Spencer Thomas - The Joke of Life (2024)

 di Fabio Cerbone 

Athens, Georgia non si smentisce neppure questa volta, città musicale accogliente e “alternativa” per eccellenza del rock americano, luogo ideale per far maturare talenti in cerca di identità. È ciò che è accaduto anche a Spencer Thomas, giunto qui nel 2020 dalla sua Jackson, Mississippi, dopo un girovagare incerto che dalle iniziali avvisaglie soliste (Hanging Tough l’esordio del 2019, in precedenza batterista e autore per la band locale Young Valley) lo ha trascinato per mezza America prima che la pandemia bloccasse tour e “carriera”.

Ci sono voluti tre anni per mettere insieme i pezzi del puzzle, solo dieci canzoni in tutto, ma non c’è una tessera fuori posto in questo The Joke of Life, dove tira aria di rock d’autore settantesco, lì dove ballate da grandeur pianistica si incontrano con visioni elettriche urbane, dove una scrittura pop raffinata si spalleggia con un atteggiamento più irriverente e sopratutto dove un songwriting dallo sguardo ironico sulle intemperie della vita si traduce in canzoni intelligenti, curate nei dettagli sonori, evocando qualche nume tutelare ma senza mai scadere in una replica senz’anima. Thomas riesce nel piccolo miracolo chiamando in studio uno stuolo di musicisti non indifferenti, tutti figli di Athens e dintorni, membri di My Morning Jacket, Drive-By Truckers, e di quei Futurebirds, piccola sensazione cittadina con quattro dischi di studio e svariati ep e live all’attivo, dei quali lo stesso Spencer fa parte in qualità di tastierista.

Il protagonosta mena le danze, suonando di tutto e di più, gli altri lasciano il loro gettone di presenza quando serve, soprattutto nella sezione ritmica, in qualche chitarra assortista, pedal steel e violino, oppure un sax, quello di Carl Broemel (My Morning Jacket) che colora di pioggia e strade bagnate l’apertura della stessa Joke of Life, biglietto da visita invidiabile che detta l’umore dell’album, nostalgia e colpi bassi della vita che Spencer Thomas ribalta con un sorriso e un’alzata di spalle. Da qualche parte Billy Joel gradisce, siamo pronti a scommetterci, e con lui potremmo scomodare lo spirito di Warren Zevon, specialmente quando il gioco si fa più spietato in Desperate Man, un titolo che gli sarebbe piaciuto senz’altro, mentre qualche chitarra più imbizzarita (Lars Hefner) prende al gancio tutta la band, oppure ancora Randy Newman, quando si alza quell’aria da West Coast adulta e agrodolce in Fake Rain, una della ballate più riuscite dell’intero repertorio e tra le migliori intepretazioni vocali di Thomas.

Perché il nostro ragazzo possiede anche la voce giusta, e quando non indovina per forza la melodia vincente o esagera un poco con l’enfasi (ma non è certamente il caso dei profumi americana che accarezzano Little Gold, della maestosità rock sinfonica di Unwanted Son o delle irresistibili leziosità pop di una Misty Eyes che chiude la scaletta con il santino di Paul McCartney posato sul banco del mixer), riesce comunque a trasi d’impaccio con sufficienti idee e stratificazioni sonore da tenere alta l’attenzione: Always Never You è pop sofisticato e leggero al tempo stesso, l’acustica (solo chitarra e sintetizzatore) Dream Lilac svela il cuore del songwriter e How Come Heartbreak esattamente il polo opposto, sfarzo pop rock con falsetto, piano e sax che ritornano alla New York di Billy Joel.

Resta da dire soltanto di Woman Who Smokes Cigars, canzone che fa storia a sé nella sua semplice bellezza pop che si colora di sensibilità soul, raccontando di una notte alcolica a Decatur (in Georgia? Vai a saperlo...) in cerca di un fugace incontro d’amore che faccia dimenticare l’altra. Se, come ha dichiarato, la musica è per Spencer Thomas soprattutto “un modo per difendere se stesso”, con The Joke of Life è riuscito benissimo a restituirne tutta la forza e il gesto.

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