Interpol – Marauder (2018)
di Cristina Palazzo Come un’impronta digitale, per quanto fedele sia lascerà sempre una traccia sbiadita, così gli Interpol rischiano di essere inimitabili. Soprattutto da loro stessi. Destinati a rincorrere una totalità che solo la freschezza impacciata di una band agli esordi, somma dell’insoddisfazione entusiasta di giovani rockstar e della novità di un genere ancora poco esplorato può regalare. Fu così per Turn On The Bright Lights, era il 20 agosto 2002. Non lo è oggi. Ma 16 anni dopo, con il sesto album Marauder, il trio indie-rock newyorkese dimostra di essere ben lontano dall’appendere la chitarra al chiodo. Anzi, di essere del tutto intenzionato a ripartire proprio da quel primo lavoro che resta, come è giusto che sia, irraggiungibile. Un disco di alti e di bassi, di strofe intense e di cori sussurrati, di tredici pezzi profondi e intensi, come The Rover, Complications o Stay in Touch, ma anche di sveltine, per valore o lunghezza che si perdono in un soffio come Inter