Taylor McCall - Mellow War (2024)

 di Fabio Cerbone 

Una voce che è uno squarcio nei cieli dell’Americana, Taylor McCall al secondo album in carriera centra in pieno il bersaglio, offrendo un disco di dense ballate dove country, rock, gospel e riverberi sudisti si coalizzano per raccontare una storia ispirata dalle sue radici famigliari. In copertina, infatti, è ritratto il nonno di Taylor, colto in uno scatto di molti anni fa, durante la guerra del Vietnam. Alla figura di quest’uomo è ispirato in qualche modo l’intero ciclo di canzoni di Mellow War, a partire dal brano omonimo, che è stato la scintilla che ha dato il via all’intera costruzione del disco. Un legame di vita e di valori che Taylor McCall aveva già ribadito nel suo precedente lavoro, quel Black Powder Soul che aveva contribuito a segnalare questo giovane songwriter - originario di Greenville, South Carolina e trasferitosi nella natura selvaggia del Montana per inseguire le sue passioni per la pesca e l’escursionismo - sull’estesa mappa dei talenti dell’attuale scena roots d’autore.

Se quell’album esprimeva un suono un po’ gotico e intriso di riferimenti a Johnny Cash e a certo suono outlaw ed elettrico, Mellow War sembra un affare molto più spirituale, nel quale contano i silenzi, i rintocchi acustici della chitarra del protagonista, ma anche le ambientazioni swamp e il controcanto soul che il produttore Sean McConnell e i musicisti incontrati a Nashville hanno saputo offrire al protagonista. Resta infine da parlare di quella voce, non esattamente un dettaglio, che Taylor McCall riesce ad esaltare proprio immersa nelle cadenze risonanti di queste ballate, introdotte dalle note distanti di una Sinking Sand che pare captata per caso tra le scariche statiche alla radio e poi liberate dalla forza della stessa Mellow War.

Il calore dell’incisione e l’intensità dell’interprete sono gettate in primo piano, sfruttando al massimo la potenza con il minimo indispensabile degli arrangiamenti: una chitarra, un accenno del pianoforte o dell’organo, i cori che sorreggono e innalzano la melodia, come accade in Rest on Easy, altro episodio che Taylor McCall ha immaginato come lettera spedita dal fronte, evocazione di chi non è più tornato a casa da una qualsiasi delle maledette guerre che si sono succedute nel tempo. Storia che si ripete ed è facile soprattutto associare a chi, come McCall, arriva da quella provincia che ha dato molto e ricevuto ben poco in cambio dal suo paese, finendo per cercare conforto e annullarsi nelle “cure” di qualche additivo, dal racconto acustico e struggente di una Rolling Stoned Again che ricorda l’intensità di certo Chris Stapleton, all’enfasi dark blues di Whiskey Costs Less, la traccia più “esplosiva” nel sound insieme a una Hard to Love You gonfiata dagli archi e dalla sua anima soul settantesca.

Su queste dinamiche è costruito tutto il coinvolgimento sentimentale e tematico di Mellow War, album che sa di racconto country bagnato nelle acque benedette della southern music e del gospel, così come si manifestano in Star of the Morning e Angel Falling Down, oppure in una Tide of Love attraversata da fremiti swamp che mettono insieme il tremolo della chitarra di Pop Staples con le paludi di Tony Joe White, mentre Born Again divaga con la sua chitarra acustica sui sentieri dei Grateful Dead più bucolici e You To Blame si permette di dare il benservito al romanzo famigliare di Taylor McCall con un capitolo finale che si appoggia all’indifesa delicatezza di voce e chitarra acustica, avvolti in un lenzuolo di archi. La prima grande rivelazione Americana di questo 2024.

Fonte originale dell'articolo

Commenti

E T I C H E T T E

Mostra di più