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Visualizzazione dei post da settembre, 2020

Chuck Berry

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Lost in Transmission No. 56

Bill Callahan – Gold Record (2020)

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di Alessio Belli "Hello, I'm Johnny Cash". Citando il celebre saluto, scalfito su un cristallino giro di chitarra acustica, inizia “Gold Record”, nuovo disco di inediti di  Bill Callahan . A un solo anno dallo splendido ritorno sulle scene con “ Shepherd In A Sheepskin Vest ”, l'album è stato presentato rilasciando un brano per volta, con cadenza settimanale, fino alla data di pubblicazione, fissata al 4 settembre. Se l'iniziale “Pigeons” cita subito L'Uomo in Nero del folk americano, il commiato non è da meno, con la firma in calce di “Famous Blue Raincoat”: “Sincerely, L. Cohen”. Un brano ancora una volta sul tema del matrimonio, ma in una prospettiva diversa: se nel predecessore Callahan era direttamente chiamato in causa, adesso è l'autista di limousine intento a scortare due novelli sposi verso la nuova vita. E lo fa dispensando riflessioni ora caustiche ora più pensose: "When you are dating you only see each other/ And the rest of us can go to h

Pere Ubu / David Thomas

La storia dei Pere Ubu inizia nella Cleveland inquinata e innaturale del 1975, i cui scenari marchieranno in modo indelebile il modo disarticolato di fare rock della band. Il gruppo si forma per opera di David Thomas (1953) e Peter Laughner, entrambi giornalisti a tempo perso, provenienti dai Rocket From The Tombs. Discografia a Wikipedia

La band dei sogni

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Sono arrivati come un fulmine a ciel sereno, e per un attimo sono stati – e non ho certo mancato di trasmetterlo – la band dei miei sogni. Perché solo miei, poi? Una band così non può essere la band dei sogni di chiunque? Intanto, il contesto. Primi anni ‘80, li ricordate? Da una parte i reduci della disco, dall’altra gli esegeti del post-punk, poi ovviamente quelli che nel punk c’erano rimasti, il reggae in crisi con la morte di Bob e l’esplosione della musica elettronica, tastierine tech e campionatori ovunque. Mica finito: vestiti tutti con le spallone, capelli cotonati, bei ragazzi che sembravano ragazze, make-up esagerati, creste dovunque. Parola d’ordine, il look. Ecco, la “band dei miei sogni” con tutto questo condivideva solo l’ultima cosa. Per il resto, Kid Creole & the Coconuts non avevano nulla da spartire con tutto il resto. Erano la fantasia estrema di uno scienziato pazzo, con un frullatore gigante (con la fettina d’ananas sul bordo) nel quale aveva buttato

The Clash

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21 settembre 1979 New York Alla fine del concerto dei Clash tenutosi al Palladium di New York, il bassista, Paul Simonon, spaccò il proprio strumento sul palco perché deluso dalla performance del gruppo quella sera. La fotografa al seguito dei Clash, Pennie Smith, accortasi dello stato d'animo di Simonon tenne stretta davanti agli occhi la sua macchina fotografica scattando quella che da molti è considerata la più grande foto rock della storia. In seguito questa foto fu scelta dai Clash come copertina del loro terzo album "London Calling" per la carica e la grinta dello scatto, nonostante l'iniziale opposizione di Pennie Smith per via della cattiva messa a fuoco.

