Jeffrey Foucault - The Universal Fire (2024)
Ritrovare Jeffrey Foucault a sei anni dal suo ultimo album di inediti, Blood Brothers, e ritrovarlo così, nella forma più compiuta e nelle migliori condizioni di ispirazione possibili, è una bella notizia: per chi ha colto fin dagli inizi le qualità delle liriche di questo songwriter, tra più evocativi della sua generazione, e in generale per chi ha a cuore le sorti di una canzone folk (rock) americana che guarda all’insegnamento dei “grandi maestri” senza sentirsene prigioniera di stili e parole. Foucault utilizza la sua tavolozza di colori, una voce caratteristica e in questa occasione più che in passato una band che gli possa mettere a disposizione nuovi spazi sonori.
Un’occasione troppo importante per non sfruttarla a pieno, quella di avere, tra gli altri, John Convertino (Calexico) alla batteria, Eric Heywood (già con Son Volt, Richard Buckner e mille altri) alla pedal steel e Mike Lewis (collaboratore nel progetto Bon Iver) al sax, piano e organo, nonché titolare della produzione, valore aggiunto di un album registrato da Craig Schumacher in presa diretta negli studi Wavelab di Tucson, tutti raccolti in una stanza, con quel suono d’ambiente e dalla tessitura desertica. Sarà per questo motivo che Jeffrey Foucault ha voluto che alcuni di questi nomi venissero impressi direttamente sulla copertina di The Universal Fire, primo disco da molti anni a questa parte a riproporlo con una nuova etichetta, la californiana Fluff & Gravy, fuori dalle sacche dell’assoluta indipendenza.
Frutto collettivo dunque, ma canzoni che sgorgano dalla scrittura del solo protagonista, sensibile autore con accento del Midwest (originario del Wisconsin, anche se da anni residente nel New England e conosciuto all’interno della scena folk di Boston) che qui più che altrove indaga il senso dell’esistenza, della natura umana che ci circonda e non ultimo della perdita. L’idea dell’intero The Universal Fire nasce infatti dalla scomparsa dell’amico Bill Conway (batterista noto soprattutto per il suo lavoro nei Morphine), per anni collaboratore nei dischi di Foucault e trascinato via da un tumore nel 2021: la rarefatta densità gospel folk di Winter Court in apertura scaturisce da quell’abbandono e fa da preludio alla stessa title track, trascinante folk rock dai grandi spazi che mette in parallelo questo senso di lutto e privazione con il famigerato incendio del 2008, quando gli studi di proprietà dell'Universal a Los Angeles andarono in fumo portandosi via molti master originali di grandi registrazioni del passato.
Sono la nostra stessa cultura e i nostri sogni ad essere stati trascinati via, riflette Foucault, che prova da qui in avanti a raccogliere pezzi di vita, come uomo e come musicista, che alla soglia dei cinquant’anni ha raccolto più domande che risposte, più cicatrici che successi: Solo Modelo ondeggia su un ritmo latino e una steel da desert-rock per nulla estranea al percorso dei primi Calexico (la presenza di Convertino ha compiuto il miracolo?), Monterey Rain è un gioiello folk rock esistenzialista che non avrebbe sfigurato nel recente repertorio dei Bonny Light Horseman, mentre Moving Through torna al picking acustico e introverso di un autore che su queste atmosfere viaggia a nozze, esaltando una voce da autentico troubadour.
Ogni passaggio è dipinto con la giusta intensità di ombreggiature musicali, la band coglie in simbiosi con Foucault il senso del suo messaggio e questo è il piccolo miracolo di The Universal Fire, l’album migliore del nostro protagonista dai tempi dell’affermazione con Ghost Repeater (2006). A rimarcarlo ci sono le folate di cosmic country in Crushed Ice and Gasoline, il trambusto rockabilly di una nervosa e incalzante Nightshift (Erik Koskinen alla chitarra solista, l’ex Morphine Dana Colley al sax), o la commovente danza sul border messicano (Sergio Mendoza all’accordion) di una ballata d’amore spezzato quale Sometimes Love. Tutto scorre in direzione del finale, quando Woodsmoke ci lascia con la sua domanda irrisolta, fulcro stesso di tutto The Universal Fire: cosa resterà di noi, quando “Tutto ciò che ami se ne è andato” e “Non resta nulla tranne il che suono/ Solo un fantasma in un altoparlante/ Quando cala il sipario”.
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