Lucero - Should've Learned By Now (2023)

 di Marco Oreggia

Lucero, da vent’anni in giro, da Memphis al resto del mondo, hanno appena reso disponibile il 24 febbraio il loro tredicesimo lavoro pubblicato da Thirty Tigers. Band che spazia tra il Country-Punk l’alternative Country e l’alternative Rock. È un insieme di voci differenti, e se avessi solo letto questa etichetta mi sarei aspettato altro.

I Lucero sono una live band, da ascoltare e godere grazie a un notevole interplay e una forte intesa tra i membri della band stessa. Il fatto che la definizione del loro genere contenga la parola “punk” è data probabilmente dalla voce di Ben Nichols che ricorda tante sonorità che però sono distintive dell’altra parte della Manica, in quelli che sono i territori di Re Carlo.

Stavamo però parlando di sonorità, di etichette e di nomi. I Lucero hanno una seconda vena che attinge prepotentemente nel Country. Ed è un Country che mangia pane, ruggine e grandi campi da arare. È un Country che ha il retrogusto di whiskey, non a caso questi cinque ragazzi vengono dalla patria del più commerciale e celebre distillato sudista. Qui andiamo quindi a pescare un sacco di contaminazioni, che ricordano la vecchia musica del south (“Will rise again!”) come nel brano “Macon if we make it”, Macon, che tanto è presente nelle vecchie storie southern. Onestamente, da amante degli Skynyrd, sento veramente tanto sia di antico che di moderno, con qualcosa di più raffinato che viene da Gregg Allman e si sposta su tutto l’asse temporale che arriva fino ai gusti attuali, risultando contemporaneamente nuovo e vintage.

I Lucero nelle varie interviste hanno dichiarato di ispirarsi a Husker Du e Violent Femmes, e a tutti gli artisti che hanno composto la loro gioventù, e qui troviamo che si siano limitati. Restano molto originali e ben distinguibili, ma le influenze sono ben più debordanti. Una su tutte mi ha fatto sorridere: ascoltate la campana nell’intro di One Last F.U., non vi ricorda dannatamente i Grand Funk Railroad?

I dieci brani scorrono molto in fretta, e questo un po’ mi dispiace. Spotify mi dice che in 38 minuti sarà tutto finito. Ciò mi fa riflettere parecchio sulla attuale scena musicale e sul fatto che di recente (mettete il mio nome nella barra del cerca di Rock Nation) recensisco in gran parte dischi sotto i 40 minuti, controllate. Non mi do una spiegazione, o almeno non oggi. Mi limito a dire che è un peccato che questo lavoro duri così poco e che ne avrei voluto ancora.

Il mood dei brani è simile e coerente, senza particolari sbalzi. Non ci sono brani che vorrei mentre sfreccio nella notte a bordo della mia fuoriserie, così come non ci sono canzoni che metterei come sottofondo mentre chiedo alla portatrice di occhi azzurri di essere la mia fidanzata. No. Nulla di tutto ciò. Come nel convergere di tradizioni punk e southern mi trovo su ampie strade che proseguono fino all’orizzonte e questo disco mi accompagna fino alla mia destinazione. È un disco da viaggio, è un disco che accompagna, è una colonna sonora di una giornata che combina un po’ di nostalgia e un po’ di voglia di giungere a una nuova meta, a un nuovo inizio. Mi è piaciuto, lo ammetto, e non poco.

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