaferri

Assai gradito il ritorno dei Pere Ubu in una veste magnetica che spiega in maniera adeguata il valore dei quaranta anni di carriera del gruppo. Carnival Of Souls è il diciottesimo disco della band di Cleveland, in Ohio, che ha portato un contributo decisivo allo sviluppo dell’art-rock e che continua a regalare piccole perle che nulla hanno a che fare con l’asfittica realtà mainstream dell’indie-rock in genere (sapete benissimo a cosa mi riferisco).

Se potesse essere utile alla definitiva morte di questo cancro del mondo della musica moderna allora consiglio vivamente a tutti di fare una buona scorta di Carnival Of Souls che non si limita ad essere un buon disco ma che si qualifica anche nei contenuti extra-musicali con il suo concept che prende ispirazione dal film omonimo di Herk Harvey del 1962 (e più in generale dalla velata genialità dei B-movies che si producevano nella rilucente Hollywood degli anni ’60-’70). Tornano le trame oscure e le rifiniture di organo in brani come “Visions Of The Moon” e la più oscura divagazione sonora di “Carnival” (lo strumento suonato dalla protagonista del film, Mary Henry, interpretata dall’attrice Candae Hillgoss) ben accompagnate dai soliloqui, liricamente ben accostati alla struttura dei brani, di David Thomas, l’unico membro originale della band, che prende in cura tutti i nove brani di Carnival of Souls e firma la produzione di tutto il disco. Ovviamente siamo nella musica “d’essai”, perché dopo una vita passata nello stesso gruppo, con le epoche che cambiano, i componenti che vanno e vengono dalla sala prove, ti passa in testa l’idea di cambiare registro e portare qualcosa che magari non stravolge le caratteristiche tecniche alla base di un progetto, ma che, tuttavia, può essere in grado di rinfrescare un prodotto che altrimenti sarebbe scadente, o noioso. Ecco perché Carnival Of Souls è tutto David Thomas che tra l’impegnativo tour che ha accompagnato il precedente lavoro dei Pere Ubu, Lady From Shanghai, ha trovato il tempo di portare queste nove tracce su un nuovo disco. Non ci è dato sapere con quale spirito Thomas si sia apprestato a registrare angosciose visioni come quelle contenute in brani come “Dr. Faustus” e la violenta ouverture di “Golden Surf II” ma si palesa con chiarezza il livello di tensione che ha tirato fuori dal predecessore cinematografico di Carnival Of Souls. La passerella si chiude con un tributo ad un altro B-movie che anticipò di circa un quarto di secolo il film di Harvey, The Day Of The Locust, di Nathanael West. Il brano in questione è “Brother Ray” e, a dispetto dei suoi 12 minuti, richiama l’ascolto senza alcuna distrazione.

Carnival Of Souls può non piacere, può risultare di difficile ascolto e comprensione ma si richiama ad una tradizione ormai quasi del tutto svanita oggi, che vedeva nel musicista un artista, innanzitutto, pieno di idee che anche in una semplice riproposizione di qualcosa di già noto riusciva a dare un colpo decisivo al coinvolgimento dell’ascoltatore. In morte dell’indie-rock bisogna tributare un grande “evviva!” a David Thomas e ai Pere Ubu. (Mia valutazione: Buono)

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