William Elliott Whitmore - Silently, The Mind Breaks (2024)
di Stefano De Stefano
Silently, The Mind Breaks è un album tanto rurale, spoglio, bucolico quanto solido nella scrittura. Il nuovo lavoro di William Elliott Whitmore, il nono nella sua carriera senza considerare due auto produzioni nei primi anni, torna a raccontare ancora una volta storie di un’America disillusa e disincantata, da zaino in spalla alla ricerca di verità e risposte in un mondo che segue leggi e dinamiche strane, storte, contraddittorie.
Tematiche cupe ed esistenziali raccontate senza fronzoli: nulla di nuovo se pensiamo a un certo filone di scarno e polveroso storytelling da canzoniere a stelle e strisce, eppure suona così confortante il senso di pacata accettazione e di rifugio nei rapporti umani che sgorga dall’ascolto di queste 10 canzoni.
Ancora più radicato nelle traditional roots di un Christopher Paul Stelling, di prossima uscita anche lui, William Elliott Whitmore confeziona un album essenziale, che va dritto al sodo arricchendosi ogni tanto del basso di Ryan Bernemann, della voce di Pete Biasi, dei suoni elettrici di Patrick Mc Partland e delle armonie vocali di Nicole Upchurch (come nel fantastico duetto country di Bunker Built For Two che dipinge surreali visioni apocalittiche spirito di questi tempi); per il resto è il collaudato utilizzo di chitarre acustiche, banjo e grancassa tracciare un ascolto guidato dalla voce profonda del troubadour dello Iowa.
Spiccano nell’album il brani Has To Be That Way, il cui ruspante incedere circolare sembra voglia sconfinare nei territori del rhythm’n’blues, Darkness Comes e la conclusiva A Golden Door To An Empty Place, per il loro arrangiamento più sontuoso che le discosta dal resto del lavoro, così come I Can Relate e Adaptation and Survival in cui l’artista mette in mostra rispettivamente un finger style preciso e incisivo e la classica attitudine da one man band munito di chitarra e kick.
In poco più di mezz’ora l’artista riesce a concentrare una poetica dolce amara che non fatica ad insinuarsi sia nelle orecchie che nell’anima. Insomma, siamo tutti sulla stessa barca e non tira una buona aria in generale, ma se la salvezza esiste sarà nella connessione con gli altri.
Un messaggio così semplice da non passare purtroppo mai di moda: ed è qui l’amaro e grottesco talento di William Elliott Whitmore.
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