The Smile - Wall of Eyes (2024)

di Giovanni Davoli

Mentre il grosso di “A Light for Attracting Attention” si basava su sketches lavorati a due da Greenwood e Skinner, combinati con canzoni che da tempo sedevano nel cassetto di Yorke, “Wall of Eyes” alza l’asticella. Questa seconda prova dei The Smile gode del vantaggio di un lavoro a tre fin dall’inizio. Skinner sembra – attenzione: solo sembra – fare un passo indietro. Il disco non si basa sul beat, ma sull’atmosfera. E sul contributo preponderante, in metà delle tracce, della London Contemporary Orchestra. La voce di Yorke è a tratti irriconoscibile, matura, capace di interpretare se stesso, piuttosto che un qualunque cantante pop o r&b. Non c’è il solito Nigel Goldrich in produzione e chissà perché. Ma fosse solo per dimostrare che Greenwood e Yorke non ne hanno bisogno, andrebbe bene così.

Ci sono tracce che stregano letteralmente fin da un primo ascolto.
Capolavori istantanei come Teleharmonic e a Friend of a Friend. Quest’ultima evoca i migliori Beatles, quelli sperimentali. A Day in the Life non sono io il primo a tirarla in ballo, fosse solo per quel crescendo orchestrale. Il punto tuttavia è che qui si va oltre, si fa meglio dei Beatles e di tutto il brit-pop che ne ha conseguito. The Smile trascendono certe gloriose tradizioni, le trasfigurano e le rivedono per orecchie mature.

Ci sono poi tracce che si lasciano ascoltare in profondità, oppure potrebbero andare bene anche solo come mormorio di sottofondo: parlo di Wall of Eyes, I Quit, Bending Hectic, You Know Me!. E poi ci sono i riff spigolosi di Greenwood. In Read the Room e Under Our Pillows, Skinner non gli va a rimorchio come usava da jazzista nel primo disco, non si sovrappone, ma si limita a creare una base motorik e il risultato ricorda i Can. Manca certa grinta post-punk che appariva in alcuni episodi di “A Light for Attracting Attention”, ma non se ne sente la mancanza.

“Wall of Eyes” è un disco che cattura immediatamente e del quale non ci libereremo facilmente. Un disco che, ancora una volta, come da trent’anni a questa parte, lascia strabiliati, mentre inserisci la funzione “repeat” all’infinito nel tuo streamer e passi ripetutamente da un ascolto attento a uno distratto, senza che vi sia un vero motivo per l’uno o per l’altro.

Che The Smile non fossero semplicemente uno spin-off dei Radiohead era chiaro già da un po’. Quel che ancora non sapevamo, è che si tratta della band più importante di questi anni ’20. “Wall of Eyes” attinge da suoni e suggestioni che vanno indietro anche una cinquantina d’anni e più, riportando il tutto a una somma. Quel tutto che è composto da una serie di elementi tra cui gli stessi Radiohead, certo. Che già da soli sarebbe tanta roba. E non è che The Smile abbiano inglobato il progetto originario. Lo sfiorano. Lo accarezzano. Lo completano, forse. Ma rimangono una cosa distinta.

In generale, The Smile non inventano nulla di nuovo, se non la somma del tutto che dà un risultato senza precedenti.

Commenti

E T I C H E T T E

Mostra di più