Bodega - Our Brand Could Be Yr Life (2024)
di Lorenzo Montefreddo
What is the difference between an artist and an advertiser?
(“Bodega Bait”)
Quanto un artista è spinto da reale urgenza creativa o quanto è solamente un pubblicitario che vuole vendere i suoi prodotti? Nella loro ultima uscita, “Our Brand Could Be Yr Life”, parafrasando il libro sull’underground americano degli anni 90 “Our Band Could Be Your Life”, i Bodega osano porsi questo interrogativo. E lo fanno ricorrendo a un’operazione abbastanza inusuale: scelgono di fare un ritorno al loro passato con il ripescaggio dei brani scritti nel disco pre-esordio, quando avevano ancora come ragione sociale Bodega Bay.
In questa sorta di prequel dell’esperienza Bodega, la band di New York rivede, riarrangia tutto il materiale, riscrivendo anche alcune parti per riproporlo in una nuova veste che sfrutta tutte le competenze acquisite in questi anni di attività.
Già l’arrembante open track “Dedicated To The Dedicated” è una chiara dichiarazione di intenti, piena di cambi di direzioni e con un orgoglioso refrain.
I donʼt know who Iʼll be I will sing my song no matter what you think of me.
Rispetto alle produzioni precedenti, curate da Austin Brown dei Parquet Courts, la band newyorkese decide di agire in autonomia, e si nota subito una maggiore attenzione alla melodia, ai cambi tonali e, come dichiara il leader e cantante Ben Hozie, c’è voglia di andare oltre allo stile minimal post-punk.
“Tarkovski”, il singolo di lancio, rappresenta bene il nuovo corso della band: inizio con riff affilato e ripetitivo, seguito da un ritornello a presa rapida che si liquefa in una digressione psichedelica per calarci meglio nella zona di “Stalker”, film del celebre regista russo.
Si conferma anche una certa devozione alle atmosfere anni Novanta: “Major Amberson” non sfigurerebbe in “Automatic For The People” e “Stain Gaze” sembra uscire dalla penna dei Pixies più ispirati, mentre “Cultural Consumer I” ha l’andamento caracollante dei Pavement.
Molto convincenti i momenti più introspettivi, quando tra gli arpeggi morbidi di "Webster Hall" e nel ruvido college rock di “Bodega Bait” mettono in gioco il loro ruolo di rocker nell’epoca contemporanea tra convezioni e cliché.
Nel trittico “Cultural Consumer I, II, III” la penna feroce dei Bodega non risparmia neanche il fruitore culturale, considerato puro consumatore oppresso dall’offerta massiccia e vittima di meccanismi indotti, piuttosto che mosso da un'autentica spinta di conoscenza.
Non manca il dance post-punk alla Lcd Soundsystem che, caratterizzato dalla voce squillante della cantante Nikki Belfiglio, spunta tra i bassi istinti solleticati dalla pornografia online di “G.N.D. Deity” o nel tribalismo di “Atm”, in cui il bancomat, raffigurato anche nella cover, viene santificato ed eletto a simbolo del neocapitalismo.
Forse, perché legato al pre-esordio della band, in cui non aveva ancora bene a fuoco la direzione da seguire, "Our Brand Could Be Yr Life" si rivela una buona playlist, anche se meno compatta dei precedenti album a livello sonoro.
Comunque, il messaggio sembra chiaro: i Bodega vogliono uscire dalla gabbia del revival post-punk e smarcarsi dall’etichetta di essere una delle tante band emergenti newyorkesi. Sarà una mossa di mercato o puro slancio creativo?
Fonte originale dell'articollo
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