Van Morrison - Veedon Fleece (1974)

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I dischi del mese di Aprile saranno dischi legati a dei luoghi. Faremo un viaggio musicale in 4 dischi che esplorano un luogo, fisico o simbolico. Quello di oggi comincia con uno degli artisti del momento che all'apice del successo vede il suo matrimonio distruggersi: Janet Rigsbee chiede infatti a fine 1972 a Van Morrison si separarsi. Nel 1973 Van intraprende un viaggio in Irlanda, che lo ispira profondamente a mettere di nuovo in musica quello che sta vivendo. Di getto scrive moltissimo, poi inizia a lavorarci su con la solita grande squadra di supporto. Nel frattempo incontra una nuova donna, Carol Guida, e un po’ come fu per il suo capolavoro immenso, Astral Weeks, immagina un disco stream of consciousness dove raccontare storie e meraviglie di quel periodo. Veedon Fleece esce nell’ottobre 1974. In copertina la chioma rutilia di Morrison è in mezzo a due giganteschi Irish Wolfhound, sullo sfondo un maniero tra gli alberi. Veedon Flence significa il vello di Veedon ed è pres

The Chieftains

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Non sempre è possibile individuare con precisione il momento in cui un artista, o un gruppo di artisti, valica la linea d'ombra tra l'elité e il mito. Per i Chieftains, uno dei pochi ensemble musicali diventati il simbolo di una nazione, questo coincide con l'uscita e il successo di Barry Lyndon, il capolavoro con cui Kubrick prende atto dell'impossibilità dell'uomo di progredire. Nel 1975 il film al botteghino non fu un successo ma la colonna sonora agì da detonatore sullo spirito di un tempo in cui la musica popolare stava diventando rifugio sicuro per i tanti delusi da un rock che iniziava a dare i segni di una decadenza da Babilonia. Grazie ai Chieftains, il grande pubblico scoprì lo straordinario patrimonio musicale irlandese - qualcosa di molto simile a quello che ha fatto di Tolkien l'alfiere della riscoperta di miti e fiabe celtiche. " Negli anni '50 l'Irlanda era percorsa dalla febbre per il rock'n'roll e farsi vedere in giro

Warren Zevon - The Wind (2003)

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di Silvano Bottaro Questo è il testamento musicale di Warren, morto poco prima della pubblicazione del disco (24 gennaio 1947 – 7 settembre 2003). Colpito da un male incurabile, il musicista californiano ha voluto a tutti i costi questo album, e se pur stanco, affaticato dalla malattia, ha lavorato duramente con profonda dignità fino alla completa registrazione. Attorniato da un numero incredibile di amici e musicisti, ci ha consegnato uno dei dischi più belli ed ispirati della sua trentennale carriera. A differenza del disco precedente "My Ride's Here" (la malattia lo aveva già minato), un disco decisamente sottotono, questo lavoro si prende decisamente la rivalsa. Zevon ritrova la vitalità e canta come non gli succedeva da molto tempo. Tutti gli ospiti amici e musicisti come: Dwight Yoakam, Don Henley, Ry Cooder e Bruce Springsteen, solo per citarne alcuni, sono parte integrante delle canzoni senza però precluderne l'opera originale di Zevon.      Le sono

Lost in Transmission No. 55

Miles Davis - Bitches Brew (1970)

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Basterebbe solo la copertina di Mati Klarwein (che per una volta propongo sia aperta che chiusa), che disegnerà anche quella magnifica di Abraxas di Santana, per farlo passare alla storia. Woodstock è appena finito e quello che già all’epoca era una divinità della musica, Miles Davis, entra in studio, con la fidata banda che già aveva fatto cose inaudite in In a Silent Way (1969) inventando di fatto il jazz rock. Ma se quell’album era il dolce vento di prima primavera che captava le nuove forme espressive della musica nera (facendo già inferocire i critici ed i puristi) quello che Davis fa per Bitches Brew (che uscirà nell’aprile del 1970) riscrive la musica contemporanea. La copertina ne è anticipatrice: il fiore della stagione dell’amore va in fumo e si trasforma in una nuvola portatrice di tempesta, e gli intrecci bianchi e neri (musica bianca e nera, con quest’ultima che attinge alle radici etniche africane), complementari ed armonici, fanno della musica di questo capolavoro ass

Pentangle

Appassionati di folk britannico, ma aperti alle influenze della musica americana (jazz, blues, canzoni popolari), i Pentangle sono stati fra i più seri e onesti sperimentatori degli anni '60. Il complesso si forma nel 1967 dall'unione di John Renbourn e Bert Jansch (due dei maggiori chitarristi folks-blues dell'isola). Discografia e Wikipedia

