Rose City Band - Garden Party (2023)

 di Maria Macchia 

Quali sono gli ingredienti necessari per la riuscita di una festa in giardino? Sicuramente una bella giornata di sole, dalla temperatura mite; cibi gustosi e bevande fresche, per rifocillarsi; qualche libro o gioco di società per rilassarsi; indispensabile, poi, tanta voglia di divertirsi e, last but not least, della buona musica di sottofondo, meglio se suonata dal vivo. Perché, allora, non invitare un ensemble di musicisti americani di talento per intrattenere i nostri ospiti con canzoni che allarghino gli orizzonti ed espandano la coscienza? Se saranno brillanti quanto promettenti, magari essi sapranno trasformare il nostro “garden party” in un’esperienza psichedelica. Così un arcobaleno multicolore farà da spartiacque tra un azzurro cielo terso e una volta stellata; un limpido ruscello garantirà un po’ di freschezza; sullo sfondo, poi, si intravvederà qualche rilievo montuoso, sorvolato da una colomba che assicura serenità agli animi…

Ma siamo sicuri che questo sia un giardino come tutti gli altri? Come mai in mezzo al prato una rosa vermiglia assomiglia al simbolo dei Rosacroce? Quei funghetti bianchi e rossi saranno commestibili o velenosi? E la botola che sembra aprirsi proprio davanti a noi, dove condurrà? Che si tratti un varco spazio-temporale verso il Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll o la Nowhere Land di beatlesiana memoria? Se la copertina di “Garden Party” della Rose City Band ha evocato questo fantasioso scenario e ci ha condotto alle soglie di un mondo sospeso tra sogno e realtà, in cui i colori sono più vividi e sgargianti, i profumi più intensi, le forme più avvolgenti e la natura ci incanta con il suo splendore come mai è accaduto prima, l’ascolto dell’album non può che amplificare al massimo queste sensazioni.

La band nasce per produrre “porch music”, musica da portico, vale a dire con l’intento di trasmettere la freschezza e la spontaneità di un gruppo di amici che si ritrovano sulla veranda di casa per un’improvvisata jam session. Il gruppo prende il nome dalla cittadina dell’Oregon dove il frontman Erik “Ripley” Johnson, originario della California, si è trasferito qualche anno fa, ed è il terzo ensemble da lui fondato. Con la sua prima formazione, i Wooden Shijps, l’eclettico musicista ha prodotto sette album, per poi dare vita con la moglie Sanae Yamada ai Moon Duo e realizzare, infine, quest’ultimo progetto musicale che si configura come “solista”. Denominatore comune della vasta produzione del chitarrista e cantante è la psichedelia, nelle sue varie sfumature e declinazioni, e anche tutti gli artwork dei suoi dischi, coloratissimi e visionari, sembrano quasi essere stati realizzati negli anni di Woodstock. Registrato in gran parte nello studio “Center for Sound, Light, and Color Therapy” di Portland e mixato da John McEntire, “Garden Party” vede la partecipazione degli amici del Moon Duo John Jeffrey alla batteria e la già citata Yamada ai sintetizzatori, così come di due strumentisti che accompagnano il gruppo nelle esibizioni live, vale a dire Barry Walker, virtuoso della pedal steel, e il tastierista Paul Hasenberg.

I brani nascono dal ruolo centrale rivestito da Johnson e dalla sua chitarra, spesso protagonista di suggestivi assoli, attorno al quale ruotano le sonorità peculiari degli altri musicisti, dalle eleganti linee della pedal steel ai groove dell’organo e del mellotron e all’energia della sezione ritmica. Si tratta di un autentico country-rock lisergico, che non soltanto evoca gli ampi spazi aperti del West, ma è davvero capace di trasportarci in un’altra dimensione. Le sonorità del disco, se da un lato suonano familiari, facendoci ripensare ad illustri precedenti come Grateful Dead e Byrds, dall’altro risultano ricche, creative, originali e hanno davvero la capacità di trascinarci in un vortice di “buone vibrazioni”, di guidarci in un viaggio a ritroso nei decenni che, sorprendentemente, ci proietta poi negli spazi infiniti e senza tempo dell’universo.

L’opener Chasing Rainbows vede l’interazione tra la sei corde di Johnson e la pedal steel di Walker che si rincorrono e si intrecciano l’una all’altra. Il pezzo centrale dell’album Porch Boogie, che si dilata – come la maggior parte delle tracce – in quasi sette minuti, è stato invece scritto pensando alla resa dal vivo, con idee ritmiche che generano un groove esteso in cui il gruppo possa esprimersi al meglio. Le liriche sono apparentemente semplici, ma di grande suggestione: “Feel the sun/ Break up the rain/ Take a load off your bones/ And dream free /Nap in the day/ Like some wild rose”. I brani successivi (Mariposa, Moonlight Highway, El Rio) mostrano cambiamenti di atmosfera, indicativi delle direzioni inaspettate che la band può intraprendere, spaziando da sognati ballate a divagazioni folk e a riff accattivanti. In particolare Moonlight Highway, uno degli episodi migliori dell’album, traduce l’energia imprevedibile e tonificante delle esibizioni live della band in una canzone fatta su misura per ballare, punteggiata dalla luce scintillante delle stelle che illuminano le traversate notturne durante i tour attraverso i continenti. E, poiché come ha dichiarato lo stesso leader, “le canzoni non saranno davvero finite finché non le suoneremo on the road” la band è in procinto di imbarcarsi in un lungo tour che li porterà prima a girare gli USA (prima tappa San Francisco, il 27 aprile) per poi approdare in Europa e concludersi in Italia, il 9 giugno, all’ARCI Bellezza di Milano: un’occasione imperdibile, dunque, per ascoltare la Rose City Band e partire con loro, per lo spazio di una sera, per un viaggio verso la trascendenza.

“Garden Party” è un album che fa presa immediata sulle emozioni più autentiche e profonde dell’ascoltatore e lo trasporta nel suo “posto al sole” (“in a garden we ‘ll grow the sun on the inside/feel the love and the stars align”). L’album è un invito a rigenerarsi, a ritrovare la “centratura” e l’equilibrio tra i propri centri energetici come dopo una passeggiata rigenerante, una cavalcata attraverso la prateria o, appunto, una festa in giardino in compagnia degli amici più cari. Ma è anche un “trip” da intraprendere ad occhi chiusi, lasciandosi cullare dalle melodie cristalline e variopinte delle otto tracce.

“Mi piace sempre quando un album inizia in un posto e finisce in un altro” ha dichiarato Johnson, e questo lavoro ha davvero la capacità di farci viaggiare con la fantasia da un capo all’altro del pianeta o nei meandri più nascosti della nostra consapevolezza.

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