Amplifier - Amplifier (2005)

Le scelte di Ottobre saranno legate ad un esperienza personale, cioè a gruppi che io ho scoperto durante un viaggio. Quello di oggi ha una storia davvero particolare. La folgorazione avvenne una sera di luglio in Scozia, in una delle infinite manifestazioni culturali legate all’Edinburgh International Festival. Tre ragazzi preparano su un piccolo palco batteria, basso e chitarra, con una pedaliera per la stessa mai vista così complicata e ricca, e si presentano:”Siamo gli Amplifier, e veniamo da Manchester”. E attaccano a suonare con tale potenza e tecnica che ne rimasi scioccato, quasi non credendo che quella potenza musicale fosse opera solo di tre ragazzi. Sel Balamir (chitarra e canto), Neil Mahony (basso) e Matt Brobin (batteria) formano il gruppo verso la fine degli anni ‘90 a Manchester, quando è finita la scia del Madchester sound che portò alla fama gli Stone Roses e i Charlatans, tra gli altri. Iniziano a suonare insieme alla fine degli anni ‘90, quando uno loro demo arriva ad un talent scout della etichetta discografica Music For Nations, che ne rimane impressionato: vanno in tour come band apripista dei Deftones e le loro esibizioni non passano certo inosservate. Anche perchè suonano dannatamente bene un torbido hard rock venato di progressive, una sorta di incrocio pericoloso tra Mc5, Soundgarden e Tool, che proprio in quegli anni stanno iniziando a riscuotere il meritato successo alle proprie straordinarie capacità musicali. Ne esce fuori una musica potentissima, dominata dalla maestria tecnica di Brobin, in certe canzoni davvero torrenziale e dagli infiniti effetti della chitarra di Balamir, che racconta nei testi il disagio delle periferie e i ricordi adolescenziali senza però mai sfociare nel melodramma. Amplifier, loro primo e omonimo album,esce nel 2004 ed è subito considerato un piccolo capolavoro dalla stampa musicale alternativa (disco dell’anno per Kerrang! e tra i migliori dell’anno per il New Musical Express) tanto che il disco viene ripubblicato in digipack nel 2005 con un secondo disco di brani, tra cui Glory Electricity, il loro primo brano in assoluto scritto come band. I 10 brani del disco principale hanno una struttura definita dai duelli stellari tra la linea ritmica basso-batteria e la chitarra di Balimir, che esplode in un campionario incredibile di effetti (distorsioni, wah-wah, feedback e altre cosine) negli 8 minuti di Airborne e nella sua cavalcata finale (che inizia dai 6 minuti ed è davvero portentosa, mettendo in musica l’intento del ritornello del brano “it’s time to fly”). Motorhead ne è una sorta di fratello, epico con altro finale pirotecnico, e sulla stessa linea di hard rock degli anni 2000 sono anche Panzer e The Consultancy, granitiche ed elettriche. Post Acid Youth è melodica ed elettrica, e ha un intento decisamente politico (Do you feel empty now\ Inside the fascist city? (...) Do you feel pleasure now\Inside the fascist body?); Old Movies si delinea come una ballata con venature progressive. La band dedica un gruppo di brani all’adolescenza delle periferie mancuniane: On\Off è un inno alla gioventù, come la bellissima One Great Summer (ricordi di ragazzi che cantavano “we’re unbreakable now”) e in Ufos. Nella versione di Amplifier che ho io, l’Ep con 4 brani vira decisamente su un suono figlio del grunge e i brani sono molto più “cantati” degli altri (mi piace molto Boomtime e la già citata Glory Electricity). C’erano tutte le promesse perchè divenissero seguitissimi, soprattutto per le decisamente elevate qualità musicali e strumentali: gli Amplifier hanno continuato con un seguito molto appassionato ma piuttosto esiguo, sfornando tuttavia almeno altri due grandi album (Eternity del 2008 e The Octopus del 2010, quest’ultimo, che posseggo, molto più progressive, alla Dream Theater). Rimangono una band dal potenziale grandissimo e uno dei piccoli misteri del successo musicale, che ha strade e percorsi insondabili e inaspettati. 

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