Jimi Hendrix a 50 anni dalla scomparsa

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di Roberto Zadik  Mezzo secolo fa morivano Jimi Hendrix e Janis Joplin e sull’Isola di Wight finiva l’era hippie. Cosa abbiamo perso, 50 anni fa, il 18 settembre 1970 con la scomparsa del geniale e tormentato James Marshall Hendrix, noto internazionalmente con il suo sfizioso nomignolo di Jimi? Come mai è stato così importante e speciale e chi si sarebbe mai aspettato che tre star come Hendrix, Joplin e Morrison se ne andassero quasi in fila, uno dopo l’altro e alla stessa età, quei 27 anni che segnarono la fine di altri grandi da Kurt Cobain a Amy Winehouse e che il delirante Festival dell’Isola di Wight, “fotocopia britannica” del ben più solenne Festival di Woodstock avvenuto sempre ad agosto ma l’anno prima sarebbe stata una delle ultime esibizioni sia di Hendrix che di Morrison, ormai stremati dai loro eccessi e dalle loro fragilità? Ora concentrandoci su Hendrix, ne avevo già scritto a febbraio in contemporanea con l’inizio dell’”incubo Covid 19” ma su questi geni non

The Microphones – Microphones In 2020 (2020)

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di And Back Crash Phil Elverum (all’anagrafe Elvrum, senza una “e”) è uno dei cantautori più rilevanti del primo decennio del 2000, quello in cui l’importanza della band è iniziata a venire meno per lasciar spazio alla creatività individuale, agevolata dai programmi per la manipolazione dei suoni. E questo è valido non tanto per la musica elettronica, da sempre legata all’evoluzione tecnica delle sue strumentazioni, quanto per il resto dell’universo rock. Gli spiriti dannati che imbracciavano – per necessità – una chitarra sguaiata, hanno regredito a spauriti nerd da cameretta, dediti a sculture sonore cesellate, sovraincise, riverberate, costruite nota per nota con pazienza di frate certosino. Con i suoi Microphones, Elverum ha dato alle stampe almeno due capolavori dell’indie-folk di inizio millennio, segnatamente “The Glow Pt. 2” (2001) e “Mount Eerie” (2003); e assorbito come nome il titolo di quest’ultimo lavoro, con il progetto Mount Eerie ha perfezionato la sua elegia

Fine anni ottanta: la rifondazione del rock

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Gli anni ottanta in linea di massima vengono ricordati come gli anni degli yuppies , di Reagan e della Thatcher , quelli della musica sintetica e prodotta in serie, dei vari duranduran ecc…ecc… Invece il decennio ha offerto moltissima musica, innumerevoli possibilità, grandi scenari e perfino qualche piccola rivoluzione.  Se l’immagine dominante è quella del decennio dell’apparenza, delle droghe veloci, dell’immagine che sostituisce la sostanza, al di sotto di tutto ciò gli ottanta hanno messo in scena una delle piccole grandi rivoluzioni del rock: la rifondazione. In realtà gli anni ottanta cominciano nel ’77 con l’esplosione del punk, su cui non mi dilungherò, se non per riconfermare quello che già sappiamo e cioè: punk=rottura. Il punk fece una sorta di tabula rasa nell’intero pianeta, ma è la musica che mise in evidenza il modo più veritiero. Per tutte le arti sensibili agli umori del presente, e per il rock in prima linea, si trattò di una vera frattura col passato. Dopo q

Peter Gabriel - So (1986)

