T Bone Burnett - The Other Side (2024)

di Antonio Vivaldi

The Other Side segna il ritorno di T Bone Burnett alla carriera solista.

Ci si era quasi scordati che T Bone Burnett è anche un artista in proprio. Questo perché altri sono i mestieri musicali che gli hanno dato lavoro e notorietà. Nel suo curriculum di produttore figurano, ad esempio, i nomi di Roy Orbison, Elton John & Leon Russell, Steve Earle, John Mellencamp, Elvis Costello, Los Lobos, Robert Plant & Alison Krauss. Sempre ad esempio è stato lui a immaginare e poi assemblare la strepitosa colonna sonora roots di O Brother, Where Art Thou? e a scrivere le musiche per le prime tre stagioni della serie True Detective. E ci sarebbe molto altro da ricordare, inclusi gli anni giovanili nella Rolling Thunder Revue dylaniana e lo spin-off chiamato Alpha Band. Infine si può segnalare la collaborazione a Black Cat di Zucchero Sugar Fornaciari (e chi sa se qualcuno ha detto al pio T Bone che Zucchero una volta cantava “io sento il diavolo in me”).

In un tale tourbillon di grandi nomi il Burnett ben pagato tuttofare ha lasciato sempre meno spazio a quello solista, ricco quasi solo di buone recensioni. Le opere migliori sono ormai lontane nel tempo – Truth Decay (1980), Proof Through The Night (1983) e The Criminal Under My Own Hat (1992) – mentre questo secolo ha lasciato tracce rade e più sfuocate. All’inizio di questo decennio Burnett ha dato vita, insieme agli improbabilmente nominati Jay Bellerose e Keefus Ciancia, al progetto in tre parti The Invisible Light. Le prime due puntate (assai ponderose) sono già uscite dopodiché, con la terza già in lavorazione, è successo qualcosa…
La curiosa, quasi magica genesi di The Other Side

È successo che T Bone (vero nome Henry) è entrato in possesso di una chitarra acustica a quanto pare dotata di magici poteri ispirativi, sulla quale ha scritto in breve tempo canzoni che ha percepito come molto personali e che con le atmosfere della Luce Invisibile nulla c’entravano. È nato così The Other Side, ovvero il primo disco a nome T-Bone Burnett dopo tantissimi anni, presentato come un concept album che racconta il viaggio di una “mysterious couple”.


Sono 12 pezzi acustici che si muovono fra folk, blues e country secondo modalità austere, sommesse e tuttavia caratterizzate da una forte tensione interna. Potrebbe essere una dimensione roots fin troppo classica, ma la particolarità del disco sta nel senso di sospensione che aleggia su tutti i 40 minuti di musica. Siamo in uno spazio un po’ reale un po’ immaginario – che potrebbe essere tutta la società contemporanea – dove un moderno messia finisce male già al primo pezzo (He Came Down), dove “tutti vogliono la pace ma nessuno vuole arrendersi” (Everything And Nothing) e dove la nostra coppia misteriosa vive un amore poco misteriosamente difficile (uno dei titoli è Love Is Pain).

Compagni d’ispirazione e sodali artistici di T-Bone Burnett

Per i più attempati si potrebbero citare come termini di riferimento il Bob Dylan di Blood On The Tracks (o anche di Pat Garrett & Billy The Kid), il Leonard Cohen di Songs From A Room, il Lee Hazlewood di Trouble Is A Lonesome Town e, a far da contorno, il Ry Cooder da colonna sonora desertica. Segnalate le aeree armonie vocali delle Lucius in cinque pezzi, il duetto con Rosanne Cash in (I’m Gonna Get Over This) Some Day e la partecipazione di Weyes Blood a Sometimes I Wonder, l’elemento più importante è un altro: almeno metà delle canzoni affascina e intriga al primo ascolto, mentre le altre arrivano dopo ma comunque arrivano. E tutte sono ricche di dettagli e piccoli tocchi geniali.

Certo che se bastasse una certa chitarra per fare dischi così belli, l’intelligenza artificiale avrebbe una seria concorrente.

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