Valerie June – Owls, Omens, And Oracles (2025)
di Matteo Bossi
Si può ben dire che i titoli degli album di Valerie June siano già evocativi e dopo le sue “prescrizioni per sognatori” ecco questo nuovo “gufi, auspici e oracoli”, che richiama qualcosa di notturno e un po’ magico. Nei quattro anni intercorsi tra i due dischi, non è rimasta inattiva, anzi, oltre ad un EP di cover, Valerie June ha pubblicato ben tre libri, “Maps For The Modern World”, una raccolta di poesie e illustrazioni, “Somebody To Love”, un libro per bambini ispirato alla storia del suo banjolele ed infine una sorta di diario interattivo intitolato “Light Beams”.
Per “Owls, Omens & Oracles“ (Concord) si è avvalsa di un altro produttore, M. Ward, col quale aveva già avuto modo di collaborare quando questi aveva lavorato a “Livin’ On A High Note” di Mavis Staples, la June infatti era autrice della canzone titolo, “High Note”. Inoltre, si sono ritrovati sul palco di un paio di festival due anni addietro, ripromettendosi di realizzare un disco.
Ed eccolo qui, registrato in analogico in uno studio di Los Angeles, avvalendosi di musicisti quali Stephen Hodges, batterista per anni con Mavis, (e già con James Harman, Tom Waits e innumerevoli altri), Kaveh Restegar al basso, lo stesso Ward alle chitarre, Nate Walcott, sessionman molto richiesto, al piano, hammond, nonché responsabile degli arrangiamenti dei fiati. In alcuni brani compare appunto una sezione fiati e anche degli archi, mai troppo invasivi, ruota tutto attorno alla voce, sempre molto particolare di Valerie June, a volte raddoppiata ad aggiungere una stratificazione sonora interessante e una sottile malinconia.
Il tono dell’intero album è volutamente positivo, amore è una parola ricorrente, il suo è uno sguardo empatico e rassicurante, persino spirituale in senso lato, un antidoto, lo ha dichiarato lei stessa, al cinismo e allo sconforto che la realtà talvolta induce. La sua musica, come sa chi la segue da tempo, è una sintesi di vari elementi e generi, una scrittura che talvolta si fa eterea, ingenua, o per meglio dire genuina, come può esserlo una bambina in grado di dire in modo diretto, senza intellettualismi, delle cose profonde.
Pensiamo all’iniziale “Joy Joy!”, speranzosa come il titolo sottende, coi fiati e gli archi al suo servizio. O ancora a “Endless Tree”, in cui, rivolgendosi ai suoi ascoltatori, canta, “if you’re on the couch and you’re feeling alone, may you feel moved hearing this song”, un proposito cui, evidentemente, tiene molto. Un’esortazione a sè stessa (e agli altri) “Trust The Path”, ballad condotta soprattutto dal piano, mentre molto marcata dai fiati risulta “Love Me Any Ole Way”, l’episodio più R&B del disco, con un giro piuttosto classico. Riuscita anche “Change”, fin troppo breve, scandita nel finale dalle voci dei Blind Boys Of Alabama.
La seconda parte dell’album, il lato B dell’edizione in LP, è più riflessiva e intimista, ci sono due brani dove la strumentazione si assottiglia, in pratica alle chitarre di M. Ward e della stessa Valerie June, con l’effetto di un delicato minimalismo. Una semplice canzone d’amore, quasi un folk d’altri tempi, come “Sweet Things Just For You” vive di una bella melodia, beneficiando del controcanto della sua amica Norah Jones.
Potremmo definire disarmante nella sua naturalezza “I’m In Love” e d’altronde lo è pure la successiva “Calling My Spirit” solo per le voci intrecciate della June, che risuona antica, come proveniente da una chiesa di campagna nel natio Tennessee. Gioca anche con il country, con l’autobiografismo di “My Life Is A Country Song” con versi quali, “married at 19, divorce at 24, three jobs and still poor, have to trade a life of dreams for the simple little things”, l’unico brano in cui suona il banjo.
Chiude ancora con una luminosa ballad, “Love And Let Go”, con misurati, ma ancora molto centrati interventi dei fiati. La June resta un’artista difficilmente incasellabile in una categoria canonica, ed è forse questo aspetto a determinare parte del suo indubbio fascino; M. Ward ha saputo costruirle attorno un album dal suono organico in grado di rappresentarne appieno la personalità.
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