Storia della musica #45
Industrial Metal
Il movimento baggy non è l’unico a celebrare, a fine anni ’80, l’improbabile matrimonio tra rock ed elettronica: nel 1988, anno della Summer Of Love di Manchester, esce “The Land Of Rape And Honey”, disco destinato a coniare un suono nuovo che prenderà presto il nome di industrial metal. A firmarlo sono i Ministry, gruppo di Chicago che fonde le ritmiche marziali e i suoni concreti dei Cabaret Voltaire e li sposa a riff chitarristici e ad un cantato di scuola metal: l’esperimento funziona, i due generi si alimentano delle rispettive psicosi soniche e il risultato è, se possibile, ancor più lugubre e minaccioso della somma delle parti.
Non sono però i Ministry a portare l’ibrido al successo di pubblico, bensì Trent Reznor, titolare della (quasi) one-man band Nine Inch Nails, all’esordio nel 1989 con “Pretty Hate Machine”: il disco viene ignorato alla sua uscita, ma nel giro di qualche anno diventa fenomeno di culto e quando nel 1994 esce the “Downward Spiral” il fenomeno esplode anche a livello commerciale. Se la voce si sparge così in fretta e così massicciamente il merito va assegnato alla lettura straordinaria del genere fatta da Reznor: senza rinunciare alle asperità sonore che sono alla base dell’industriale, anzi, esasperandone le distorsioni e la brutalità, egli riesce a creare un suono travolgente, che fonde il tiro ritmico della techno hardcore con una vena melodica irresistibile, che gioca sul contrasto, inserendo brevi momenti di quiete all’interno del maelstrom di rumore che anima i dischi.
L’influenza di questi dischi sul metal (e non solo) sarà enorme: Neurosis, Marilyn Manson, Fear Factory, Godflesh, Orgy, Coal Chamber sono solo alcuni dei gruppi che durante gli anni ’90 prendono le mosse dalle intuizioni musicali di Ministry e Nine Inch Nails. Diversissima è comunque la rilettura di quei suoni che viene data dai gruppi di cui sopra: quello dei Neurosis, all’esordio nel 1992 con “Souls At Zero”, è un industrial applicato al death metal più intransigente ed ostico, che raggiunge il suo apice con “Through Silver in Blood” (1996); altra fusione di death metal ed industriale è quella coniata dai Fear Factory, all’esordio nel 1992 con “Soul Of A New Machine”. Opposto è il percorso artistico di Marilyn Manson, all’esordio proprio per la label Nothing di Reznor nel 1994 con “Portrait of an American Family”: ben presto, fondendo le intuizioni sceniche di Bowie ed Alice Cooper, Manson creerà un glam metal spruzzato di industriale, basando in gran parte le sue fortune su una fortunata (dal punto di vista commerciale) miscela di satanismo ed ambiguità sessuale che trionfano nel disco del 1998 “Mechanical Animals”.
Un discorso a parte meritano pure i Coal Chamber, all’esordio omonimo nel 1997, cui segue nel 1999 l’ottimo “Chamber Music”, gruppo dalle sonorità molto vicine ai Korn e a quel nu-metal che sarà centrale per lo sviluppo del metal cosiddetto alternativo di fine anni ’90 e che nasce dall’ennesima, azzardata fusione: quella tra metal ed hip hop. Se ne riparlerà tra poco…
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