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di Silvano Bottaro So è il quinto album solista di Peter Gabriel ed è il primo che porta il titolo di una sillaba, i primi quattro, infatti, hanno un numero progressivo: 1, 2, 3 e 4, mentre i prossimi porteranno il titolo di Us e Up. Non privo di successo, prima con i Genesis e poi come solista, è con questo album che Gabriel raggiunge il vertice della popolarità. Il suono moderno e i brani solidi grazie anche la maestria del co-produttore Daniel Lanois, portano il disco nelle classifiche mondiali. Brani come "Sledgehammer", "Red Rain", "Don't Give Up" con Kate Bush e "In Your Eyes" con Youssou N'Dour, fanno di questo disco degli anni Ottanta uno degli album più belli dell’intera produzione inglese di quegli anni. Peter il mastro-alchimista multiforme, non privo di coraggio, s’infila nei suoni più “rischiosi” dove la contaminazione fa da padrona. Sentimentale ed evocativo, So è la somma di ogni esperienza passata di Gabriel a cominci

Lost in Transmission No. 54

Ray LaMontagne - Monovision (2020)

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di Bruno Conti I primi quattro album di Ray LaMontagne, da Trouble del 2004 a God Willin’ & The Creek Don’t Rise del 2010, mi erano piaciuti moltissimo, e non solo a me, perché erano dischi veramente bellissimi e furono anche di grande successo, perché complessivamente avevano venduto quasi due milioni di copie solo negli Usa, gli ultimi due arrivando fino al 3° posto delle classifiche, tanto che Ray (dopo una vita in cui aveva girovagato dal nativo New Hampshire, poi nello Utah e nel Maine) si era potuto permettere di comprare una fattoria di 103 acri a Ashfield, Massachusetts, per oltre un milione di dollari, dove vive tuttora e ci ha costruito anche uno studio di registrazione casalingo. Brani in serie televisive, colonne sonore, VH1 Storytellers, un duetto con Lisa Hannigan nel disco Passenger del 2011, insomma lo volevano tutti: poi nel 2014 esce il disco Supernova, prodotto da Dan Auerbach, un disco dove il suono a tratti vira verso la psichedelia, un suono molto più “lav

Penguin Café Orchestra

Attiva dal 1974 nella natia Inghilterra, la Penguin Café Orchestra è un quartetto strumentale cui si uniscono saltuariamente musicisti di varia estrazione. La musica proposta dall'ensemble è volutamente antiquata, malinconica e nostalgica, i brani sono il più delle volte concise sintesi di musichette d'epoca. Discografia e Wikipedia

Lo spaziale “My Life in the Bush of Ghosts”

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L’album con cui Brian Eno e David Byrne spinsero avanti la musica Uno dei dischi più avventurosi, sperimentali, ma anche influenti, della storia. È un viaggio sonoro, per i tempi, da fantascienza. Ai comandi, David Byrne e Brian Eno, che dei Talking Heads è in quel momento il produttore: dopo aver abbellito i Roxy Music di soluzioni stravaganti e fascinose, Eno ha intrapreso un percorso di purezza sonora in quell’area che verrà denominata “ambient”, e ha collaborato con Jon Hassel in un album, “4th world/Possible Musics”, altro lavoro pionieristico nella fusione fra etnico e jazz/musica d’avanguardia. Con Byrne sta lavorando già da due anni sugli Heads spostando la direzione da una new wave intelligente e obliqua verso obiettivi molto più visionari. “Fear Of Music”, “I Zimbra” in particolare, è il primo, geniale, passo verso la fusione di Occidente e Africa. Il prodotto definitivo verrà alla luce un anno dopo, nel 1980, con Remain In Light. Questo album nasce lì in mezzo.

