Sprints - Letter To Self (2024)

di Fabio Gallato

Il nome di una band spesso suggerisce la sua direzione sonora, e nel caso degli Sprints, che arrivano da quella Dublino che da qualche tempo è città di fuoco e fiamme musicali, ciò è particolarmente vero. Nella gran parte delle tracce del loro album di debutto “Letter to Self” si viaggia infatti a velocità sostenuta, con il piede sull’acceleratore e il cuore in gola, quello che la cantante Karla Chubb sputa fuori a più riprese dimostrando di saper cavalcare un’onda che disarcionerebbe molti tra i più esperti.

Attenzione, però: se non per comodità didascalica, non si tratta dell’onda decadente del nuovo post-punk che i concittadini Fontaines D.C. hanno ben contribuito ad ingrossare. Gli Sprints si aggrappano a melodie e sonorità diverse, che vanno dalle Savages – è bello notare come l’influenza della band di Jehnny Beth sia sempre più preponderante nelle nuove leve, prendete le Gènn, altre su cui contare – ai Refused, fino agli Strokes, ai Pixies, a PJ Harvey e alle Hole. Proprio della bistrattata band di Courtney Love, e per pura genealogia pure ai Blondie, gli irlandesi prendono la non scontata dote di saper coniugare energia e accessibilità, emozione e orecchiabilità, punk e pop, il tutto restando sempre credibili e potenti (e per questo è da citare la produzione di Daniel Fox dei Gilla Band, che non fa giustamente nulla per limitare la foga e l’urgenza della band).

Ed è proprio questa la forza di un disco catartico fin dal suo titolo, all’interno del quale, se vogliamo trovare un fil rouge compositivo, gli Sprints procedono in ogni brano a costruire tensione, spesso in modo silenzioso e avvincente, per poi lacerarla con deflagrazioni sonore che sanno di liberazione: brani come A Wreck (a Mess), Literary Mind o Shadow of a Doubt sono abrasive e appiccicose, un’attitudine che nel rock odierno si fatica a riscontrare, mentre Shaking Their Hands e la successiva Adore Adore Adore sanno di un indie rock di scuola Sonic Youth, che nell’anno del Signore 2024 pensavamo di poter sentire solo affidandoci ai soliti noti (a tal proposito, tra poco esce il nuovo delle Sleater Kinney e il terreno sui cui si gioca è quello).

Con un disco d’esordio che non può passare inosservato, gli Sprints si presentano come maestri nel trasformare tematiche oscure in anthem rock che un tempo avremmo potuto definire radiofonici. Se vi mancava una proposta del genere, “Letter to Self” fa decisamente al caso vostro.

Commenti

E T I C H E T T E

Mostra di più