Steven Wilson – The Overview (2025)
di L'Azzeccagarbugli
The Overview è un’opera epica e concettuale di due tracce, in cui porto l’ascoltatore in un viaggio kubrickiano nell’oscurità dello spazio esterno mostrando l’umanità per ciò che realmente è – piccola, insignificante, resa minuscola da distanze cosmiche di miliardi di anni luce”
Con queste parole Steven Wilson introduce il suo ottavo album solista che si incentra interamente su quelle che sono le “impressioni” di un uomo, un astronauta o chicchessia che osserva la Terra dallo spazio e ne comprende la finitezza, così come i limiti della stessa umanità. E se ho deciso di aprire questo articolo citando apertamente l’aspetto concettuale di questo album del deus ex machina dei Porcupine Tree, del disco del suo “ritorno al prog” dopo due album sperimentali, di art pop/rock tanto coraggiosi quanto poco riusciti per chi scrive, è perché il tema dell’album è di cruciale importanza per la comprensione dell’opera nel suo complesso. Le due componenti, liriche e musicali, sono legate a doppio filo, così come è evidente che manchi una terza parte, quella visiva, realizzata per accompagnare le due sinfonie che occupano le altrettante facciate dal disco e che, sebbene proiettata nei cinema, per ragioni a me ignote non è presente su nessuna edizione.
Fatta questa introduzione, vi starete iniziando a chiedere il perché dell’immagine qui sopra di Nonno Simpson che grida alle nuvole. È presto detto: perché, per un album di questa portata anche solo “teorico/concettuale”, in cui, ribadisco, i testi contano quanto la musica e che è concepito per avere persino una parte visiva che è assente, ho letto giudizi (positivi e negativi, sia chiaro) talmente affrettati e sciatti da farmi cadere le braccia. Come avevo scritto parlando del nuovo Opeth, ci sono album che richiedono attenzione e tempo e di cui non si può parlare dopo pochi e magari distratti ascolti, se non per dare aria alla propria bocca. E dato che oramai la musica viene vista più come un sottofondo, o come un qualcosa da cui ottenere subito “un risultato piacevole” (e lo stesso discorso lo possiamo traslare alla percezione di massa che il cinema e le serie oggi devono avere: dire tutto e subito), mi sento sempre di più come un vecchio che grida alle nuvole.
E questo non perché The Overview sia un capolavoro, o un disco particolarmente innovativo, ma al di là dei giudizi – spoiler: è un gran bel disco – si tratta di un lavoro tanto personale, quanto ambizioso che non può essere liquidato con due stronzate e due nomi buttati lì, come ho visto fare, ed è l’antitesi di un disco da ascoltare come sottofondo, ma richiede attenzione e concentrazione.
Il che lo si intuisce ancor prima di mettere il disco sul piatto, perché si tratta di un lavoro che ha avuto una gestazione molto laboriosa, partito da un’idea semplice – quella descritta sopra – quasi istintiva e che, però, poi, si è sviluppata in un contesto tanto musicale quanto lirico piuttosto complesso. Sotto il primo profilo abbiamo una prima composizione, Objects Outlive Us di ventitré minuti divisa in otto movimenti, più classicamente progressive, ma al di là dei riferimenti – i Pink Floyd di Animals che si uniscono ai Jethro Tull di Thick as a Brick in versione meno barocca, unitamente ad alcune cose di Hand.Cannot.Erase dello stesso Wilson – il tutto viene filtrato attraverso suoni estremamente contemporanei. Un’unione tra passato e futuro estremamente convincente nella sua impostazione, con momenti dilatati e “spaziali” che si alternano a sezioni più melodiche e vicine canzoni autonome, ad altre più sperimentali. In queste spicca in particolare Objects: Meanwhile, capolavoro dell’album, impreziosita dai testi di uno dei più grandi autori di sempre, Andy Partridge degli XTC, che tratteggia dei perfetti quadretti di “quotidianità” che fanno emergere la loro insignificanza, nel contesto dell’universo.
La seconda traccia omonima, di diciotto minuti divisi in sei sezioni, è invece molto più sperimentale, soprattutto nella prima parte, in cui sembra di sentire i Pink Floyd di On the Run flirtare, in un paradosso spaziotemporale, con elettronica in stile Warp in un contesto molto “spaziale”, reso ancor più evidente da testi che fanno da ideale controcampo a quelle del primo brano: se in quel caso abbiamo uno sguardo dallo spazio sulla Terra, il secondo si concentra sulla visuale sull’universo e il suo essere senza confini. Un pezzo sperimentale che, nella sua parte centrale, sfocia in una splendida sezione melodica vicina ai Porcupine Tree di Signify, per poi ripiombare nuovamente in un viaggio più dilatato verso Giove e oltre l’infinito.
Non tutti i passaggi sono sempre a fuoco, in alcuni momenti si sente l’assenza della componente visiva, soprattutto nella seconda parte dell’album, ma dopo qualche ascolto e dopo aver compreso quanto i testi si fondano alla perfezione con la musica e con il suono (a dir poco perfetto), The Overview si rivela essere una delle opere più interessanti di Steven Wilson.
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