The Mavericks – En Espanol (2020)

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di Marco Verdi I Mavericks, che quest’anno festeggiano i trent’anni di carriera, si possono ormai considerare una delle band cardine del panorama musicale americano. Dopo aver raggiunto il successo negli anni novanta con dischi come What A Crying Shame, Music For All Occasions e Trampoline, il gruppo di Miami è stato sciolto dal leader Raul Malo che voleva perseguire una carriera come solista, una separazione che è durata ben quindici anni (a parte una reunion estemporanea nel 2003 con il peraltro incerto The Mavericks). Una volta riformatisi, i nostri sono riusciti disco dopo disco a tornare ai livelli di un tempo (specie con gli ultimi due lavori Brand New Day e Play The Hits, ed oggi sono giustamente considerati una di quelle band in grado di suonare qualsiasi cosa, che sia country, rock’n’roll, pop, swing, musica di stampo messicano o ballate romantiche alla Roy Orbison, grazie alla grande voce del leader ed alla bravura strumentale degli altri tre (Eddie Perez, chitarre, Jerry

La leggenda sulla morte di Robert Johnson

di Giovanni Gabbani L’intera vita di Robert Johnson è avvolta da quell’alone di leggenda tipico dei grandi artisti. Il personaggio è senza alcun dubbio una personalità estremamente interessante e che ha condizionato pesantemente il Blues. Viene infatti ritenuto il vero fondatore dello stile Delta Blues, tipologia di Blues Fusion nato nelle zone attorno al Mississippi. Eppure la sua morte, a soli 27 anni, ha fatto seguito a molteplici illazioni sulla sua vita e la sua in-naturale dipartita. Ma quale è la leggenda sulla morte di Robert Johnson? LA DISCUSSA MORTE DI ROBERT JOHNSON Netflix ha pubblicato da qualche mese un documentario sulla storia di Robert Johnson. Il film propone la versione più accreditata della morte del celebre bluesman. Pare che nel 1938 si stesse esibendo in un locale piuttosto celebre nella zona del Mississippi. Era noto anche che avesse una storia con la moglie del proprietario. La gelosia ha fatto il resto: venne data a Johnson una bottiglia di whisky

Peter Gabriel - Scratch my back (2010)

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di Silvano Bottaro E' noto che Peter Gabriel sia piuttosto parco nella produzione musicale, infatti l'ultima sua incisione risale a otto anni fa. Dopo quattro album intitolati con i numeri: 1, 2, 3 e 4 e altri tre con le sillabe: So, Us e Up, questo è il primo disco che ha un nome più comune: Scratch My Back che, non a caso, è un album di cover, quindi canzoni di altri musicisti. Gli stessi musicisti sono stati chiamati poi in causa per contraccambiare “il progetto" incidendo delle canzoni sue. Un album di cover fatto da Gabriel è però cosa diversa. I dodici brani presenti nel disco vengono completamente stravolti e arrangiati in maniera quasi irriconoscibile; pianoforte e archi sono il comun denominatore. Il disco che necessità di un ascolto non superficiale, fa però sentire subito la sua profondità. Ogni brano che Gabriel prende in considerazione viene sviscerato, scarnificato, pulito fino all’osso. Con attenzione ad ogni minimo particolare, ogni canzone vi

Lost in Transmission No.53

Joe Bonamassa – A New Day Now [20th Anniversary Edition] (2020)

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di Bruno Conti Nuovo ma vecchio, o se preferite vecchio ma nuovo: di solito invertendo i fattori il risultato non cambia, in questo caso non saprei. Come è noto Joe Bonamassa appartiene alla categoria “una ne pensa e cento ne fa”. In questi mesi di pandemia se ne è stato stranamente tranquillo nel suo quartier generale di Nerdville e da lì ha imperversato con video, interviste a colleghi e altri modi per passare il tempo; ovviamente non è stato con le mani in mano, ha pubblicato il primo album della sua band collaterale Sleep Eazys, lo strumentale Easy To Buy, e ha prodotto l’eccellente album collettivo di Dion Blues With Friends. Già che c’era ha iniziato anche a registrare agli Abbey Road Studios Royal Tea il suo nuovo album di studio, che dovrebbe essere pronto, uscita il 23 ottobre, sto già preprando la recensione; ma nel 2020 ricorre anche il 20° Anniversario dalla pubblicazione dei suo primo album solista A New Day Yesterday, quello che ha trasformato un giovane e prometten

E T I C H E T T E

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